Il kenaf (Hibiscus cannabinus L.) è una pianta erbacea annuale brevidiurna coltivata soprattutto per il suo contenuto di fibra nella corteccia dello stelo.
Appartiene alla famiglia delle Malvaceae, la stessa del cotone. Il genere Hibiscus è molto diffuso ed include circa 200 specie annuali e perenni.
Sebbene il kenaf sia capace di adattarsi ad una grande varietà di condizioni climatiche, le prestazioni migliori si hanno nelle regioni tropicali e sub-tropicali, poiché è molto sensibile alle gelate.
Può essere coltivato a latitudini che vanno da 45°N a 30°N e ad altitudini tra 0 e 1000 m s.l.m. Poiché ha una crescita rapida raggiungendo altezze elevate, forti venti possono provocare problemi di allettamento.
La coltivazione è raccomandata nelle aree tropicali e sub-tropicali. Le migliori produzioni sono raggiunte in suoli caldi, temperature medie giornaliere atmosferiche tra 20 e 22°C, sufficiente umidità (precipitazioni mensili da 90 a 275 mm), umidità relativa abbastanza alta (65-85%).
L’assenza di gelate durante il ciclo colturale è di vitale importanza e la semina dovrebbe essere effettuata quando la temperatura del suolo supera i 12°C.
La temperatura minima per la germinazione e sviluppo nei primi stadi di crescita è considerata attorno a 9.5°C.
Il kenaf ha bisogno di un suolo ben drenato (non tollera ristagni d’acqua soprattutto nelle prime fasi), sabbioso-limoso, circa neutro (pH tra 6 e 7), con una buona dotazione di humus, sostanza organica ed elementi minerali.
Si accontenta di poco, tanto che è possibile utilizzare lo stesso terreno fino a sette cicli consecutivi senza perdere in resa.
Ma scopriamo meglio questa pianta, tanto umile ma straordinariamente utile all’uomo.
1. Origine e coltivazione del kenaf
Il kenaf (Hibiscus cannabinus L.) vede l’origine della sua coltivazione a partire dal 4000 a.C.
Si ritiene sia stato addomesticato per la prima volta nelle regioni dell’Africa occidentale ed identificato con una grande varietà di nomi attribuitagli dalle tribù africane.
Vicino al cotone (appartengono entrambe alla famiglia delle Malvaceae), da sempre ha rappresentato la più diffusa coltura per la produzione di fibra dal Senegal alla Nigeria, anche se nel corso della storia ha avuto altri usi, soprattutto in Africa: le foglie e i fiori erano considerati commestibili, i semi usati per la produzione di olio e diverse parti della pianta utilizzate in medicina o durante riti di superstizione.
Successivamente è stato introdotto nell’Asia del sud all’incirca nel 1900 a.C., con i maggiori areali di produzione localizzati in Cina ed India. La fibra di kenaf arriva per la prima
volta in Europa all’inizio del XX secolo (1901-1902) nel mercato di Londra.
Gli USA iniziarono ad interessarsi al kenaf nel 1940 al fine di utilizzarlo come un sostituto della juta. Nel 1960 fu selezionato dal Dipartimento di Agricoltura degli USA (USDA) tra le 500 specie più promettenti per la produzione di fibra erbacea corticale e nel 1995, circa 1000 ha di kenaf furono impiantati per scopi commerciali.
In Europa lo sviluppo di questa coltura si è concentrata nelle regioni mediterranee con clima sub-tropicale per uno sfruttamento soprattutto nel settore della produzione di fibra tecnica.
Gli investimenti restano molto bassi e la sperimentazione sull’adattamento di questa coltura negli areali del sud Europa è incominciata solo negli anni ’90 soprattutto nel centro-nord dell’Italia ed in Grecia.
Attualmente il kenaf è coltivato principalmente in Tailandia, Cina e USA, in quattro principali aree, Georgia, Texas, Mississipi e New Messico. Negli ultimi anni anche il Giappone si è interessato a questa specie per la produzione di pasta da cellulosa per la fabbricazione di carta ecologica.
2. Biologia e morfologia
Il kenaf (Hibiscus cannabinus L.) è una pianta erbacea annuale brevidiurna coltivata soprattutto per il suo contenuto di fibra nella corteccia dello stelo.
Appartiene alla famiglia delle Malvaceae, la stessa del cotone. Il genere Hibiscus è molto diffuso ed include circa 200 specie annuali e perenni.
Gli steli di kenaf sono generalmente rotondi, e, in base alla varietà, con la presenza di piccole spine. Il colore dello stelo varia da verde a bordeaux, tende a crescere come singolo stelo, anche se si sviluppano facilmente delle ramificazioni laterali con densità basse di semina (circa 100.000 – 200.000 piante per ettaro).
L’altezza dello stelo può arrivare fino ai 6 m in particolari condizioni; nelle coltivazioni di pieno campo, negli areali italiani, l’altezza media si aggira sui 2,5 m. La parte più interna dello stelo è costituita da materiale spugnoso.
Nella corteccia dello stelo, invece, che circonda il midollo legnoso, si trovano i fasci di cellule sclerenchimatiche con parete cellulare cellulosica che costituiscono la fibra. Fibre sono contenute anche nel midollo, costituite da molta più lignina e meno cellulosa.
La forma delle foglie del kenaf dipende fortemente dalla varietà, inoltre è possibile individuare due categorie di foglie, quelle palesemente lobate, simili alle foglie della canapa, e quelle palmate o intere, simili a quelle del cotone. Nei primi stadi di crescita, le foglie sono in tutti i casi a forma intera e con un contenuto di proteine che va dal 18 al 30% sul peso secco.
Il fiore del kenaf è il tipico fiore dell’ibisco, largo (da 7.5 a 10 cm) e con 5 petali. Il colore va dal crema al viola scuro, con tutta una serie di sfumature. La pianta rimane nello stadio vegetativo fino al momento in cui la luce giornaliera scende sotto le 12 ore e 30 minuti. La fioritura può durare 3 o 4 settimane, mentre il singolo fiore fiorisce per un solo giorno, aprendosi presto al mattino ed incominciandosi a chiudere nel tardo pomeriggio.
Il fiore di kenaf attrae un grande numero di insetti che provvedono ad aiutare l’impollinazione. Il kenaf è considerata una specie auto impollinante, anche se ultimamente è riconosciuto un certo livello di impollinazione incrociata.
I semi si sviluppano in 5 capsule globulari, le quali rimangono indeiscenti ed intatte per diverse settimane anche dopo la maturità, soprattutto quelle delle specie addomesticate. Il seme è piccolo (1.5-3.3 grammi per 100 semi), di colore scuro, rassomiglia vagamente al dente di uno squalo, di forma più o meno triangolare, talvolta reniforme, con angoli più o meno acuti.
Contiene un olio edule simile a quello del cotone, con un contenuto più basso in acido linoleico e privo di gossipolo, un pigmento polifenolico tossico che causa l’imbrunimento dell’olio. Il contenuto di olio nel seme varia mediamente, in Italia, fra il 16% ed il 22%.
Il kenaf ha radici fittonanti e relativamente profonde, con una larga presenza di radici laterali, che lo rendono abbastanza tollerante alla siccità e un efficiente utilizzatore dei nutrienti residui di colture precedenti.
3. Semina e varietà
Il seme di kenaf richiede un buon contatto con il suolo per poter germinare, per cui la preparazione di un buon letto di semina, fine e abbastanza umido, è una condizione necessaria.
Il seme può essere posizionato ad una profondità di 3-4 cm con seminatrici da grano o simili, che assicurano una buona omogeneità di distribuzione.
Suoli caldi ed umidi sono l’ideale. In buone condizioni il seme emerge in circa 5 giorni. La coltivazione del kenaf in terreni sotto il regime di zero lavorazioni è sostenibile solo se la presenza delle erbe infestanti è limitata e le risorse idriche non sono scarse.
L’epoca di semina dipende fortemente dalle condizioni pedoclimatiche locali. Le varietà tardive fotoperiodiche crescono fino alla fioritura che avviene verso la fine di settembre nelle regioni mediterranee; per questo motivo la semina va effettuata in primavera appena la temperatura atmosferica supera i 15°C, in modo che il ciclo vegetativo sia il più lungo possibile.
Nelle condizioni pedoclimatiche del Sud Europa, il kenaf può essere seminato a partire da fine aprile a fine maggio, in base alle specifiche condizioni locali. La densità di semina ottimale è tra 20 e 30 piante per m2, con una distanza tra le file tra i 25 e i 50 cm. Il kenaf è una specie soggetta ad autodiradazione.
Essendo una coltura annuale primaverile può essere inserita in una rotazione nelle aree che sono state coltivate a monocoltura; inoltre l’apparato fittonante è adatto ad utilizzare la fertilità residua delle colture precedenti.
Le varietà di kenaf si dividono in precoci e tardive, in base al periodo di fioritura, momento in cui le piante smettono anche di accumulare biomassa.
- Negli ambienti mediterranei le varietà precoci fiorirebbero a partire da metà luglio, con una riduzione del ciclo vegetativo che sarebbe di 75-105 giorni o 105-120 giorni per le varietà semi-precoci.
- Le varietà tardive nelle regioni mediterranee non fioriscono prima della fine di settembre ed il seme non raggiunge la maturità a causa dell’abbassamento delle temperature. Il ciclo vegetativo si allunga a 120- 140 giorni, ottenendo delle produzioni di biomassa più elevate.
Le varietà commerciali sono molteplici. Oltre che a diversificarsi per la lunghezza del giorno, sono diverse anche per esigenze pedoclimatiche, resistenza all’allettamento, tolleranza a nematodi e antracnosi, qualità e produzione della fibra.
Negli USA, tra le 240 varietà riconosciute, solo 10 sono coltivate per scopi commerciali, tra le quali le più famose sono Everglades41 e Everglades71, Tainung1 e Tainung2 (tutte tardive), Cuba2032. Queste sono le più coltivate anche nelle zone mediterranee. In piccole quantità è coltivata anche la Guatemala4, foto-insensibile.
Lavori di ricerca condotti in Arizona, Grecia ed Italia riportano i livelli produttivi più alti per Everglades71 (20-24 t ha-1 di biomassa secca) e Tainung2 (21-24 t ha-1 di biomassa secca).
Nuove varietà, come la Bowling e Gregg, sembrano avere migliori prestazioni da un punto di vista di produzione della fibra, resistenza ad allettamento e alla presenza di nematodi nel terreno.
4. Raccolta e fibra
Il kenaf può essere raccolto in diversi momenti del ciclo colturale senza che ci siano differenze sostanziali nella qualità della fibra.
Anche se in generale il momento migliore è nel periodo della fioritura, la scelta dell’epoca e della modalità di raccolta sono fortemente influenzate dalla tipologia di prodotto e dal percorso successivo di lavorazione.
Fondamentalmente, nella coltivazione del kenaf come coltura da fibra esistono due tipologie di raccolta: una verde, con pianta in fioritura, in cui lo stelo è intatto con ancora una buona porzione di foglie attaccate; ed un’altra invernale, dopo la morte delle piante per il freddo, gli steli sono privi di foglie e degradati dagli agenti atmosferici e biologici.
I livelli produttivi del kenaf possono variare molto, in base all’interazione tra condizioni climatiche locali, gestione colturale, densità d’impianto e mortalità. Produzioni che variano da 9 a 22 t ha-1 di biomassa secca sono spesso stati riscontrati commercialmente.
Allontanandosi dai climi secchi ed alte latitudini verso areali umidi e basse latitudini, come nel sud-est degli Stati Uniti, il kenaf può produrre da 3 fino a 5 volte più fibra per anno rispetto al pino, comunemente usato per la produzione di pasta di cellulosa.
Nel sud Europa sono state riscontrate produzioni di 20 t ha-1 di stelo secco fino a livelli di 26 t ha-1 in prove sperimentali condotte in Italia ed in Grecia negli anni ’90. La fibra corticale rappresenta il 35-40% del peso secco della pianta matura. Il contenuto in fibra della corteccia è di circa 50-55 %.
La fibra di kenaf è simile per caratteristiche generali alle altre fibre vegetali estraibili dallo stelo (canapa, lino, etc.). Le cellule fibrose, organizzate in gruppetti di cellule (bundles), derivano prevalentemente dall’accrescimento secondario delle cellule comprese tra la parte più esterna della corteccia ed il cambio.
Le parete cellulari contengono molta cellulosa, accompagnata anche da lignina in quantità maggiore rispetto alle fibre di origine primaria della canapa. La presenza di lignina può rappresentare un fattore peggiorativo dell’elasticità della fibra, rendendola meno adatta, rispetto a quella di canapa e di altre piante da fibra, alla destinazione tessile.
In generale le caratteristiche qualitative soddisfano i requisiti dell’industria della carta, cordame e della fibra tecnica per la costruzione di pannelli e biocompositi.
5. Aspetti economici
In Italia la coltivazione del kenaf non è una realtà molto diffusa, esistono tuttavia delle aziende trasformatrici che, attraverso dei contratti di coltivazione, si impegnano a fornire il seme ed a ritirare il prodotto.
I contratti, in questo caso, sono di due tipologie; uno per gli agricoltori residenti in regione ed un altro per gli agricoltori che dovrebbero consegnare il materiale da località più lontane.
Tali contratti differiscono nelle modalità di consegna. Nel contratto sono definiti i requisiti qualitativi del prodotto ed il prezzo deciso all’inizio della campagna colturale.
Il kenaf può essere considerata una coltura non alimentare altamente produttiva di crescente interesse in Europa in quanto:
- Coltura con molteplici destinazioni produttive che può fornire materiale grezzo per numerose applicazioni industriali ed energetiche. Il 30- 40% dello stelo (la corteccia) può essere utilizzato per le diverse applicazioni della fibra, mentre la restante parte, il midollo legnoso, tra le diverse utilizzazioni, può essere sottoposto a processi termochimici (combustione, pirolisi e gasificazione) per la produzione di energia.
- Alti livelli produttivi potenziali e bassi input agronomici. Produzioni sopra le 26 t ha-1 di secco sono state riportate in diversi lavori sperimentali. In condizioni semi-aride come quelle prevalenti nelle regioni mediterranee, il kenaf raggiunge livelli produttivi significativi con 250-400 mm di pioggia, quantità di molto inferiori a quelle richieste da colture tradizionali. Inoltre, considerando il basso fabbisogno di N richiesto (50-100 kg N ha-1), questa coltura è considerata una valida possibilità nelle aree degradate e poco fertili.
- Offre la possibilità di un uso alternativo del suolo e può essere inserita nelle rotazioni colturali, inserimento molto importante in aree tradizionalmente coltivate a monocoltura (cereali).
Essendo una coltura erbacea annuale, è molto simile nella gestione alle colture convenzionali. Inoltre, essendo annuale, non richiede lunghi investimenti di uso del suolo.