L’inquinamento e le MTS, le malattie sessualmente trasmissibili, stanno rendendo sterili gli esseri umani: è ciò che accade nel mondo distopico di una serie televisiva, The Handmaid’s Tale, tratta dal romanzo Il Racconto dell’Ancella, in cui l’eroina, Difred, l’ancella del titolo, è una delle donne costrette a vivere da concubine, in condizioni di oppressione, e a concepire figli per contenere il crollo delle nascite.
Fantascienza? Eppure, le attuali cause dell’infertilità diffusa sono le stesse, e il problema sta diventando sempre più pressante nel mondo occidentale.
Tra i colpevoli, infezioni come la clamidia e fattori quali la contaminazione ambientale: la finzione letteraria sta diventando realtà.
Tradizionalmente, in caso di infertilità, erano le donne a venire accusate: dopotutto, sono loro a nascere con un numero fisso e finito di ovociti, esauriti i quali, l’orologio biologico cessa di ticchettare e sopraggiunge la menopausa.
L’uomo, invece, rinnova molto spesso la produzione di spermatozoi: una volta ogni 12 settimane (è questo, infatti, il periodo di maturazione necessario per i gameti maschili). È vero, però, che anche gli uomini hanno un orologio biologico, e che non sono più fertili come un tempo.
Lo scorso anno, un’équipe di ricercatori guidata da Hagai Levine ha pubblicato uno studio sulla rivista Human Reproduction Update, dove si afferma che nei Paesi occidentali, la conta spermatica si è più che dimezzata negli ultimi 40 anni, e continua a diminuire a un ritmo pari in media all’1,4 per cento annuo, senza accennare a rallentare.
I risultati hanno evidenziato un drastico calo della concentrazione di spermatozoi (-52 per cento) e un declino della loro quantità totale, pari al 59 per cento in soggetti provenienti da Nord America, Europa, Australia e Nuova Zelanda.
Shanna Swan, che fa parte del team di ricerca, ha detto che parte della responsabilità è attribuibile ad alcuni composti artificiali: “Esiste una ricca letteratura che dimostra che le sostanze chimiche presenti nell’ambiente e nei luoghi di lavoro possono compromettere la qualità e la concentrazione dei gameti maschili. I casi più eclatanti sono riferibili agli ambienti professionali, dove i livelli di composti sintetici sono particolarmente elevati; ma le preoccupazioni riguardano anche l’inquinamento da pesticidi, metalli pesanti e agenti plastificanti”.
Anche in Italia, circa una coppia su sei non riesce a concepire naturalmente. Il tasso di fertilità globale è in calo: e non soltanto per la nostra specie…
1. ALLARME PLASTICA
Alcune sostanze chimiche note come ftalati sono presenti in tutti gli oggetti in plastica che utilizziamo nella vita quotidiana: dalle confezioni per alimenti ai profumi, dai detergenti ai cosmetici, dalle tende per doccia fino ai cruscotti delle auto.
Ogni anno, vengono prodotti circa 450mila chilogrammi di ftalati, che servono a rendere la plastica più flessibile, trasparente e durevole.
Rischiamo continuamente di ingerirli, quando consumiamo cibo che è stato a contatto, per esempio, con determinati contenitori.
Queste sostanze sono ormai ovunque: ne sono state rilevate tracce nell’urina del 95 per cento della popolazione. Purtroppo, sono state messe in relazione all’insorgenza di vari disturbi, infertilità compresa.
Già nel 2003, uno studio aveva dimostrato che l’esposizione di ratti di laboratorio ad alcuni ftalati durante la gravidanza comprometteva lo sviluppo dei testicoli nella prole: l’osservazione è stata in seguito confermata da diverse altre ricerche su cavie animali, e gli scienziati hanno pertanto ipotizzato che possa avvenire la stessa cosa nell’uomo.
Uno studio svedese, pubblicato dalla rivista Environment Health Perspectives nel 2015, sosteneva che queste sostanze chimiche causano difetti congeniti dell’apparato genitale maschile nei neonati e interferiscono con la funzionalità riproduttiva in età adulta.
Altri ricercatori, invece, sono più cauti: un’analisi pubblicata nel 2013 da Critical Reviews In Toxicology ha evidenziato che questi composti influenzano la concentrazione ormonale negli animali, con possibili conseguenze sullo sviluppo tessutale degli organi riproduttivi.
Se ciò fosse vero anche per la nostra specie, gli ftalati potrebbero favorire, nella donna, l’insorgenza dell’endometriosi, una dolorosa condizione nella quale il tessuto che normalmente riveste la cavità uterina si forma invece esternamente.
Ma i ricercatori hanno fatto notare che per ottenere effetti simili negli umani, sarebbero necessarie concentrazioni notevolmente superiori.
2. PLASTICA E ALTRI AGENTI ARTIFICIALI
Altri scienziati non sono convinti che la colpa sia degli ftalati: Richard Sharpe è il ricercatore principale del Centro di Medicina Riproduttiva MRC presso l’Università di Edimburgo.
La sua équipe ha studiato le modalità con cui queste sostanze, particolarmente diffuse, possono causare uno spettro completo di disordini riproduttivi nei topi maschi, in seguito a esposizione materna.
“Le anomalie della sfera riproduttiva derivano essenzialmente dalla soppressione della produzione di testosterone da parte dei testicoli del feto”, ha spiegato Sharpe.
“Quando, però, abbiamo verificato se gli ftalati fossero in grado di indurre effetti analoghi nei feti umani, il risultato è stato negativo. Gli stessi esiti sono stati confermati da vari altri gruppi di ricerca: questo dimostra che la funzione dei testicoli fetali umani non viene colpita dagli ftalati come avviene invece nel ratto.
Inoltre, l’esposizione di scimmie gravide a dosi di questi composti comparabili a quelle utilizzate per i roditori non ha prodotto alcun effetto: gli umani sono esposti a livelli di ftalati almeno 25mila volte inferiori a quelli necessari per indurre patologie riproduttive in ratti maschi. Le evidenze, dunque, non sono sufficienti: sono necessarie troppe supposizioni, a scapito del rigore scientifico”.
Ci sono, però, altri agenti artificiali potenzialmente responsabili delle difficoltà di concepimento: Allan Pacey, dell’Università di Sheffield, si occupa da diversi anni di ricerche sulla fertilità maschile e di recente ha scoperto che questa è influenzata dall’etere glicolico, un solvente per vernici. “Il rischio di riduzione della motilità degli spermatozoi aumenta in seguito a esposizione a questa sostanza”, ha dichiarato lo scienziato.
Mentre, il BPA, o bisfenolo A, un materiale plastico presente in diversi articoli di uso comune, come le bottiglie per l’acqua, è stato soprannominato dai media il “gender bender” della chimica poiché sembra anche indurre alterazioni dei comportamenti di genere.
Già nel 2010, scienziati del Centro Ricerche Kaiser Permanente, in California, scoprirono che operai cinesi con una concentrazione particolarmente elevata di BPA nelle urine facevano registrare una scarsa qualità del liquido spermatico con una frequenza quattro volte superiore alla norma.
Inoltre, uno studio condotto quest’anno su un campione limitato di 94 adolescenti che frequentano diverse scuole del Devon, in Inghilterra, ha evidenziato che oltre l’80 per cento dei partecipanti presenta tracce di BPA nell’organismo – nonostante il tentativo di limitare l’esposizione alle plastiche utilizzando soltanto recipienti di vetro o acciaio per contenere alimenti.
3. COCKTAIL DI SOSTANZE CHIMICHE
È molto difficile, dunque, evitare di ingerire questi composti artificiali: la stessa situazione si verifica infatti per i PFC, o perfluorocarburi, utilizzati per realizzare oggetti d’uso quotidiano resistenti ad acqua, grassi e macchie (si va dagli impermeabili, a pentole e padelle fino ad arrivare alla moquette).
Uno studio condotto nel 2009 dall’Università della California ha dimostrato che donne con livelli ematici elevati di PFC riferivano difficoltà di concepimento; un dato preoccupante è che l’emivita di queste sostanze nel corpo umano può arrivare a molti anni.
Il rischio sterilità riguarda anche altre specie, spesso a causa di percolati chimici dispersi nell’ambiente.
Ricercatori di Nottingham hanno studiato un gruppo di cani di sesso maschile per oltre 26 anni, scoprendo che non soltanto la qualità degli spermatozoi si è degradata nel tempo, ma che in diversi cuccioli, la discesa dei testicoli nel sacco scrotale non si è verificata correttamente nella fase evolutiva.
Uscendo in giardino, troveremo scenari analoghi: l’atrazina, un diserbante vietato nei Paesi dell’Unione Europea ma ampiamente utilizzato negli Stati Uniti e in Australia, è sospettato di trasformare rane maschio in femmine.
Uno studio condotto nel 2010 dall’Università della California, a Berkeley, ha dimostrato che la sostanza interferisce con lo sviluppo sessuale degli anfibi in laboratorio, determinando la castrazione chimica di tre quarti degli esemplari e perfino il cambiamento di sesso, da maschile a femminile, di un soggetto su 10. Il direttore della ricerca, Tyrone Hayes, ha suggerito che l’erbicida potrebbe contribuire alla riduzione del numero di anfibi in natura.
La stessa cosa sta accadendo ai pesci. Lo scorso anno, l’Università di Exeter ha riferito che un quinto della fauna ittica maschile presente nei corsi d’acqua in Gran Bretagna oggi presenta caratteristiche di ermafroditismo.
In 50 siti di rilevamento in tutto il Paese, i ricercatori hanno osservato che il 20 per cento dei pesci maschi presentava sperma di cattiva qualità e un’aggressività e competitività meno spiccate, con conseguenze negative anche sulla riproduttività.
La colpa, ancora una volta, sembra essere dei composti chimici, che contaminano fiumi e corsi d’acqua e inducono effetti di matrice estrogenica. Per la maggior parte, provengono da scarichi industriali e agricoli, ma anche da cosmetici e detersivi, nonché da residui di pillola anticoncezionale.
Alcuni scienziati hanno pertanto tratto la conclusione che, se sostanze con effetti simil-estrogenici stanno determinando una femminilizzazione della fauna ittica, lo stesso potrebbe accadere negli umani.
Ricerche condotte in laboratorio hanno dimostrato che le rane di sesso maschile (foto sotto) possono diventare femmine se esposte a un particolare erbicida sintetico.
4. IN ALTO MARE
Dai rilievi ambientali arrivano cattive notizie: anche se riuscissimo a ridurre drasticamente l’uso di sostanze chimiche, queste potrebbero permanere in natura per diversi decenni.
Il rischio si estende anche agli orsi polari, già minacciati dalla progressiva scomparsa del loro habitat e che oggi hanno un motivo di preoccupazione in più.
Alcuni composti artificiali detti PCB (o bifenili policlorurati), dichiarati illegali quasi quarant’anni fa, sono ancora riscontrabili nei testicoli e nel liquido seminale di questi grandi mammiferi, e lo stesso vale per i cetacei.
I PCB venivano utilizzati per fabbricare una grande varietà di prodotti (dalla carta alle vernici), ma in concentrazioni elevate, si sono dimostrati letali. Anche a livelli contenuti, purtroppo, interferiscono con la produzione ormonale, causando infertilità in numerosissime specie di uccelli, pesci e mammiferi.
Non dobbiamo guardarci soltanto dalle sostanze chimiche: un altro grande nemico della fecondità è il famigerato cambiamento climatico. Ormai conosciamo i disastri che provoca: il riscaldamento globale sta, per esempio, uccidendo le barriere coralline e scatenando eventi atmosferici di violenza inaudita.
A queste minacce, però, bisogna aggiungerne un’altra: la fertilità di tanti animali è in declino a causa dell’innalzamento delle temperature. In alcuni rettili, durante una fase di importanza essenziale per lo sviluppo embrionale, è la temperatura ambientale a determinare il sesso del nascituro.
Per le tartarughe marine verdi, questo valore critico è 29,3°C: al di sotto di questa soglia, il nuovo individuo sarà maschio, al di sopra femmina.
Poiché il nostro Pianeta sta diventando sempre più caldo, si sta verificando uno squilibrio della popolazione, ormai in gran parte femminilizzata: uno studio pubblicato quest’anno ha mostrato che oltre il 99 per cento delle giovani tartarughe esaminate in un grande sito riproduttivo nel nord dell’Australia è di sesso femminile, a causa dell’incremento della temperatura della sabbia e dell’acqua marina. Il mondo è sempre più rosa: ma questa volta non è una buona notizia.
5. IDEE FERTILI
Quali sono, dunque, le possibili soluzioni? Per contrastare il cambiamento climatico, occorre ridurre le emissioni di carbonio.
Si impongono misure drastiche di geoingegnerizzazione climatica con l’ingresso in campo di megatecnologie, che comprendono per esempio il posizionamento di uno scudo spaziale fotoriflettente.
A livello individuale, poi, tutti possiamo fare qualcosa: utilizzare meno l’auto, mangiare meno carne (soprattutto bovina: questi animali producono una quantità straordinaria di emissioni gassose), abbassare il riscaldamento in casa e impostare programmi di risparmio energetico nei nostri elettrodomestici.
La sfida, però, è complessa: e altrettanto complicate sono le misure richieste per proteggere le specie selvatiche dall’esposizione a sostanze chimiche, o almeno, per contenere i danni. Si può cominciare riducendo le quantità di composti artificiali utilizzati per l’agricoltura o il giardinaggio.
Lo scorso anno, scienziati della facoltà di Scienze Agricole dell’università di Penn State hanno dimostrato che fertilizzando i campi coltivati mediante iniezione diretta dei liquami sotto la superficie, invece che per spandimento, si riduce in maniera significativa la quantità di estrogeni nei dilavamenti superficiali, abbattendone i livelli nei corsi d’acqua a valle.
Se anche la fertilità umana è influenzata, come sembra, dalla concentrazione estrogenica nelle falde acquifere, tecniche come questa sarebbero vantaggiose anche per noi, oltre che per altre specie animali. Anche le materie plastiche non sono facilmente evitabili.
Se sono gli ftalati a preoccuparci, occorrerà evitare imballaggi con il numero “3” al centro del simbolo di riciclabilità, e le lettere “V” o “PVC” sotto il simbolo, e preferire invece prodotti biologici confezionati in vetro (anche se il latte venduto in bottiglie di vetro può comunque essere stato esposto alla plastica all’interno delle condutture presenti nelle aziende di produzione).
Ci sono, però, anche buone notizie: attualmente sono in corso ricerche su polimeri flessibili che non rilasciano residui chimici nella stessa maniera, e che si spera potranno presto sostituire gli ftalati.
Un’altra raccomandazione è abituarci tutti a uno stile di vita un po’ meno “comodo”: “Senza dubbio fattori quali l’obesità, la sedentarietà e il fumo hanno un impatto negativo sulla fertilità umana”, ha confermato Swan. Le donne, quindi, dovrebbero adottare un regime alimentare sano, evitare il più possibile alcol e fumo, e inoltre, fare sport ma con moderazione (essere in buona forma fisica è importante, ma allenamenti troppo intensi sembrano correlati a difficoltà di concepimento).
Per gli uomini, invece, il consiglio è limitare alcolici e carne rossa, dimenticare le sigarette e pedalare tanto: contrariamente a quanto si pensa, infatti, andare in bicicletta non ha alcun effetto negativo sulla qualità del liquido seminale (lo ha dimostrato uno studio condotto nel 2017 su 5mila ciclisti).
Meglio, però, indossare biancheria non troppo attillata, in quanto le ricerche indicano possibili effetti negativi dovuti al surriscaldamento dei testicoli (da evitare anche bagni troppo caldi, idromassaggi e saune).
Al contrario di quanto si pensa, andare in bicicletta (foto sotto) non influenza in modo negativo la fertilità maschile.
Per quanto riguarda, infine, le scelte nutrizionali, il numero e la qualità degli spermatozoi sembrano positivamente influenzati dalla cosiddetta dieta mediterranea. Il problema, secondo Pacey, è che “non esistono terapie efficaci per contrastare l’infertilità maschile”.
Fortunatamente, però, abbondano i metodi per trattare le difficoltà di concepimento nelle donne: dai farmaci per stimolare l’ovulazione alle tecniche di fertilizzazione in vitro. Louise Brown, la prima “bambina in provetta”, il prossimo luglio spegnerà 40 candeline: la scienza, dunque, sta facendo molto per gli umani. Non altrettanto, purtroppo, per altre creature terrestri.