Il loro sito Internet è semplice: basta inserire il nome del prodotto e appare la scheda con il prezzo.
Ma il catalogo è da brivido: per 390 € si può ordinare il coronavirus che causa la Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome-Sindrome Acuta Respiratoria Grave).
Più economico lo Yersinia pestis, il bacillo della peste bubbonica: 348 €. La vera occasione è il virus Ebola (Zaire ebolavirus): è gratis, si pagano solo le spese di spedizione.
Ma non è un sito di bioterroristi: sulla testata, infatti, c’è il rassicurante logo della Sanità pubblica britannica.
Che offre un servizio straordinario: conserva e invia per posta, in pacchi infrangibili, migliaia di microrganismi – anche i più pericolosi – agli scienziati di tutto il pianeta.
Le Culture Collections (Collezioni di colture: www.phe-culturecollections.org.uk) sono una delle numerose biobanche esistenti al mondo.
Invece di conservare innocui semi agricoli, nei loro freezer congelano pericolosi agenti infettivi: 400 virus e 5mila colture batteriche, oltre a 40mila linee cellulari e 4mila ceppi di funghi.
È una delle collezioni internazionali più importanti in questo campo, e sicuramente la più antica: ha quasi un secolo di vita.
Come funziona questa banca? A cosa serve? E, soprattutto: è sicura? Scopriamolo insieme.
1. Congelati
Accedere è impossibile senza una lunga trafila di autorizzazioni.
I virus più rischiosi, quelli di livello di biosicurezza 4 (mortali e infettivi anche per via aerea) sono conservati a Porton Down, a ovest di Londra, in stanze a tenuta stagna, nelle quali si entra solo dopo aver passato rigidi controlli di sicurezza e porte blindate con badge di identificazione e serrature a combinazione.
I batteri, invece, sono custoditi nell’Agenzia di tutela della salute a Colindale, a nord di Londra. In queste sedi le cellule, manipolate con guanti a manica in gomma che sbucano in cappe di sicurezza sigillate, sono controllate e conservate in fiale: prima vengono raffreddate nell’azoto liquido a –196 °C, poi custodite in appositi congelatori a –80 °C.
«Per mantenere le colture vive e isolate da altri contaminanti dobbiamo eseguire molti test», racconta la direttrice della banca, Julie Russell.
«Prima dobbiamo farle proliferare: e in alcuni casi, come per il bacillo di Koch, che causa la tubercolosi, occorrono 6 settimane. Poi eseguiamo una lunga batteria di test biochimici, genomici, morfologici. Ci vogliono anche 3 mesi per fare tutti i controlli su ogni ceppo di microorganismi: per contaminarli basta un micoplasma (un piccolo batterio), che al microscopio ottico non si vede nemmeno. Poi li congeliamo e li conserviamo, verificando ogni anno che non muoiano».
Ma quali sarebbero i microrganismi più pericolosi della collezione? Le Culture Collections britanniche conservano molti organismi pericolosi.
- I batteri più ad alto rischio sono: Bacillus anthracis (causa l’antrace), Francisella tularensis (tularemia), Yersinia pestis (peste), Salmonella typhi (febbre tifoide), Mycobacterium tuberculosis (tubercolosi), Brucella (brucellosi).
- I virus più pericolosi sono: Zaire ebolavirus (Ebola), virus della febbre gialla e virus dengue.
Secondo la Federazione mondiale delle collezioni colturali (Wdcm), le biobanche di microrganismi sono 710 in 72 Paesi del mondo, e conservano oltre 2,5 milioni fra batteri, funghi, virus e linee cellulari.
La più grande è negli Stati Uniti: l’Atcc, che ha 18mila ceppi batterici e oltre 2mila virus. In Europa ce ne sono in Germania, Svezia, Belgio, Spagna, Francia e Paesi Bassi. E molte si stanno consorziando in enti europei: la Francia ospita l’archivio dei virus (Evag), il Regno Unito quello delle staminali (Ebisc).
E l’Italia? Ne ha 15, per lo più di tipo agro-alimentare. Come l’Umcc all’Università di Reggio Emilia: conserva lieviti e batteri usati per realizzare vino, aceto e formaggi, parmigiano in primis.
2. Budget
Che scopo ha tutta questa organizzazione? La conservazione è solo una parte del lavoro. La fase cruciale è l’invio di questo delicato materiale biologico.
«Le nostre collezioni», spiega Russell, «servono agli scienziati che studiano questi agenti patogeni, per fare test diagnostici oppure per sviluppare nuove cure, che siano antibiotici o vaccini».
Uno degli articoli più richiesti dell’anno, infatti, è il virus Zika: ha suscitato preoccupazioni in Brasile perché può causare malformazioni ai feti.
«Ne abbiamo 3 ceppi nella nostra Collezione», continua Russell. «Uno fu estratto nel 1962 da una zanzara catturata nella foresta di Zika in Uganda. Un secondo ceppo è stato isolato negli Usa da un uomo arrivato da Porto Rico nel 2015, e un terzo è stato prelevato dallo sperma di un paziente della Guadalupa, ricoverato nel Regno Unito: sarà disponibile a breve, per 298,5 €».
Ma perché pagare? Mantenere una biobanca costa. Per i primi 50 anni, quella britannica è stata finanziata dal ministero della Sanità: «Ma dal 1970 ci manteniamo da soli», dice Russell. «Il nostro budget annuo è di 5 milioni di sterline (5,83 milioni di €): l’80% arriva dalla vendita di materiale biologico, il resto da finanziamenti di altri enti».
Come si fa a spedire una provetta che in 0,15 g contiene milioni di virus Ebola o di bacilli dell’antrace?
«Abbiamo un’organizzazione ferrea, molto automatizzata, nella quale il tempo è il fattore cruciale: non possiamo permetterci che il materiale si distrugga o si perda. O che finisca nelle mani sbagliate», risponde Ana Deheer-Graham, coordinatrice scientifica della Collezione di batteri.
Il primo passo, infatti, è verificare le credenziali scientifiche di chi chiede i microorganismi: per poterli ricevere occorre essere uno scienziato di un laboratorio pubblico o privato dotato delle necessarie strutture di sicurezza, e aver compilato vari moduli per spiegare a quali scopi si richiede il virus o il batterio, impegnandosi a non cederlo ad altri.
«Non spediamo nulla senza aver controllato ogni dettaglio», aggiunge Russell. «Tutte le richieste devono essere autorizzate dal ministero degli Esteri: la verifica può durare anche 2 o 3 mesi, e nemmeno noi sappiamo quali controlli facciano. L’autorizzazione può dipendere anche dagli scenari politici».
3. Permessi
I Paesi più critici? «Quelli arabi e l’Iran. E le nazioni meno sviluppate, che spesso non hanno laboratori idonei dove conservare questi organismi», risponde Deheer-Graham.
«Ma anche l’invio negli Usa o in Australia è complicato per ragioni burocratiche: hanno leggi molto rigide sull’importazione di materiale biologico. Occorrono anche 3 mesi per avere tutti i permessi, ai quali si aggiunge il tempo del viaggio».
I batteri viaggiano in fiale: vengono disidratati, togliendo loro il 97% dell’acqua; poi si rimuove l’aria e si sigilla la fiala a fuoco: in queste condizioni, possono sopravvivere anche 50 anni.
I virus invece sono liofilizzati in piccole provette di plastica, oppure in sospensione liquida, e inseriti in un contenitore con ghiaccio secco, che li mantiene a –80 °C.
Si può richiedere anche solo l’Rna estratto dal virus: non è infettivo, ed è usato per fare la diagnosi delle infezioni. Ambo i prodotti viaggiano in confezioni infrangibili.
Un’équipe di 20 persone è dedicata solo alla logistica: prepara il materiale, lo impacchetta e lo affida a uno dei due corrieri specializzati reclutati dal governo britannico. E la spedizione viene monitorata fino alla consegna.
I microrganismi viaggiano anche in senso inverso: gli scienziati che scoprono nuovi focolai di infezione, oppure la mutazione di batteri o virus già noti, possono inviarli alla Collezione, perché li conservi per future ricerche.
Come ha fatto il medico australiano Barry Marshall: nel 1984 aveva ipotizzato che ulcere e gastriti fossero causate da un batterio, l’Helicobacter pylori. Ma gli scienziati dell’epoca lo contestavano, convinti che l’acidità dello stomaco ne impedisse la sopravvivenza.
Così Marshall, per dimostrare la validità della propria ipotesi, bevve una coltura del batterio: dopo due settimane si prese la gastrite. Marshall vinse il Nobel e inviò quegli Helicobacter a Londra.
Nella Collezione, infatti, sono conservati organismi che hanno fatto la storia: 16 colture furono depositate da Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina. L’Haemophilus influenzae, un batterio che può causare la meningite, lo estrasse direttamente dal suo naso.
I primi campioni della Collezione, fondata nel 1920 dal batteriologo Frederick William Andrewes, sono molto antichi: sono esemplari di un altro batterio, la Shigella dysenteriae, estratta dal corpo di Ernest Cable, il primo soldato britannico morto di dissenteria nelle trincee della Prima guerra mondiale.
4. Profili
«Questi ceppi antichi servono a studiare l’evoluzione dei microrganismi», commenta Russell.
«Li abbiamo forniti per uno studio internazionale su 330 ceppi di Shigella isolati nell’ultimo secolo. Si è scoperto che la dissenteria, tuttora un flagello in Asia e in Africa, è nata in Europa. Il 98% del suo genoma è rimasto identico, ma nel frattempo è diventato resistente a più antibiotici».
Dal 2014, la biobanca ha iniziato a studiare il genoma (Dna e Rna) di ogni microrganismo: grazie a sequenziatori computerizzati di ultima generazione, bastano 24 ore per tracciare il profilo genetico di ognuno dei pezzi in catalogo.
Il progetto, chiamato Nctc3000, è stato finanziato con 1 milione di sterline dal Wellcome Trust Sanger Institute, e i risultati sono pubblicati gratis sul sito, per la comunità scientifica internazionale.
La Collezione è un osservatorio privilegiato per monitorare i focolai di infezioni: sia attraverso gli ospedali del Regno Unito, sia con collaborazioni internazionali.
Nel 2011, per esempio, fu coinvolta quando in Germania scoppiò un’epidemia d’Escherichia coli enteroemorragica, un’infezione alimentare che contagiò più di 3mila persone causando 53 morti.
I microbiologi scoprirono che la fonte era un produttore di insalata che usava semi di fieno contaminati, importati dall’Egitto. E quel ceppo aveva sviluppato una capsula gastroresistente che lo rendeva più aggressivo nel causare l’infezione.
Nella Collezione c’è anche un nuovo temibile coronavirus, il Mers-Cov (Middle East respiratory syndrome coronavirus infection): ha un tasso di mortalità superiore a quello della Sars. «È stato isolato nel 2012, nei polmoni di un paziente proveniente dall’Arabia. Forse questa patologia si diffonde attraverso i cammelli».
Oggi, però, è più difficile far circolare questi microorganismi: le leggi antiterrorismo, quelle sul materiale biologico e sugli ogm rendono complicato il lavoro delle biobanche.
«In più», aggiunge Deheer-Graham, «manca una regolamentazione internazionale sull’invio di biomateriale. In passato era più facile farlo circolare; oggi, il protocollo di Nagoya (2010) stabilisce che gli eventuali vantaggi economici derivanti dall’uso di un organismo debbano essere suddivisi fra il Paese fornitore e quello ricevente. È più facile farlo in Europa che fuori».
5. Tessuti
Pur con tutte queste difficoltà, nell’ultimo anno le Culture Collections hanno inviato 25mila materiali biologici in tutto il mondo (Europa soprattutto).
I più richiesti, però, non sono batteri e virus, bensì le linee cellulari. Ovvero, campioni di tessuti umani sani o malati.
A Porton Down ne hanno oltre 40mila per 50 diversi tipi di tessuto. È in questa sezione l’articolo più caro della banca, il cancro alla cervice uterina: costa 574 €.
«Le linee cellulari sono fondamentali per testare nuovi farmaci o per verificare la tossicità di sostanze senza dover ricorrere a cavie viventi», spiega Russell. «Molte scoperte sul cancro al seno, sul diabete, o sull’effetto dei cosmetici sulla pelle sono state fatte su questi campioni. A patto che siano certificati».
Il che non è scontato: nel 2012 l’autorevole rivista scientifica Nature aveva invitato 56 laboratori a replicare i propri esperimenti in oncologia davanti a un esperto indipendente. Si scoprì che solo l’11% aveva usato modelli cellulari appropriati.
«Alcuni biologi credono di studiare le cellule tumorali del cancro al seno, e invece stanno facendo esperimenti su colture di cancro alla cervice uterina», dice Russell. «Per questo sempre più laboratori si rivolgono a noi per avere campioni Doc». Cosa succederà alle Culture Collections dopo la Brexit?
«Non sappiamo», risponde Russell. «Siamo preoccupati, come tutti gli scienziati britannici: la collaborazione con l’Europa è fondamentale e per ora continua. Siamo nati nel 1920 per fornire risorse certificate per il progresso della scienza. E ci crediamo ancora: il virus Ebola lo inviamo gratis proprio per favorire la ricerca di una cura».