Fino a non molto tempo fa, l’idea che la carne potesse arrivare nei nostri piatti da bioreattori di acciaio inossidabile anziché da un allevamento di bestiame sembrava pura e semplice fantascienza.
Dopo essere stata inizialmente battezzata vat meat, ossia “carne da vasca” – definizione assai poco attraente, che faceva pensare a una versione iper-tecnologica della banale carne in scatola – l’idea è passata attraverso svariate denominazioni.
A un certo punto si è parlato per un po’ di “carne da laboratorio”, giacché la scienza aveva perfezionato la tecnica appunto in ambiente di laboratorio, per poi passare a una preferibile “carne fabbricata”, che rifletteva il fatto che la nuova tecnologia stava ricevendo investimenti importanti da personaggi d’alto profilo e che si trattava di un prodotto creato con cura, come la birra.
Oggi, la denominazione preferita dalle aziende che se ne occupano è “carne coltivata”.
Ma, comunque si decida di chiamarla, in un mondo in cui la sicurezza alimentare globale è a rischio e gli allevamenti figurano tra i principali colpevoli del cambiamento climatico, la carne che non deriva da fonti animali diventa di giorno in giorno una prospettiva sempre più interessante.
1. OME VIENE FABBRICATA? QUANTO È DIVERSA DALLA CARNE ANIMALE? È NUTRIENTE QUANTO LA CARNE VERA? DOVE SI COMPRA?
La carne coltivata non proviene da un animale vivente che respira, mangia e beve, bensì da ambienti artificiali che vanno dalla provetta al bioreattore d’acciaio.
Il procedimento è nato nell’ambito delle ricerche sulla medicina rigenerativa, tant’è vero che il professor Mark Post dell’Università di Maastricht, che nel 2013 ha creato il primo hamburger di carne coltivata al mondo, ha iniziato studiando metodi per riparare il tessuto cardiaco umano danneggiato.
Le cellule di partenza, ottenute da un soggetto animale tramite un’innocua biopsia, vengono inserite in un contenitore sterile riscaldato e immerse in una soluzione chiamata “medium di coltura”, che si compone di sostanze nutritive come sali, proteine e carboidrati. Ogni ventiquattro ore, il volume totale delle cellule raddoppia.
Nella foto sotto, carne coltivata presso l’Università di Maastricht nel 2011. Due anni dopo, gli scienziati hanno presentato al mondo il primo hamburger totalmente creato in laboratorio.
Una coltura cellulare non produce tagli di carne con ossa e pelle e venature di grasso come sarebbe in una bistecca vera e propria. Le cellule muscolari, per crescere, richiedono condizioni ambientali e sostanze nutritive diverse da quelle del grasso, quindi devono essere prodotte separatamente.
Quello che si ottiene alla fine, che si tratti di carne pura o grasso, ha la forma di una pasta amorfa di cellule: proprio per questo i primi alimenti prodotti con questa carne sono stati hamburger e pepite di pollo.
Il sapore, comunque, è quello della carne vera. Essendo prodotta in ambiente sterile, il rischio di contaminazione da malattie o agenti chimici è molto ridotto rispetto all’agricoltura convenzionale, dove invece, nelle parole di Josh Tetrick, Amministratore Delegato dell’azienda GOOD Meat di San Francisco, “animali vivi vengono macellati sul pavimento.
Se si pensa alle contaminazioni da salmonella, Escherichia coli e materia fecale che sono parte integrante dell’allevamento animale, la prospettiva della carne coltivata ne esce ancora migliore”. Nella foto sotto, l’Amministratore Delegato di GOOD Meat, Josh Tetrick.
Un portavoce di UPSIDE Foods, altra azienda di San Francisco leader nel settore della carne coltivata, spiega che il profilo nutrizionale di base è simile, ma sarà possibile modificarlo e persino personalizzarlo: “Stiamo esplorando sistemi – spiega – per migliorare l’apporto nutritivo dei nostri prodotti, che si tratti di ridurre i grassi saturi e il colesterolo o di aumentare la presenza di vitamine e grassi salutari. Immaginate, per esempio, che si possa produrre una bistecca con gli acidi grassi del salmone o che i clienti possano personalizzare il profilo nutrizionale dei prodotti per adattarlo alle necessità della loro dieta”.
Per il momento, comunque, i prodotti a base di carne coltivata presenti sul mercato e che richiedono un’etichettatura alimentare precisa sono davvero pochi, per questo dovremo aspettare un po’ prima di capire meglio il loro valore nutrizionale. Nella foto sotto, pollo coltivato da UPSIDE Food.
Ma dove si compra? A Singapore è già in vendita. L’azienda di Josh Tetrick, GOOD Meat, produce e vende la sua carne di pollo coltivata già dal dicembre 2020 per eventi speciali in un ristorante di lusso della città e nel leggendario chiosco di Mr. Loo.
Sia le pepite impanate che gli straccetti di pollo hanno ricevuto una buona accoglienza. Josh Tetrick riferisce che la sua azienda ha avanzato richiesta di approvazione alla FDA degli Stati Uniti, ma non ci sono ancora tempistiche ufficiali.
Altre aziende del settore spiegano che anche altri Paesi occidentali sono al lavoro sull’iter di approvazione, ma la produzione entrerà nel vivo solo tra qualche anno, ad approvazione ottenuta.
2. DA UN PUNTO DI VISTA ETICO LA PUÒ MANGIARE CHIUNQUE?
Ora che il siero fetale bovino sta andando fuori dai giochi, se ne avessero voglia, i vegani potrebbero eticamente mangiare la carne coltivata. L’aspetto religioso, però, è un po’ più complicato.
L’ebraismo e l’Islam impongono norme molto specifiche sulla macellazione degli animali e la preparazione della carne, perché quest’ultima possa essere dichiarata lecita: per questo la carne coltivata è destinata a scatenare accese discussioni tra i leader religiosi in giro per il mondo.
Le interpretazioni delle Scritture sacre variano geograficamente e, in alcune zone, le polemiche sono già cominciate. Per esempio, la carne coltivata ricavata da cellule di carne kosher o halal si può considerare a sua volta pura?
In Indonesia, il Paese con la più elevata popolazione musulmana al mondo, l’influente organizzazione islamica Nahdlatul Ulama ha dichiarato ufficialmente che la carne coltivata rientra “nella stessa categoria della carne delle carcasse, che è impura e di cui è vietato il consumo”.
All’opposto, il Qatar, Paese a maggioranza musulmana, sta investendo massicciamente in questa nuova tecnologia e sta costruendo un impianto di produzione in collaborazione con GOOD Meat.
Nel frattempo, nella Beth Din (la Corte del Rabbino Capo) di Londra c’è molta eccitazione per l’ipotesi di una carne che possa essere considerata cibo neutro davanti alla legge kosher.
I cibi che rientrano nelle categorie di carne e latticini vanno tenuti separati, per cui una carne che fosse considerata neutra potrebbe rappresentare un ottimo compromesso e portare persino a carni kosher più convenienti, dato che generalmente il prezzo di questi alimenti è piuttosto alto.
Rabbi Conway dice: “Questa nuova tecnologia potrebbe rappresentare una straordinaria opportunità per il consumatore kosher. Se la carne coltivata diverrà disponibile su scala commerciale, ci serviranno tutte le informazioni sul processo di fabbricazione e sugli ingredienti usati per poter decidere se è kosher o no, ma esiste la reale possibilità che tutto ciò renda più semplice e più economica la vita di questi consumatori”.
3. È UN VANTAGGIO PER L’AMBIENTE?
La verità è che non lo sapremo finché non sarà cominciata la produzione di massa. Anche solo elaborare un modello di impatto potenziale per un’industria biotecnologica totalmente nuova e ancora in fase di sviluppo comporta infiniti dubbi e zone d’ombra.
Uno studio condotto nel 2019 dall’Università di Oxford, per esempio, suggerisce che l’energia necessaria alla coltivazione della carne rilascerebbe più gas serra degli allevamenti tradizionali.
Pelle Sinke, ricercatore presso l’azienda olandese di consulenza sulla sostenibilità ecologica CE Delft, non coinvolta nella ricerca di cui sopra, nota che la parte dello studio che presuppone la necessità di grandi quantitativi di energia prodotta con combustibili fossili sottolineerebbe proprio l’importanza di impiegare fonti energetiche rinnovabili per la produzione della carne coltivata.
“In determinati scenari – spiega – la carne coltivata andrebbe a incrementare il riscaldamento globale, in altri andrebbe a ridurlo. Dipende tutto dai livelli di consumo, dai quantitativi di energia che ci aspettiamo di dover usare e dagli allevamenti convenzionali con i quali si fa il paragone”.
Fa notare, inoltre, che lo studio non tiene in considerazione il fatto che la carne coltivata richiede l’utilizzo di una minore superficie di terreno. “Quella stessa terra si potrebbe reimpiegare per produrre proteine vegetali, prodotti naturali ed energia rinnovabile, che a sua volta andrebbe a incidere sulla produzione generale di anidride carbonica”.
Il team di Pelle Sinke sta indagando anche sull’impatto ambientale della nuova tecnologia: il ricercatore ritiene che la carne coltivata non sia la bacchetta magica che risolverà tutti i problemi, ma “ha comunque una certa potenzialità per il fatto stesso di offrire un’alternativa più sostenibile alla produzione di carne tradizionale. In altre parole, è un metodo più efficiente per trasformare i raccolti agricoli in carne, dunque richiede meno terra per produrre quei raccolti. Il problema è che impiega più energia. Perché la sua impronta carbonica diventi inferiore a quella della carne convenzionale, è fondamentale che si impieghino fonti di energia rinnovabili in tutta la filiera, inclusa la catena di distribuzione di tutti gli ingredienti che servono alla preparazione del medium di coltura”.
Tutte le aziende intervistate per questo articolo – Mosa Meat, GOOD Meat e UPSIDE Food – comprendono bene che integrare l’energia rinnovabile nella produzione è un punto essenziale.
4. QUALI SFIDE ABBIAMO ANCORA DAVANTI?
- Un medium di coltura vegano
Fino a tempi recenti, per dare il via alla replicazione cellulare, il medium di coltura doveva essere composto per almeno il 20% di siero fetale bovino, estratto per l’appunto da un feto di mucca. Si tratta però di una sostanza non solo costosissima, ma anche non vegetariana.
Oggi, però, tutti i principali produttori dispongono di un’alternativa. Quest’anno, il professor Post e il suo team hanno pubblicato un articolo accademico sul progetto di utilizzare lievito geneticamente modificato per produrre le stesse proteine presenti nel siero fetale.
Il procedimento, chiamato “fermentazione di precisione”, è simile a quello con cui si produce l’insulina a uso medico: insomma, non è solo per il pane e per la birra che dobbiamo ringraziare il lievito! Il professor Post spiega che esiste un intero nuovo settore industriale dedicato alla coltivazione su vasta scala di microrganismi produttivi.
Tuttavia, Josh Tetrick ammette che queste alternative presentano ancora degli ostacoli da superare e che il pollo coltivato di Singapore per il momento si produce con il siero fetale: “Non per nostra volontà – precisa – ma perché era presente quando abbiamo originariamente chiesto l’approvazione, e ora siamo in attesa che venga approvata la nuova norma per poter passare a una produzione che non lo preveda”.
- La produzione di massa
Josh Tetrick spiega che il prossimo grosso ostacolo sarà il passaggio alla produzione su larga scala, quando sarà necessario ottenere “un minimo di 6,8 milioni di chilogrammi di carne all’anno in ogni stabilimento, vale a dire il quantitativo stimato per una buona distribuzione nazionale in tutta l’Europa occidentale o negli Stati Uniti”.
Per questo, serviranno bioreattori da almeno duecentomila litri l’uno, che fino a oggi nell’industria della cultura cellulare non sono mai esistiti. “La gente mangia carne coltivata ogni settimana a Singapore... e il bioreattore più grande con cui la produciamo adesso è da milleduecento litri. Insomma, è piccolissimo se lo confrontiamo con quelli di cui ci sarebbe bisogno. A mio parere, questa è la principale limitazione che grava sull’intero settore industriale”.
Solo quando la produzione avrà raggiunto determinate proporzioni, il prezzo potrà scendere e diventare competitivo con quello della carne degli allevamenti intensivi: per il momento, GOOD Meat, vendendo piatti pronti da chiosco a quattro dollari di Singapore (circa 2,7 euro), lavora in perdita.
Quando verranno lanciati in Occidente, i prodotti a base di carne coltivata inizialmente si troveranno solo nei ristoranti di lusso: dopo aver fatto guadagnare un po’ i produttori, con le economie di scala, arriveranno via via anche nei supermercati.
- La consistenza
È vero che buona parte della carne consumata nel mondo consiste in hamburger, salsicce e nugget, ma che fare quando vogliamo una bella bistecca spessa e succulenta? Come possiamo trasformare una pasta di carne in un taglio scelto?
Le risposte sono in continua e rapida evoluzione, ma la soluzione cui sta lavorando attualmente GOOD Meat è associare la carne di pollo coltivata a proteine vegetali più strutturate.
I nugget venduti a Singapore sono fatti di pollo solo al 75%: “Il resto – spiega Josh Tetrick – è formato da leganti e riempitivi. Stiamo tentando di ottimizzarli sulla risposta sensoriale e sull’esperienza personale dei consumatori, in base a sapore, consistenza, profilo aromatico e costo”.
I pionieri dell’agricoltura cellulare sostengono che gli hamburger e il pollo a poco prezzo al momento impiegano da soli la maggior parte di quel terzo della superficie planetaria che abbiamo deputato a coltivare nutrimento per animali, dunque sono i prodotti più urgenti e più facili da immettere sul mercato.
Josh Tetrick dice che per far raggiungere alla carne coltivata la consistenza di una vera bistecca è necessaria una tecnologia di costruzione dei tessuti, grazie alla quale si può ricreare la struttura interna della carne. E questa costruzione avverrà verosimilmente grazie al collagene vegetale.
5. CHE COSA ACCADRÀ ALLE FATTORIE E AI LORO ANIMALI SE LA CARNE COLTIVATA DOVESSE PRENDERE PIEDE?
"A nostro parere – dice il professor Post – è possibile che negli anni a venire gli animali delle fattorie più piccole possano essere ancora utilizzati per produrre carne e latticini di qualità superiore. Per questa transizione delle proteine nella nostra alimentazione serviranno decenni e, a parte questo, le innovazioni di rado rimpiazzano completamente le pratiche già esistenti. L’agricoltura cellulare ha il potenziale per creare un rapporto maggiormente simbiotico e più equilibrato tra le piccole fattorie, i consumatori e il Pianeta”.
Il team del professore collabora già con una fattoria dei Paesi Bassi, che alleva bovini di razza Limousine di alta qualità, non per il macello, ma solo per fornire cellule di coltura agli hamburger della Mosa Meat.
“Proprio come gli allevamenti hanno bisogno di foraggio per gli animali dalle fattorie tradizionali, anche noi abbiamo bisogno di nutrimento per le nostre colture cellulari, che necessitano delle stesse sostanze nutritive che si usano per le mucche. Per questo collaboriamo con le fattorie per procurarci il nutrimento per le nostre cellule”.
UPSIDE Food si muove in maniera molto simile, mentre Josh Tetrick spiega che GOOD Meat sta sviluppando a sua volta una linea di carne bovina usando cellule fornite dall’azienda giapponese Toriyama, che produce manzo wagyu di alta qualità.
“Ecco un altro aspetto interessante della carne coltivata: possiamo partire da cellule della massima qualità e il costo rimane invariato”.