Qualcuno è diventato una celebrità, altri sono noti solo a pochi, altri ancora sono del tutto misconosciuti, venendo dimenticati persino dai libri di scuola..
Il motore a scoppio, ad esempio, l’aveva inventato un sacerdote toscano ben prima del tedesco Nikolaus Otto. Si chiamava Eugenio Barsanti.
La penicillina era stata isolata dal medico molisano Vincenzo Tiberio quando Alexander Fleming andava ancora alle medie.
Ma anche lampade a incandescenza, telefono, telecomandi, fax e persino i satelliti geostazionari hanno le radici nella nostra Penisola.
Vediamo in breve chi sono stati e qual è stato il loro contributo al progresso dell’umanità. Ecco le loro storie da ricordare.
1. GIULIO NATTA E BARTOLOMEO CRISTOPORI
- GIULIO NATTA (1903-1979) - LA PLASTICA
Laureato in ingegneria chimica al Politecnico di Milano, docente di chimica industriale e unico italiano a essere stato insignito del Premio Nobel per la chimica, per i suoi studi sui polimeri, Giulio Natta è considerato il padre della plastica.
Subito dopo la laurea ottenuta al Politecnico nel 1924, Natta portò avanti importanti studi sui catalizzatori riuscendo a mettere a punto un processo di sintesi del metanolo, un importante combustibile, solvente e reagente in numerosi processi chimici industriali.
Nel 1932 presso l’Università di Friburgo entrò poi in contatto per la prima volta con la chimica macromolecolare, ambito fondamentale dei suoi successivi studi.
Ottenuta nel 1939 la cattedra di chimica industriale al Politecnico di Milano, proseguì le sue ricerche sui polimeri a struttura cristallina e, una volta conclusa la guerra, iniziò una proficua collaborazione con lo stabilimento Montecatini di Merano che lo portò a conseguire la sua invenzione più importante: il polipropilene isotattico, un materiale che diede il via all’era della plastica e che fu commercializzato con grande successo con il nome Moplen.
Proprio grazie a questa straordinaria invenzione che diede origine a un intero nuovo comparto industriale, nel 1963 venne insignito del Premio Nobel per la chimica, in coppia con il collega tedesco Karl Ziegler. - BARTOLOMEO CRISTOPORI (1655-1732) - IL PIANOFORTE
Proprio sconosciuto non è, ma pochi, al di fuori dell’ambiente musicale, ricordano il suo nome.
Padovano, Bartolomeo Cristofori (1655-1732) inventò infatti il “gravicembalo (o arpicembalo) che fa il piano e il forte”, l’antenato di tutti i pianoforti.
Grazie a un sistema di martelletti che percuotevano le corde anziché pizzicarle (come facevano i precedenti clavicembali e spinette), realizzò il sogno di molti compositori del tempo: ottenere una maggiore espressività dagli strumenti a tastiera.
Il nuovo strumento si diffuse rapidamente in tutta Europa prima con il nome di forte piano poi, già verso la metà del ’700, con quello di pianoforte.
2. ANTONIO MEUCCI E SANTORIO SANTORIO
- ANTONIO MEUCCI (1808-1889) - IL TELEFONO
Quella fra l’italiano Antonio Meucci (1808-1889) e lo scozzese Alexander Graham Bell (1847-1922) è stata una delle guerre dei brevetti più celebri della Storia.
Emigrato a Cuba e poi, nel 1850, negli Stati Uniti, Meucci aprì a New York una fabbrica di candele.
Dopo un periodo di successo, la sorte gli si rivoltò contro: lo stabilimento fu distrutto da un incendio e i successivi tentativi di rimettere in piedi un’attività fallirono uno dopo l’altro.
Con la moglie inferma e pochi spiccioli, a Meucci non restò che dedicarsi alla sua passione per le invenzioni: la più importante fu il "telettrofono” (precursore del telefono). Quando riuscì a mettere a punto l’apparecchio, dovette rinunciare al brevetto per mancanza di denaro (fece solo una certificazione provvisoria).
Nell’estate del 1872 Meucci decise di proporre i risultati del suo ingegno al vicepresidente dell’American district telegraph di New York, la stessa società per cui lavoravano Alexander Bell ed Elisha Gray.
Il 14 febbraio 1876, alle ore 14, Bell presentò all'ufficio brevetti il proprio apparecchio telefonico. Lo stesso giorno, due ore dopo, toccò a Elisha Gray. Il brevetto fu assegnato allo scozzese.
Da allora iniziò una contesa storica e giudiziaria conclusasi nel 2002 quando, il 16 giugno, il Congresso degli Stati Uniti proclamò Meucci "inventore del telefono”. - SANTORIO SANTORIO (1564-1642) - IL TERMOMETRO MEDICO
Studente e poi docente di medicina all’Università di Padova, amico di Galileo Galilei e autore di numerosi trattati medici basati sull’importanza dell’esperienza e dell’osservazione empirica, il veneziano Santorio Santorio fu tra i primi al mondo ad applicare le misurazioni fisiche in campo medico.
Viene ricordato principalmente in meri to alle sue ricerche sul metabolismo, per le quali mise a punto uno strumento essenzialmente costituito da una bilancia, che consentiva di misurare le variazioni di peso dell’organismo nelle diverse con dizioni di salute e malattia.
Santorio dimostrò così che il benessere dell’essere umano passava anche dall’equilibrio tra il cibo consumato e quello espulso.
Santorio inoltre comprese l'importanza delle variazioni della temperatura corporea e fu il primo a utilizzare in campo medico un termoscopio (l’antenato del termometro) da lui ideato, molto simile a quello inventato dall’amico Galileo, che probabilmente conobbe durante gli anni di permanenza a Venezia, tra il 1599 e il 1611.
In quello stesso anno gli venne offerta la cattedra di medicina teorica all’Università di Padova, che abbandonò nel 1624 per ritirarsi a vita privata.
3. GIUSEPPE RAVIZZA ED ERNESTO BIGNAMI
- GIUSEPPE RAVIZZA (1811-1885) - LA MACCHINA PER SCRIVERE
La paternità della macchina da scrivere è stata a lungo contesa, ma molti ormai la attribuiscono a Giuseppe Ravizza.
Novarese, classe 1811, fu tra i primi a ideare una tastiera per scrivere. Lo fece con uno scopo filantropico: voleva facilitare la scrittura ai non vedenti.
Avvocato di professione, al “cembalo scrivano” (lo chiamò così per la somiglianza dei tasti a quelli del clavicembalo) dedicò tutto il suo tempo libero, arrivando a progettarne 16 modelli.
L’apparato aveva molte caratteristiche delle macchine per scrivere moderne: tastiera orizzontale, telaio mobile, nastro in chiostratore, dispositivo per fissare lo spazio tra le righe di testo, campanello indicatore di fine riga.
Nel 1855 Ravizza ottenne il brevetto e 26 anni dopo realizzò un “ cembalo a scrittura visibile” , che permetteva di leggere il testo man mano che si batteva (prima era possibile soltanto a battitura finita).
Nessuno di questi modelli venne però prodotto e pochi ne capirono l ’importanza. Intanto, a New York, veniva presentato un modello della Remington & Sons, la società che nel 1876 mise in commercio la prima macchina per scrivere di successo intemazionale. - ERNESTO BIGNAMI - IL “ BIGINO”
I libricini in formato tascabile, con le nozioni di base di ogni materia delineate secondo i programmi ministeriali, nacquero nel 1931 dall’idea di un professore di lettere milanese, Ernesto Bignami.
Bignami cominciò a pubblicarli attraverso una casa editrice da lui stesso fondata (oggi Edizioni Bignami). Il primo volume andato in stampa fu L’esame di italiano, mentre solo in seguito vennero i “bignamini" scientifici.
4. ANTONIO PACINOTTI E ANTONIO BROCCU
- ANTONIO PACINOTTI (1841-1912) - LA DINAMO
A ricordarlo sono rimasti, a Pisa, un busto nel cortile del Palazzo della Sapienza e un tratto del Lungarno: Antonio Pacinotti (1841-1912) nacque nella città toscana il 17 giugno 1841 e lì inventò la dinamo.
Ammesso all'università nel 1856, a soli 15 anni, Pacinotti progettò a 18 anni una “macchinetta", come la chiamava con modestia, che segnò l’inizio dello sfruttamento a livello industriale dell’energia elettrica: permetteva infatti di trasformare il lavoro meccanico in corrente.
Pacinotti descrisse in modo dettagliato la sua macchina (anche detta “anello di Pacinotti") già nel 1861, ma trascurò di brevettare il suo dispositivo e tardò a pubblicare l’articolo che la descriveva, dato alle stampe solo nel 1865.
Proprio quell’anno, in viaggio a Londra e Parigi, Pacinotti conobbe il francese Zénobe Gramme, capo officina alla fabbrica Froment, che avrebbe sfruttato le confidenze dell’inventore pisano per costruire 4 anni dopo la sua dinamo, la prima prodotta su scala industriale. - ANTONIO BROCCU (1797-1882) - IL REVOLVER
Nessuno (o quasi) lo ricorda, ma l’invenzione della prima pistola a tamburo si deve a un italiano: Francesco Antonio Broccu.
Il suo modello, rispetto ai precedenti ancora poco funzionali, aveva un cilindro più corto (il tamburo, appunto) che ruotando intorno al suo asse allineava a canna e percussore la camera con il proiettile.
Appassionato fin da piccolo di meccanica, Broccu era nato a Gadoni (Nuoro) nel 1797.
Era il 1833 quando ideò il suo revolver a quattro colpi: pare che anni dopo il re sabaudo Carlo Alberto, incuriosito dall’arma, durante il suo secondo viaggio in Sardegna volle vederla. Broccu fu anche invitato a Cagliari per tenere un corso sull’uso della nuova pistola, ma rifiutò.
La ragione? Era troppo affezionato a Gadoni, e non voleva lasciare il suo paese. Di diverso spirito fu invece lo statunitense Samuel Colt, che nel 1836 (tre anni dopo Broccu) ebbe la stessa intuizione.
Dopo avere ottenuto il brevetto, mise in commercio il suo revolver, di cui è universalmente noto come l’inventore.
5. GIOVANNI CASELLI ED EGIDIO BRUGOLA
- GIOVANNI CASELLI (1815–1891) - IL PANTELEGRAFO
Il 2 marzo 1856 don Caselli, abate e scienziato, trasmise il suo primo documento via cavo: era nato il “ pantelegrafo” , l’antenato del fax.
Giovanni Caselli era venuto al mondo nel 1815 e visse in pieno Risorgimento. Forse proprio per questo non raccolse neppure una briciola di gloria dalla sua invenzione.
O meglio: per promuovere la sua invenzione fece il giro delle corti d’Europa, riscuotendo molto fumo (cioè gloria) ma poco arrosto (cioè soldi). E alla fine tornò a Siena, dove era nato e dove visse il resto della vita come dirigente scolastico.
Ma come funzionava il pantelegrafo? Ai due capi della linea telegrafica (il telegrafo a metà Ottocento si stava diffondendo rapidamente) Caselli aveva posto due pendoli sincronizzati, dotati di “ pennini” collegati alla linea elettrica.
Si posava il documento, scritto su un foglio di stagnola con un particolare inchiostro isolante), su una lastra cilindrica di rame, posta sotto il primo pendolo, che oscillando lo esaminava come uno scanner con il suo pennino: in corrispondenza dei tratti non coperti dall’inchiostro la corrente era libera di raggiungere il pendolo gemello. Il quale, oscillando, toccava i punti corrispondenti su un foglio intriso di ferrocianuro di potassio, un sale giallo che con l ’elettricità diventa blu. Si creava così una copia (in negativo) del testo.
Gli inglesi Frederick Bakewell e Alexander Bain accusarono l’italiano di aver copiato una loro ideazione e si rischiò di finire in tribunale. Ma il primo impianto davvero funzionante fu quello dell’italiano.
Lo capirono i consulenti scientifici di Napoleone III, che apprezzò l’invenzione. Ma i costi di realizzazione di una "rete pantelegrafica” si rivelarono proibitivi e così non se ne fece nulla, né in Francia né altrove. - EGIDIO BRUGOLA (1901-1958) - LA CHIAVE A BRUGOLA
Ha rivoluzionato l’assemblaggio e fu brevettata nel 1945 da Egidio Brugola (1901-1958) nella sua officina di Lissone (Mb).
Fondata nel 1926, l’azienda è tuttora in attività. L’obiettivo del fondatore era mettere a punto una vite facilmente svitabile ma con una grande forza di serraggio. L’attrezzo si usava già a inizio ’900, ma fu il brianzolo a farne un business.