La curiosità, uno dei nostri più grandi punti di forza

I testi scolastici raccontano che il batteriologo britannico Alexander Fleming scoprì nel 1928 le proprietà antibatteriche della penicillina.

Tuttavia, è meno noto che la muffa che aveva contaminato le sue piastre in laboratorio fosse troppo fragile e lenta nella sua crescita per poter essere coltivata su larga scala.

Pertanto, se oggi possiamo usufruire degli antibiotici per curarci, dobbiamo ringraziare l’intuizione brillante di Mary Hunt, una microbiologa presso il Northern Regional Research Laboratory di Peoria, Illinois (USA), che giunse a questa scoperta 13 anni dopo.

In una calda giornata dell’estate del 1941 la scienziata rientrò in ufficio con un melone ammuffito salvato dagli scarti del mercato della frutta: quella muffa dorata si rivelò capace di produrre 200 volte più principio attivo rispetto a quella di Fleming e permise di avviare la produzione industriale di penicillina pura negli Stati Uniti.

Se non fosse stato per la capacità di Hunt (nella foto sotto) di non fermarsi all’ovvio e chiedersi che cosa ci fosse su quel frutto da buttare, ci saremmo privati di una delle più grandi conquiste della medicina moderna.

1. CIRCOLO VIRTUOSO

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La curiosità è il motore dell’esplorazione umana e della ricerca scientifica, la scintilla che dirige i nostri interessi e motiva gli sforzi nello studio e nel lavoro.

È uno dei nostri più grandi punti di forza, eppure per la scienza questo così fondamentale stato psicologico è ancora poco noto: le sue basi neurologiche sono tuttora oggetto di indagine.

Non c’è accordo nemmeno sulla definizione di “curiosità”. Ridotta all’osso, infatti, si tratta della spinta a raccogliere informazioni sul mondo, una prassi che ci accomuna agli organismi più elementari.

Ma è evidente che c’è una bella differenza tra un’ameba intenta a esplorare il proprio habitat e la sete di conoscenza che in alcuni membri della nostra specie (come Leonardo da Vinci) ha toccato vette ineguagliabili.

Che cos’è dunque la curiosità? Che cosa la alimenta? Come cambia nel tempo e perché certe persone sono più curiose di altre? «La curiosità è la forza trainante dell’apprendimento delle cose del mondo», spiega Celeste Kidd, neuroscienziata dell’Università della California a Berkeley.

«È ciò che ci motiva a far ricerca sulle questioni che non capiamo, in modo da imparare da esse. È come un circolo continuo che opera al di sopra della nostra comprensione: ci attira verso l’incertezza, e in questo modo ci aiuta ad apprendere come funziona il mondo».

Chi è curioso “sa di non sapere” e allo stesso tempo non vede l’ora di capirne di più, in un piacevole e inesauribile circolo vizioso: «Per realizzare che si sta sperimentando un certo grado di incertezza, c’è bisogno di masticare almeno un poco di un dato argomento», continua Kidd.

«Una volta che ci si trova nell’incertezza, la curiosità interviene per motivarci a risolverla: si impara ancora un po’ e così si diventa “non certi” su nuove cose. In sostanza è una raffinata soluzione evolutiva per motivare le creature intelligenti a continuare a espandere le loro conoscenze nel corso della vita».

2. EFFETTO RICCIOLI D’ORO

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Le cose che attirano la nostra curiosità sembrano rispondere a una legge universale sul grado di incertezza che devono sollecitare.

«Desideriamo trovare cose da apprendere che siano un po’ più sorprendenti e nuove rispetto a quelle che sappiamo, ma non troppo», chiarisce Kidd.

In un esperimento, la scienziata ha messo alla prova l’attenzione di bambini di 7 e 8 mesi con una serie di stimoli visivi di predicibilità variabile, come camion dei pompieri giocattolo che venivano nascosti da un pannello per ricomparire, oppure no, quando il pannello veniva sollevato.

In alcuni casi il giocattolo era sempre presente, in altri ricompariva con una probabilità molto bassa, in altri casi con un livello di certezza intermedio. «Attraverso esperimenti di eye tracking (in cui si segue la direzione dello sguardo del bambino) abbiamo osservato che i bambini sono interessati soprattutto agli eventi che sono appena un po’ sorprendenti rispetto a quello che già sanno.

Lo sono meno rispetto a quelli che sono o eccessivamente attesi (poiché non offrono opportunità di imparare e quindi annoiano) e a quelli troppo sorprendenti. Lo chiamiamo Effetto Riccioli d’Oro: a partire dall’infanzia, i bambini ricercano materiale che riserva il giusto livello di sorpresa rispetto al loro attuale schema di aspettative sul mondo», continua la studiosa.

L’espressione si riferisce al concetto di “giusta misura” al centro della favola di Riccioli d’Oro e i tre orsi, in cui la bambina che entra nella casa dei tre orsi e mangia dai loro piatti si accorge che la zuppa più buona è quella né troppo calda né troppo fredda.

3. PREDIRE IL MONDO

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«In fondo si tratta di una strategia utile a rimuovere mentalmente il materiale che è ancora fuori dalla portata rispetto a quello che il bambino è pronto a imparare. Immaginate di dover scegliere un libro da leggere da uno scaffale», aggiunge Kidd.

«Non vorreste un libro in una lingua straniera che non sapete leggere o su un tema che non vi è familiare: vi mancherebbero le conoscenze di base per capirci qualcosa».

La studiosa ha scoperto che anche i macachi rhesus sono più attratti dagli eventi moderatamente sorprendenti rispetto a quelli molto prevedibili o troppo ricchi di novità, e questo succede anche in assenza di obiettivi specifici o ricompense: è quindi un comportamento spontaneo, una strategia evolutiva conservata nel tempo per guidare l’intelligenza verso il materiale più utile da imparare in quel momento.

Nei bambini, quindi, la curiosità serve a ridurre il margine di errore nelle loro predizioni su come è fatto il mondo. «Spesso le persone mi chiedono come si fa a recuperare da adulti la curiosità che avevano da bambini», scherza Kidd.

«Non è una cosa poi così desiderabile. Sia gli adulti sia i bambini hanno una curiosità intensa. Ciò che cambia è l’obiettivo della loro curiosità. I bambini sanno molto poco del mondo, per cui hanno oggetti di interesse molto diffusi: ogni cosa è per loro abbastanza interessante perché non sanno molto praticamente di nulla. Al contrario, gli adulti hanno avuto il tempo di formare interessi specializzati che diventano il target della loro curiosità, e tendono a essere più curiosi di un gruppo di cose più limitato rispetto ai bambini. Ma l’intensità di quella spinta non sappiamo se sia diversa tra bambini e adulti».

4. IL PIACERE DELLA SCOPERTA

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Proprio perché con il passare dell’età ci specializziamo, è comunque importante sforzarsi di coltivare quel tipo di curiosità che si rischia di perdere, quella intesa come l’entusiasmo per l’esplorazione: lo si può fare assaggiando cibi che di solito non cuciniamo, ascoltando nuovi podcast, viaggiando, imparando a fare domande alle persone che ci capita di incontrare.

Anche perché un cervello curioso riserva benefici collaterali inattesi, per esempio sulla memoria.

«Quando qualcosa stimola la nostra curiosità, mobilita i circuiti cerebrali che processano il neurotrasmettitore dopamina», spiega Charan Ranganath (foto sotto), neuroscienziato dell’Università della California a Davis.

«La dopamina ha molte funzioni, ma è importante soprattutto perché stimola le persone a perseguire un obiettivo, sia esso concreto come una pizza quando si ha fame o astratto come la ricerca di informazioni. La dopamina ha un impatto sulla nostra attenzione, perciò siamo più disponibili a concentrarci su ciò che è rilevante. Questa molecola favorisce anche la plasticità cerebrale, cioè l’abilità dei circuiti neurali di immagazzinare nuove informazioni. Per cui, se parti del nostro cervello vengono inondate di dopamina e nel corso di questo processo si incontra qualche altro elemento che non c’entra, è più probabile che si formino nuovi ricordi anche su ciò che si è incontrato».

In pratica, una elevata curiosità verso un certo argomento mette il cervello in uno stato in cui è più probabile imparare e trattenere informazioni, anche se queste non sono di particolare interesse o importanza. «Ecco perché per i network televisivi è così efficace piazzare le pubblicità verso la fine dei film pieni di suspense: è il momento in cui siamo più ricettivi al loro messaggio».





5. INDISPENSABILE A SCUOLA. DALLA NASCITA

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Matthias Gruber (foto sotto), neuroscienziato dell’Università di Cardiff (Regno Unito), ha chiesto ad alcuni volontari di valutare la loro curiosità rispetto a una serie di domande di cultura generale, e ha analizzato la loro attivazione cerebrale mentre aspettavano la risposta per 14 – interminabili – secondi.

Le domande avevano stimolato l’attività nel mesencefalo e nel nucleus accumbens, le stesse aree che si attivano quando pregustiamo ricompense in cibo o in denaro. Solo che in questo caso la ricompensa era cognitiva.

«Le due aree attivate dalla curiosità sono parte del circuito dopaminergico, anche conosciuto come “brain wanting system”. Questo termine cattura molto bene quello che la curiosità fa al cervello: ci fa desiderare più informazioni e poi ci aiuta a cercare più informazioni», dice Gruber.

In una variante dell’esperimento, mentre i partecipanti attendevano di vedere la risposta alla domanda, è comparsa nella schermata la foto di un volto con espressione neutrale.

Nei test successivi si è visto che quando le persone erano molto interessate alla risposta si ricordavano meglio anche quei volti sconosciuti, perfino a distanza di 24 ore. Una scoperta che potrebbe essere usata, per esempio, nell’insegnamento: si potrebbero usare temi stimolanti come strumento per far ricordare anche tutta una serie di nozioni ostiche.

È il caso quindi di dire: fortunato chi è curioso. Ma come mai alcune persone sono più curiose di altre? «Esiste un tratto di personalità chiamato “apertura all’esperienza” che sembra correlato ai benefici della curiosità nelle nostre ricerche. Le persone valutate alte in apertura tendono a essere attratte dalle cose nuove e danno valore alla diversità nei loro gruppi sociali e nelle loro esperienze. Insomma, curiosi si nasce», risponde Ranganath.

«Di contro, sospettiamo che l’ansia possa ridurre la curiosità, anche se non abbiamo ancora sufficiente evidenza per esserne certi. Se sei ansioso, avrai dubbi sulle tue capacità di avere a che fare con l’inaspettato. Per esempio, alcuni bambini davanti a un difficile problema di matematica potrebbero essere spinti dalla curiosità a risolverlo. Altri potrebbero vedere quel problema e concludere che non ce la possono fare, diventando poi ansiosi anche nei confronti della matematica in generale».








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