Figlio del principe Juan di Borbone-Bettenberg, terzogenito del re esiliato, e della moglie Maria Mercedes, quando Juan Carlos vide la luce la Spagna era insanguinata dalla guerra civile scoppiata nel 1936, il cui esito, nel 1939, fu il regime dittatoriale di Franco, che presto mostrò di voler preparare il Paese alla restaurazione della monarchia.
Designato proprio da lui, Juan Carlos di Borbone dovette traghettare il suo Paese dalla dittatura alla democrazia.
Un compito non facile, svolto con intelligenza e fermezza.
Ma chi è veramente Juan Carlos di Borbone? Scopriamolo insieme.
1. Designato da Francisco Franco
Quasi quarant’anni di dittatura non impedirono alla Spagna di tornare nell’alveo delle democrazie occidentali, e ciò per merito di un sovrano. Ironia della sorte, questo re era stato scelto da un dittatore, il generalissimo Francisco Franco, come suo successore.
Ma il principe Juan Carlos di Borbone, pur sottoposto a una severissima formazione nelle accademie militari controllate dal regime franchista, si sarebbe rivelato deciso a ripristinare la democrazia.
Juan Carlos nacque lontano dalla patria, il 5 gennaio 1938: era in esilio con la famiglia reale a Roma, poiché l’ultimo Borbone, Alfonso XIII, aveva dovuto lasciare la Spagna nel 1931, dopo la vittoria dei partiti repubblicani.
Figlio del principe Juan di Borbone-Bettenberg, terzogenito del re esiliato, e della moglie Maria Mercedes, quando Juan Carlos vide la luce la Spagna era insanguinata dalla guerra civile scoppiata nel 1936, il cui esito, nel 1939, fu il regime dittatoriale di Franco, che presto mostrò di voler preparare il Paese alla restaurazione della monarchia.
Il Caudillo (“capo assoluto”), anziché puntare sull’erede diretto alla corona, Juan, che era ritenuto troppo liberale, preferì educare con pazienza il suo giovane figlio.
Lo fece rientrare a Madrid nel 1948, dopo che aveva trascorso la prima infanzia tra Italia e Svizzera. Nel 1955, Juan Carlos iniziò a frequentare ben tre accademie militari per familiarizzarsi con l’ambiente degli ufficiali, che erano i pilastri del regime.
Intanto, nel 1962 impalmò la principessa Sofia di Grecia, che nell’arco dei successivi sei anni gli avrebbe dato tre figli: le principesse Elena e Cristina e l’erede al trono Felipe, suo successore dal 2014.
Il 22 luglio 1969, le Cortes, il Parlamento di Madrid, approvarono la decisione di Franco di designare Juan Carlos come suo successore al vertice dello Stato.
2. La scuola di Franco
Il principe venne educato da precettori militari, come il generale Alfonso Armada, e pubblicamente mostrò sempre sostegno al regime franchista.
Ma in realtà era più fedele ai sentimenti liberali che gli aveva trasmesso il padre, con cui si consultava in segreto.
Almeno su una cosa, però, era d’accordo con Franco, ossia la preoccupazione per il terrorismo, già allora abbracciato dall’Eta (Euskadi Ta Askatasuna), l’organizzazione indipendentista dei Paesi Baschi.
Il 20 dicembre 1973, i separatisti baschi giunsero a far saltare in aria l’automobile dell’ammiraglio Luis Carrero Blanco, da poco nominato primo ministro dal Caudillo.
La potenza della deflagrazione fu tale da scaraventare l’auto sul tetto di un palazzo, uccidendo Carrero, l’autista e un uomo della scorta.
Il problema basco, cui si univano le spinte indipendentiste mai sopite della Catalogna, fece capire a Juan Carlos che una Spagna democratica avrebbe dovuto concedere autonomie locali, seppur limitate, se non voleva disgregarsi.
Il vecchio Franco, intanto, era sempre più malato e prossimo alla fine. Ma Juan Carlos seppe attenderne pazientemente la morte prima di compiere qualunque mossa in questo senso. Il 20 novembre 1975, il Caudillo morì.
Due giorni più tardi, Juan Carlos fu proclamato re, all’età di 37 anni. Con calma e sottovoce, cominciò a smantellare un pezzo dopo l’altro l’impalcatura del regime dittatoriale di Franco, avendo sempre ben chiaro nella mente l’obiettivo fondamentale della sua politica: evitare alla Spagna nuove, sciagurate guerre civili.
In questa fase di transizione, si appoggiò al franchista moderato Adolfo Suarez, nominato primo ministro nel luglio 1976. Nei mesi seguenti venne abolita la censura e il 15 giugno 1977 si tennero le prime elezioni libere dopo quarant’anni.
La nuova assemblea multipartitica redasse la Costituzione, firmata dal re il 27 dicembre 1978, che garantiva le libertà fondamentali e le prime autonomie locali.
Al principio degli anni Ottanta, la democratizzazione avviata da Juan Carlos sembrava già ben radicata, ma il sovrano non aveva fatto i conti con i nostalgici del franchismo.
Alcuni ufficiali ribelli della Guardia Civil (la polizia militare), guidati dal colonnello Antonio Tejero Molina e dal generale Jaime Milans del Bosch, tentarono un colpo di Stato nel pomeriggio del 23 febbraio 1981, mentre i deputati delle Cortes di Madrid votavano la fiducia al nuovo primo ministro, il centrista Leopoldo Calvo Sotelo.
3. Il golpe di Tejero
All’improvviso, alle 18,20, si udirono raffiche di mitra all’interno del Parlamento. L’aula fu invasa da 200 miliziani della Guardia Civil, che sequestrarono i 350 deputati.
Tejero, con indosso la tipica feluca della polizia militare, proclamò il golpe sparando alcuni colpi di pistola.
Frattanto, nel vicino Hotel Palace, lo stato maggiore della Guardia Civil coordinava i suoi sforzi con altri reparti militari. La divisione corazzata Brunete ebbe ordine di avanzare con i carri armati nel centro di Madrid.
Nella regione militare di Valencia e Alicante, comandata dal generale Milans del Bosch, venne proclamato il coprifuoco. I militari ribelli erano convinti che, di fronte al fatto compiuto, il re li avrebbe appoggiati: davano per scontato che tenesse di più al trono che alla democrazia.
Juan Carlos seppe del golpe dalla radio, che stava ascoltando per conoscere gli esiti della votazione in Parlamento. La notte sul 24 febbraio telefonò ai comandanti delle varie guarnigioni locali per verificare se fossero pro o contro i golpisti.
Nel frattempo, convocò una riunione tra i capi di stato maggiore delle varie armi. Non sapeva, però, che i ribelli potevano contare sull’appoggio occulto del suo vecchio precettore, il generale Alfonso Armada, che si fece affidare dal re il compito di negoziare con i rivoltosi, mentre in realtà era dalla loro parte.
I golpisti volevano inquinare le comunicazioni fra il re e le forze armate, per far sì che tutto l’esercito, a un certo punto, pensasse che la Corona appoggiava il colpo di Stato. Ma il re non si fidò delle trattative inscenate da Armada.
Indossò l’alta uniforme e, all’1,30 di notte, apparve ai suoi sudditi in televisione, che per fortuna non era ancora nelle mani dei rivoltosi, leggendo un proclama: «Ho ordinato alle autorità civili e alla giunta dei capi di stato maggiore che prendano le iniziative necessarie per mantenere l’ordine costituzionale dentro la legalità vigente».
Per fugare ogni dubbio, aggiunse: «La Corona, simbolo della permanenza e unità della patria, non può tollerare azioni che pretendano di interrompere con la forza il processo democratico».
La fermezza di Juan Carlos spinse la maggioranza dell’esercito ad abbandonare i golpisti. La mattina del 24 febbraio 1981, il Parlamento era circondato dai lealisti, mentre la gente scendeva in piazza.
Tutti i capi dei ribelli, a cominciare da Tejero e da Milans del Bosch, vennero arrestati e processati. Tejero fu condannato a 30 anni di carcere, la pena più severa, essendo considerato il maggior ispiratore del putsch.
4. Un saldo timone
Sotelo, confermato primo ministro, traghettò il Paese alle elezioni del 28 ottobre 1982, da cui emerse la maggioranza socialista che permise al giovane Felipe Gonzalez di diventare capo del governo, inaugurando una stagione di aperta rottura con il passato regime franchista.
Gonzalez guidò il Paese per 14 anni, vedendo la sua maggioranza riconfermata più volte alle urne, fino alla sconfitta elettorale del 1996, che vide subentrare al suo governo quello conservatore di José Maria Aznar.
L’integrazione della Spagna all’interno dell’Europa democratica fu sancita, nel frattempo, dall’adesione alla Nato (1982) e alla Comunità economica europea (1985). Più tardi, nel 1998, il Paese entrava anche nei comandi dell’Alleanza atlantica.
Come in tutte le moderne monarchie costituzionali, il vivo del dibattito politico e delle decisioni governative veniva lasciato ai primi ministri di volta in volta in carica, mentre il sovrano si dedicava soprattutto a rappresentare il Paese all’estero, intessendo una rete di rapporti utili con le altre nazioni.
Nel 1991, Juan Carlos partecipò al primo vertice ibero-americano, tenuto a Guadalajara, in Messico: l’obiettivo era quello di riallacciare i legami tra Spagna e Portogallo da un lato, e le nazioni latinoamericane, loro antiche colonie, dall’altro.
Ma il re di Spagna si concesse anche viaggi finalizzati a due delle sue grandi passioni: la nautica a vela e la caccia. Quest’ultima suscitò l’indignazione delle organizzazioni animaliste per aver ucciso animali particolarmente amati, come gli orsi.
Il 30 settembre 1998, Juan Carlos venne in visita ufficiale a Roma, e fu il primo capo di Stato straniero a tenere un discorso in Parlamento, facendo seguire agli omaggi di rito un pensiero per il defunto presidente della Repubblica Sandro Pertini: «Il suo ricordo mi accompagna in modo particolare durante questi giorni, voglio rendere omaggio a un uomo politico tanto illustre e a un eccellente amico».
Politicamente, il re dimostrò sempre di saper convivere in modo equilibrato con i governi che si sono alternati negli ultimi vent’anni, in particolare l’altalena tra Aznar, dimessosi nel 2004, e il progressista José Zapatero, che gli subentrò dal 2004 al 2011, quando lasciò il posto al premier conservatore Mariano Rajoy.
Il gradimento del re tra i sudditi è sempre stato buono. A partire dal 2010, alcuni ricoveri in ospedale, pur risolti felicemente, iniziarono a far maturare in lui la volontà di rinunciare al trono per anzianità.
Nel 2013, il susseguirsi di ben tre abdicazioni di somme autorità europee (papa Benedetto XVI, la regina d’Olanda Beatrice e il re del Belgio Alberto II) lo indussero a rendere ufficiale la sua decisione: il 19 giugno 2014, all’età di 76 anni, Juan Carlos abdicò in favore del figlio Felipe, incoronato con il nome di Filippo VI di Spagna all’età di 46 anni.
Pur nei limiti dettati dalla salute e dall’età, Juan Carlos partecipa ancora alla vita del Paese con il titolo di re emerito.
5. Dagli Asburgo ai Borbone, la guerra civile ed il problema Catalogna
- Dagli Asburgo ai Borbone
La dinastia dei Borbone si insediò a Madrid all’inizio del Settecento, dopo la Guerra di successione spagnola.
Dai tempi dell’imperatore Carlo V, morto nel 1558, era un ramo degli Asburgo a regnare sulla Spagna e sulle sconfinate colonie dove «non tramontava mai il sole».
Nel 1700, l’ultimo sovrano degli Asburgo spagnoli, Carlo II, morì senza eredi. La linea era estinta, ma poiché la sorella Maria Teresa aveva sposato il sovrano di Francia Luigi XIV di Borbone, Carlo II aveva disposto di lasciare la corona a un nipote del Re Sole, Filippo duca d’Angiò: il francese divenne il nuovo re iberico con il nome di Filippo V di Borbone, ma le altre potenze, soprattutto Austria e Inghilterra, si opposero scatenando la guerra.
La pace di Utrecht (1713) e quella di Rastatt (1714) concessero ai Borbone di rimanere sul trono spagnolo, ma al termine del conflitto l’Austria subentrò alla Spagna come egemone in Italia e gli inglesi ebbero il dominio sulla rocca di Gibilterra, tuttora in loro possesso, benché rivendicata da Madrid.
- La guerra civile
La ferita che Juan Carlos sanò aveva le sue origini lontane nella guerra civile.
Il 17 luglio 1936, in un clima teso, con omicidi incrociati tra gli opposti partiti alcuni generali nazionalisti, fra cui Francisco Franco, si opposero al governo repubblicano di Madrid.
La rivolta venne battezzata Pronunciamiento o Alzamiento. Molte potenze straniere intervennero: l’Unione Sovietica si schierò dalla parte dei repubblicani, mentre Italia fascista e Germania nazista aiutarono Franco, che si affidava alla legione straniera spagnola, il “Tercio”.
Le sorti della guerra civile rimasero incerte fino alla lunga battaglia dell’Ebro del 1938, che costò così tante perdite ai repubblicani da fornire il vantaggio definitivo ai franchisti.
Il 26 gennaio 1939 cadde Barcellona, seguita dal resto della Catalogna, il 10 febbraio. Madrid si arrese il 28 marzo. Dopo mezzo milione di morti, Franco volle mantenere la Spagna neutrale durante la Seconda guerra mondiale.
- Catalogna indipendente?
Nel suo lungo regno, Juan Carlos ha dovuto affrontare non solo la lotta terroristica dell’Eta basca, ma anche i fermenti separatisti della nazione catalana, dove ancora oggi molti vorrebbero l’indipendenza da Madrid.
Potenza marittima durante il Medioevo, la Catalogna fu sottomessa alla corona di Castiglia e Aragona nel 1474. Il 9 novembre 2014 è stato organizzato un primo referendum dimostrativo, che ha ottenuto l’80% di voti favorevoli al distacco dalla Spagna.
Nel 2015, l’aula di Barcellona ha approvato il progetto per uno Stato indipendente in forma repubblicana: un doppio schiaffo, all’unità e alla casa reale.
Madrid si è opposta con fermezza, pronta a ricorrere all’uso della forza pur di scongiurare il pericolo di una secessione.