In genere lo si scopre perché ci viene regalato da un amico più esperto, oppure si rimane folgorati dalla sua opulenza vedendolo fiorito nei garden center o trionfante in mezzo a una composizione floreale.
Quella meraviglia della natura è un ippeastro, anche se i più lo conoscono con il nome di amarillide o amarillis, un equivoco simile a quello tra gerani e pelargoni, dove il Geranium è una specie diversa che ha poco a che vedere con il Pelargonium.
Tra ippeastri e amarillidi, invece, la similitudine è notevole, non solo perché appartengono entrambi alla famiglia delle Amarillidacee, ma anche perché si assomigliano molto anche fisicamente. Entrambe le piante si originano da un grosso bulbo, producono lunghe foglie nastriformi e fiori a forma di giglio.
Ma l’amarillide ha fiori più piccoli, anche se più numerosi, e spesso profumati, mentre l’ippeastro è il cugino “ricco”, dai fiori enormi, opulenti, a volte carichi di petali (o, botanicamente, “tepali”), fonte d’ispirazione per gli ibridatori floricoli che lo hanno declinato in numerosissime varietà.
La confusione nasce dal fatto che, sino a qualche decennio fa, esisteva l’unico genere Amaryllis all’interno del quale rientrava il sottotipo Hippeastrum.
Oggi, più correttamente, il primo genere è stato sfrondato dei sottotipi, riducendolo alla specie più diffusa, A. belladonna, e poche altre, ed è più adatto alla coltivazione in piena terra nel Sud Italia, mentre l’ippeastro da vaso è stato nobilitato al rango di genere a sé stante.
1. Il “rustico” amarillide rosa
La bellezza dell’amarillide incomincia già dalla sua denominazione, così aggraziata e quasi musicale, da essere utilizzata in greco come nome femminile, derivante a sua volta dal termine amarisso, che significa “risplendere”.
I bulbi medio-grossi a forma di pera sono costituiti da numerose tuniche, di colore bruno all’esterno e più chiare e lanose all’interno.
Da essi si dipartono dapprima le foglie nastriformi, lunghe circa 40 cm e larghe 3, assolutamente glabre e lisce, le quali si aprono divaricandosi lentamente verso i due lati opposti.
Bisogna tuttavia attendere che esse abbiano compiuto le loro funzioni e si stiano disseccando per veder comparire, al centro fra esse e direttamente dal bulbo, lo scapo fiorale.
È uno stelo nudo, pieno, robusto, che nei bulbi adulti può raggiungere l’altezza di 60-80 cm. Porta all’apice da 6 a 10 fiori, del diametro massimo di circa una decina di centimetri, di colore rosa bebè.
Dai fiori, in natura, si originano numerosi semi di colore verde, come avviene nella madrepatria, il Sud Africa, nelle zone del Capo di Buona Speranza, dove l’amarillide offre un’abbondantissima quanto vistosa fioritura spontanea.
Amaryllis belladonna può vivere anche in piena terra nelle zone miti: nelle Isole, in Meridione e fino alla Toscana e alle Marche meridionali, magari avendo cura di proteggere il bulbo, durante un inverno freddo, sotto uno spesso strato di terra e foglie secche.
Se avremo l’accortezza di collocarlo in pieno sole, in un terreno sabbioso e ben drenato, annaffiandolo e concimandolo molto durante l’intero periodo vegetativo, ci ripagherà con una ricca fioritura in luglio-settembre.
È facile trovarlo in vendita durante l’autunno come bulbo da piena terra, nel qual caso non è stato forzato: deve necessariamente venire interrato in giardino, perché in vaso in casa non fiorirebbe per Natale, bensì in primavera...
2. Forzatura: in fiore per Natale
Ippeastro (e amarillide) in Italia sono ormai diventati tipiche piante natalizie, perché si trovano in vendita prevalentemente a dicembre, già invasettati e pronti per la fioritura sulla tavola di Natale.
Ma, con un minimo di previdenza, è possibile anche partire direttamente dai grossi bulbi di ippeastro (non di amarillide, come detto prima), che sono stati già forzati alla fioritura, invasettandoli in casa e risparmiando qualcosina: basta solo avere l’accortezza di calcolare bene i tempi d’impianto, visto che tra la piantagione e la fioritura passano almeno 60 giorni, più facilmente 75, in inverno, pur al calduccio degli ambienti domestici.
Infatti, tra i vari pregi comuni a ippeastri e amarillidi c’è la possibilità, da parte nostra, di scegliere quando bearci della loro fioritura.
Così, per un tripudio natalizio, i bulbi vanno piantati tra la metà di settembre e quella di ottobre, per una fioritura pasquale a dicembre-gennaio (dipende da quando cade la Pasqua), e per la normale fioritura primaverile-estiva in febbraio-marzo.
Partire dal bulbo è un’esperienza spettacolare, consigliabile a tutti ma soprattutto ai bambini non troppo piccoli (quindi non troppo impazienti, vista la lentezza della “rinascita”!): nell’arco di due mesi un “oggetto” immobile e “morto” si sveglia e riprende vita, quasi come fosse una fiaba, sviluppando prima uno stelo “serpentiforme” e poi esplodendo letteralmente in un trionfo di grandi “bocche” aperte in ogni colore!
3. Se la pianta è già pronta
Nei garden center adesso si trovano piante già pronte di ippeastro in diversi stadi di sviluppo: con il solo bulbo, con l’abbozzo di stelo fiorale o con lo stelo già sviluppato e portante all’apice già i boccioloni di cui s’intravvede il colore dei fiori.
Teniamo presente, nella scelta, che nel primo stadio di sviluppo passeranno circa 50 giorni prima di avere la fioritura, nel secondo 15-20 e nel terzo 4-5 giorni. La fioritura di ogni stelo dura una decina di giorni.
Diamo la preferenza a piante in cui si veda spuntare anche un secondo stelo fiorale, distinguibile come una “linguetta” verde carnosa dall’apice del bulbo, in modo da prolungare lo spettacolo (e ottimizzare l’acquisto!).
Facciamo molta attenzione nel trasporto a casa, se lo stelo è già alto: potrebbe spezzarsi con un urto improvviso! E appena arrivati a destinazione poniamo subito un tutore, alto almeno 60 cm, nel terriccio del vaso, a cui legare lo stelo per evitare che la pianta si ribalti poi con il peso dei fiorelloni.
Collochiamo il vaso in un luogo luminoso, preferibilmente non raggiunto dai raggi solari, e possibilmente in una stanza non troppo calda (il calore eccessivo riduce la durata della fioritura) o comunque lontano da fonti di calore.
Utilizziamo un sottovaso o un portavaso decorativo. Annaffiamo con un mezzo bicchiere d’acqua due volte a settimana, dopo che il terriccio in superficie si è perfettamente asciugato. Non occorre concimare: il bulbo ha dentro di sé tutte le risorse nutritive necessarie alla fioritura.
Eliminiamo i singoli fiori man mano che appassiscono e l’intero stelo tagliandolo alla base quando tutte le corolle sono ormai andate (attenzione allo sgocciolamento del grosso stelo cavo tagliato...).
Aspettiamo a mettere a riposo la pianta: normalmente il secondo stelo a questo punto si è già fatto vedere (così come, una volta reciso anche il secondo, è già apparso l’eventuale terzo stelo), ma a volte passano 7-10 giorni prima che la “linguetta” del successivo stelo appaia.
Se invece si stanno sviluppando solo foglie, riconoscibili come “linguette” sottilissime, non carnose, lo spettacolo è purtroppo giunto al termine e la pianta va appunto predisposta alla fine coltivazione per questa stagione.
4. Il delicato ippeastro
A differenza del cugino amarillide, l’ippeastro è originario delle zone tropicali o subtropicali dell’America meridionale, ed è decisamente più delicato da allevare.
Dotato di un grosso bulbo (fino a 15 cm di diametro), emette il fogliame nastriforme, ancora più lungo e largo (fino a 120 x 5 cm) e di colore verde intenso, sempre dopo aver prodotto lo stelo fiorale cavo (alto fino a 60 cm), e spesso addirittura al termine della fioritura.
Lo stelo sostiene da due a quattro (o eccezionalmente sei) fiori molto più grandi (oltre i 15 cm di diametro nelle varietà ibride olandesi), a forma d’imbuto, generalmente rossi, ma anche rosa, bianchi salmone o albicocca, a volte screziati o marginati, per lo più semplici ma anche doppi o semidoppi, a seconda dell’estro degli ibridatori.
Non è raro vedere spuntare alla base, una volta appassito l’ultimo fiore dopo 7-10 giorni dall’apertura del primo, un secondo stelo fiorale, mentre è un evento eccezionale, appannaggio solo dei bulbi di prima qualità extra – i più grossi – anche un terzo stelo.
In natura dai fiori derivano grossi semi neri che, dopo l’impianto in vaso, impiegheranno più di tre anni per costituire un bulbo in grado di fiorire. Del resto, i tempi non cambiano nemmeno staccando i grossi bulbilli che si formano attorno al bulbo principale, e trapiantandoli in vaso: anche in questo caso dovranno passare almeno un paio d’anni prima di godere degli steli fiorali.
Contrariamente al cugino, però, l’ippeastro non resiste assolutamente al gelo, nemmeno con... “un golf di lana”! Se i bulbi sono stati piantati all’aperto, in zone caratterizzate da inverni rigidi, entro la metà di ottobre vanno estratti dalla terra, conservandoli al buio, appoggiati su uno strato di sabbia appena umida, fino al momento del reimpianto in giardino, all’inizio-metà di aprile.
Solo nelle regioni a clima mite (Isole e Meridione costiero) i bulbi possono rimanere indisturbati nel terreno anche nel periodo invernale, opportunamente pacciamati in caso di sporadiche gelate.
Se li abbiamo allevati in vaso, facendoli fiorire in inverno, e desideriamo rivederli in fiore l’anno successivo, fino alla Val Padana compresa possiamo lasciarli fuori, in posizione riparata dalla pioggia e dalla neve, mentre sulle Alpi i vasi vanno ritirati in cantina.
5. Cosa fare dopo la fioritura? Piccole cure, poi il riposo
Quando la pianta ha emesso le foglie, possiamo stare certi che non produrrà ulteriori steli fiorali.
È giunto il momento di cambiare tipologia di cure, per prepararla al riposo, oppure di eliminarla se non desideriamo conservarla: d’ora in poi la sua decoratività cade a picco, visto che le foglie nastriformi, se si allungano troppo, si piegano o si spezzano, incapaci di sostenersi da sole, e in seguito si seccano; inoltre non è certo che, nonostante cure corrette, la pianta rifiorisca, fenomeno che avverrebbe non nella primavera dell’anno che sta arrivando, bensì in quella dell’anno successivo...
In poche parole: vale la pena di conservare e curare il bulbo se abbiamo spazio sufficiente e siamo sicuri di poterlo seguire, altrimenti meglio regalarlo a un giardiniere più dedito... Se però le cure sono corrette, il bulbo potrà regalarci anche una decina di primavere-estati di fioriture!
E non è secondario nemmeno il prezzo d’acquisto: rispetto ad altri bulbi, come quelli di giacinto, narciso, bucaneve, crochi ecc., quelli di ippeastro e amarillide sono decisamente costosi (fino a 10-15 euro l’uno, partendo da un minimo di 5 euro), e le piante già invasettate ancora di più, quindi eliminarle a fine fioritura è un gesto che, oltre che un tantino immorale (le piante sono esseri viventi e trattarle da “usa-e-getta” non è propriamente etico), anche antieconomico!
Per risparmiare qualcosa, a volte si trovano in vendita piantine definite “a un solo stelo” a 3-4 euro: non è una “fregatura”, bensì di tratta di piante o provenienti da bulbi al primo anno di fioritura, che quindi non potranno dare più che uno stelo fiorale, o alle quali è già stato tolto il primo stelo, utilizzato come reciso nelle composizioni floreali.
Se decidiamo di tenere la pianta dopo la sfioritura, spostiamola in un punto meno visibile della casa, perché adesso la funzione decorativa è terminata, e diminuiamo le annaffiature (una sola volta a settimana) aggiungendo però a ogni somministrazione una dose di concime liquido per piante da fiore: il bulbo deve ricostituire le proprie riserve energetiche.
Nel frattempo le foglie si svilupperanno pienamente: eventualmente leghiamole al tutore, per evitare che ciondolino in qua e in là.
Dall’inizio di aprile, spostiamo il vaso in esterni, al sole o mezz’ombra, sempre annaffiando e concimando fino a tutto settembre, dopodiché le concimazioni si interrompono e le annaffiature si diradano a due al mese. All’inizio di dicembre le foglie si seccheranno e andranno tagliate alla base, sospendendo le bagnature.
Per rifiorire in primavera, il bulbo deve “sentire il freddo”, ossia passare almeno un mese con temperature inferiori a 10 °C (ma superiori a 0 °C) con terriccio asciutto. Se saremo stati scrupolosi con le annaffiature, le concimazioni, il riposo e il freddo, è altamente probabile che nella primavera 2025 potremmo godere di una nuova, spettacolare fioritura!
Note
PARTENDO DAI BULBI
Il bulbo va collocato in un singolo vaso di diametro doppio rispetto a quello del bulbo, e comunque mai inferiore a 18 cm. Il vaso può essere in plastica o terracotta. Gradisce un substrato sciolto, fertile e leggermente sabbioso, per esempio una miscela di terra da giardino, torba e sabbia in parti uguali.
È consigliabile un buon drenaggio sul fondo. Non interrare completamente il bulbo (il cui apice deve essere rivolto in alto), perché deve sporgere per almeno un terzo o metà sopra il terriccio.
Fare anche in modo che le radici siano tutte interrate, senza fuoriuscire in superficie. Durante la piantagione, inserire un tutore lungo il bordo del vaso: servirà per legare il grosso gambo che porta i fiori, il cui peso potrebbe sbilanciare il vaso.
Eventualmente appoggiare sulla terra qualche sasso che appesantisca la base, soprattutto se il vaso è di plastica. Collocare il vaso in posizione luminosa, preferibilmente senza sole diretto, in un ambiente fra 18 e 24 °C di temperatura; tollera anche temperature elevate ma non minime sotto i 10 °C.
All’impianto va annaffiato abbondantemente per facilitare la ripresa vegetativa e poi appena il substrato si sta asciugando in superficie per indurre l’emissione dello stelo fiorale. Indicativamente, a 20 °C di temperatura serve un bicchiere d’acqua ogni 5 giorni circa.
Quando lo stelo fiorale si è sviluppato e compaiono all’apice i grossi bocci, ridurre le annaffiature a mezzo bicchiere due volte a settimana. Non serve concimazione, che va rimandata a dopo la fine della fioritura.
Legare morbidamente lo stelo fiorale al tutore appena si è sviluppato e prima che i bocci si aprano.