L’Irlanda è stata il primo Paese colonizzato dall’Inghilterra ma quando conquistò l’indipendenza nel 1921, giusto un secolo fa, fu proprio l’Irlanda a dare l’esempio all’India e alle altre nazioni sottomesse e ad avviare la fine dell’impero; si fece dunque protagonista della storia, sia pure nella scomoda posizione di soggiogata e poi di ribelle.
Lo racconta il film Michael Collins (1996), senza nascondere che sono stati i patrioti dell’IRA a inventare le tecniche del terrorismo e della guerra clandestina; forse non illustra abbastanza le ragioni dell’astio irlandese verso gli inglesi, ma la Storia lo spiega con abbondanza di motivazioni.
È durata 750 anni l’occupazione britannica dell’isola, ma nonostante la spietatezza degli inglesi, che sfiorarono il genocidio, gli irlandesi non si piegarono mai. Si celebra quest’anno (2021) il centenario della loro indipendenza.
1. Il conflitto ha origini lontane
L’invasione britannica dell’Irlanda avvenne nel 1171 a opera di re Enrico II e fece sentire i suoi effetti per 750 anni.
La dominazione incrudelì con la riforma protestante, quando Londra si mise a vessare gli irlandesi rimasti cattolici, sequestrando le loro terre per assegnarle a coloni venuti dalla Gran Bretagna, annientando la nobiltà locale e proibendo la lingua gaelica parlata dalla maggioranza della popolazione.
Insomma indicare nell’Irlanda il primo esempio di colonizzazione britannica non è un artificio retorico, ci furono tutti gli elementi: la dominazione politica, la spoliazione sistematica, l’asservimento fisico e l’etnocidio culturale.
Mancò solo il vero e proprio genocidio biologico, ma ci si andò vicino nel 1845-1849, quando un parassita distrusse i raccolti di patate che erano il cibo essenziale degli irlandesi: la carestia uccise più di un milione di persone, mentre il governo di Londra, invece di dare una mano, si accanì, aumentando le esportazioni di cereali irlandesi.
Questo delitto storico ebbe la sua nemesi: per sfuggire alla fame, milioni di irlandesi scapparono in America e lì, nel 1858, fondarono la Fratellanza Feniana, primo nucleo dell’Irish Republican Army (IRA).
Il peso crescente dei loro milioni di voti orientò la politica degli Stati Uniti in direzione filo-irlandese; fin dall’inizio l’IRA ebbe il suo retroterra politico, finanziario e operativo in America e condusse la sua guerra da New York e da Chicago.
Ciò nonostante, l’indipendenza irlandese non è stata un processo facile né lineare. La presa britannica sull’isola era inesorabile e ogni attività clandestina veniva stroncata.
Ma oltre al bastone c’era la carota: appartenere all’impero britannico significava per gli irlandesi godere di opportunità di lavoro e di carriera oltre confine, dal Canada all’Africa e dall’India all’Australia.
A far saltare il banco fu lo scoppio della Prima Guerra mondiale: per i giovani irlandesi lo shock delle trincee fu doppio perché non si trattava solo di farsi massacrare, ma anche di farlo al servizio degli inglesi.
Qua sotto, la "Rivolta di Pasqua". Scoppiò tra 24 e 29 aprile 1916: gli irlandesi furono sconfitti, ma l’insurrezione resta una pietra miliare nel loro cammino verso la libertà.
2. La miccia della rivoluzione
La contraddizione esplose nella Rivolta di Pasqua del 1916, quando Dublino insorse; la ribellione coinvolse solo una minoranza, ma la repressione esagerata alienò agli inglesi l’opinione pubblica irlandese.
Ma vediamo come andarono le cose. I protagonisti dell’indipendenza irlandese furono tre. Arthur Griffith (1871-1922) ne fu l’intellettuale e il padre nobile: fondò nel 1905 il Sinn Féin, un partito politico schierato per la pacificazione e per le soluzioni politiche di compromesso.
Il numero due fu Éamon de Valera (1882-1975), anche lui dall’aria intellettuale e spesso catalogato come un pensatore più che un uomo d’azione. L’apparenza però ingannava: in gioventù de Valera era stato un campione di rugby a livello nazionale, poi sopravvisse ad anni di clandestinità, a più di un anno di lavori forzati e a un’evasione dal carcere.
Il terzo e più famoso di tutti fu Michael Collins (1890-1922), mente delle tecniche di guerra clandestina dell’IRA, cioè del braccio militare del movimento indipendentista.
La miccia della rivoluzione fu accesa dai Volontari d’Irlanda, un’associazione di patrioti: furono loro, nel 1916, senza indicazioni dal Sinn Féin, a scatenare la Rivolta di Pasqua.
Quel tentativo abortì, come abbiamo detto, ma lasciò delle eredità importanti: una dichiarazione d’indipendenza irlandese, un governo clandestino, e soprattutto la clandestina IRA, che nacque dalla riorganizzazione dei Volontari.
La lotta cominciò male: già in quel 1916 gli inglesi uccisero tutti i capi indipendentisti, tranne de Valera, che fu condannato all’ergastolo; scontò un solo anno e nel 1917 diventò presidente della clandestina Repubblica d’Irlanda, uno Stato fantasma che il mondo esterno non riconosceva.
3. Fuga a New York e la sconfitta inglese
Nel 1919 de Valera scappò a New York (o meglio ci tornò, visto che vi era nato) per conquistare alla sua causa gli irlandesi d’America; si lasciò dietro un premier e vari ministri alla macchia, tutti braccati dalla polizia e (di fatto) non operativi.
Soltanto quello delle Finanze, Michael Collins, prese molto sul serio il suo ruolo, e si mise a raccogliere fondi attraverso un prestito nazionale. P
oi cominciò a sabotare il sistema fiscale britannico in Irlanda e ad attaccare, bruciare o dinamitare gli uffici pubblici di un governo che considerava illegittimo; un passo dopo l’altro, la sua organizzazione passò all’omicidio di poliziotti, giudici, funzionari e soldati inglesi, e irlandesi fedeli all’Inghilterra.
Cominciò così la vera e propria guerra d’indipendenza (1919-1921), che piano piano portò l’autorità britannica a eclissarsi in intere regioni dell’isola.
Nella foto sotto, Dublino in fiamme. Un’immagine della città di Dublino nel 1920 durante l’insurrezione contro gli inglesi che si risolse in un compromesso tra le due parti.
Per spiegare la sconfitta inglese bisogna tener presenti le condizioni in cui si trovava il Regno Unito: dalla guerra mondiale erano usciti a pezzi tutti gli Stati, non solo quelli sconfitti; la Gran Bretagna si ritrovava con l’economia distrutta, l’impero in rivolta, la classe operaia attratta dalla rivoluzione bolscevica, e l’esercito che rifiutava di combattere a difesa dell’ordine costituito.
Dovette essere smobilitato per evitare guai peggiori. Il primo ministro Lloyd George (1863-1945) minacciò di inviare in Irlanda “un soldato britannico per ogni uomo, donna o bambino irlandese”: in realtà le truppe disponibili erano esigue e Londra dovette farsi bastare le forze irlandesi protestanti presenti in loco e pochi reparti dell’esercito britannico.
Frustrati dagli omicidi di cui erano vittime, gli inglesi provarono a reagire con brutalità, ricorrendo a tribunali speciali, torture, esecuzioni sommarie, e arrivando fino a mitragliare civili innocenti per strada a casaccio; queste violenze sporadiche erano la peggior combinazione possibile, perché suscitavano odio ma non la paura che solo una brutalità sistematica avrebbe (forse) provocato.
L’episodio più eclatante della guerra avvenne fra il 21 e il 22 novembre del 1920: realizzando un capolavoro di “intelligence” e di coordinamento tattico, Michael Collins riuscì a far uccidere contemporaneamente, in diciannove luoghi diversi, altrettanti agenti britannici, nonostante questi fossero abilissimi, appartenenti a una squadra anti-terrorismo d’élite, con esperienza in vari teatri di guerra internazionali.
Lo schiaffo fu così umiliante che gli Ausiliari protestanti (una forza militare locale) in una reazione-spasmo entrarono in un campo di calcio di Dublino frequentato da cattolici e spararono raffiche di mitra sui giocatori e sulla folla, uccidendo 14 persone.
Nella foto sotto, dei sospettati perquisiti a Dublino, in Irlanda, nel 1920 durante la guerra d'indipendenza irlandese.
4. Dalla tregua all’indipendenza
Così non si poteva andare avanti. Atrocità del genere suscitavano proteste anche in Inghilterra. Il re Giorgio V prese allora l’iniziativa e spinse il suo governo a cercare un compromesso con gli irlandesi.
Anche Michael Collins, del resto, si trovava in difficoltà: in nessun momento della guerra ebbe sotto il suo comando più di 3 mila uomini operativi, e questi erano troppo pochi per espellere gli inglesi dall’isola manu militari.
Gli animi erano esacerbati, ma fu proprio lo sfinimento generale a rendere possibile alle parti d’intavolare delle trattative segrete e, alla fine, di stipulare una tregua l’11 luglio 1921.
Poi cominciò un negoziato ufficiale, a Londra, dove tuttavia de Valera non volle andare, mandandoci in sua vece (sottigliezza) Michael Collins.
Per giudizio unanime, il “presidente” irlandese si comportò così per non assumersi la responsabilità del compromesso che si profilava, e poter preservare la sua aura di “duro e puro”.
Il 6 dicembre 1921, Collins, più realista, firmò il trattato che riconosceva agli irlandesi un loro Stato, seppure con due limitazioni: non era una repubblica, ma un dominion nell’ambito dell’impero britannico; inoltre il suo territorio veniva amputato delle sei contee protestanti dell’Ulster, che restavano al Regno Unito.
Il dominion si chiamò Stato Libero d’Irlanda e molti ci videro un affronto, un inaccettabile richiamo allo Stato Libero del Congo dominato dai belgi.
Nella foto sotto, membri del partito alla prima assemblea come Stato indipendente.
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5. Dopo la libertà, scoppiò la guerra civile
Il “compromesso” del 1921 non piacque a Éamon de Valera che respinse il trattato, seguito da una piccola parte del Sinn Féin politico e da quasi metà dell’IRA.
Si scatenò una sanguinosa guerra civile fra irlandesi che durò fino al 1923.
Vi morirono molti leader ed eroi della guerra precedente, incluso Michael Collins, che il 22 agosto 1922 cadde vittima di un agguato dei repubblicani intransigenti. Ciò nonostante, nel 1923 la sua fazione vinse.
La tragica inutilità di questa guerra civile fu dimostrata dagli eventi successivi: nel 1932 de Valera, sconfitto in guerra, fu eletto premier dello Stato Libero che aveva tanto avversato, poi, nel 1949, l’Irlanda diventò una Repubblica a tutti gli effetti.
Anche della nuova Repubblica fu premier de Valera, e infine ne divenne presidente (1959-1973). Lui stesso definì il suo rifiuto del trattato anglo-irlandese del 1921 come il peggiore errore della sua vita.
Ulster contro Eire! La pace durò poco nell’Ulster, rimasto dopo il 1921 sotto il Regno Unito. I cattolici erano una minoranza pesantemente discriminata e così, negli anni Cinquanta, gli attentati dell’IRA ricominciarono. I gruppi paramilitari protestanti risposero con omicidi in serie.
La guerra civile durò fino agli Accordi del Venerdì Santo (10 aprile 1998) che portarono alla fine delle violenze, al disarmo delle due parti e a una quasi-riunificazione delle due Irlande nella Ue.
Ora la Brexit rischia di rimettere tutto in discussione, ripristinando quel confine fra Eire e Ulster che era stato cancellato. Ma nel frattempo le teste potrebbero essere un po’ cambiate, si spera.