La dinastia estense poteva vantare origini molto antiche.
Quasi sicuramente, infatti, le radici della casata principesca dell’Italia padana possono essere ricondotte ad un passato longobardo.
Il nucleo originario del loro potere, prima che riuscissero ad estendere il loro dominio, risiedeva in un piccolo centro oggi in provincia di Padova e che tutt’ora porta il nome dei suoi antichi signori, ma nel corso dei secoli la storia degli Estensi sarà sempre profondamente intrecciata con quelle della città di Ferrara prima e di Modena poi.
Nel tempo Ferrara diventerà il nuovo fulcro del loro potere e proprio grazie ai suoi signori si eleverà, nel Rinascimento, al rango di capitale europea dell’arte e della cultura.
Matrimoni propizi, politiche spregiudicate e una saggia amministrazione. Con questa formula la famiglia d’Este riuscì a sedere sui troni più importanti d’Italia e d’Europa.
1. Le radici di questa prestigiosa casata
Si dice Este e si pensa Ferrara, ma in realtà le radici di questa prestigiosa casata affondano nel territorio padovano, nell’omonimo feudo in cui, nel 1073, si stabilì Alberto Azzo II, il vero capostipite del casato.
Era il pronipote del marchese Oberto degli Obertenghi, che l’imperatore Ottone I di Sassonia aveva creato conte palatino.
Le sorti della casata s’intrecciarono ancora con la Germania nella seconda metà dell’XI secolo, quando il duca di Carinzia Guelfo III morì senza eredi nel 1055 donando i suoi feudi al monastero di Altdorf, in cui si era ritirata sua madre in veste di badessa.
A sua volta fu lei a consegnarli a Guelfo IV (foto piccola in alto a sinistra), figlio di una sorella di Guelfo III e di Alberto Azzo II. Guelfo IV divenne così un membro della casa dei Welfen, i famosi Guelfi, che nei secoli a venire avrebbe dato origine alla stirpe degli Hannover.
Era la stessa famiglia che nel Settecento, trasferitasi dalla Germania in Inghilterra, avrebbe cinto la corona del più vasto impero coloniale mai conosciuto. La continuazione del ramo italiano fu affidata invece a Folco, figlio di secondo letto di Alberto Azzo II.
Da questo momento in poi, le vicende degli Este proseguirono in modo più lineare. Nel 1196 Azzo VI fu eletto podestà di Ferrara quando la città era ancora un libero Comune. Scacciato da una sollevazione ghibellina, tornò nel 1208, riprendendosi Ferrara e imponendole la propria dinastia.
Sul finire del Duecento gli Estensi ottennero anche la signoria di Modena e Reggio, finché, dopo alcuni decenni di alterne fortune, grazie alla capacità di mantenersi in posizione equilibrata tra papato e Impero, la casata si consolidò, dando vita a uno Stato piccolo ma molto influente.
La casata tedesca di Hannover, fu succeduta agli Stuart sul trono di Gran Bretagna e Irlanda nel 1714. La regina Vittoria, incoronata nel 1837, era proprio una Hannover.
Collocando figli e nipoti sui più ambiti troni del Vecchio Continente, si guadagnò il soprannome di “nonna d’Europa”. Ed è attraverso di lei, in fondo, che gli Este riuscirono a regnare su mezzo mondo.
Nella foto sotto, un ritratto di Leonello d’Este, eseguito da Pisanello nel 1441. Leonello era il secondo dei tre figli illegittimi che Nicolò III d’Este aveva avuto da Stella de’ Tolomei. La sua educazione rispecchiava la concezione dell’uomo ideale, completo nel corpo e nello spirito: la formazione culturale gli fu assicurata dall’umanista Guarino Veronese, quella militare dal famoso condottiero Braccio da Montone.
2. Alla conquista di Ferrara
L’artefice della raggiunta stabilità fu Niccolò III (1392-1441), nella foto acanto, abile statista e seduttore infaticabile.
Secondo un adagio popolare ferrarese tramandatoci dallo scrittore cinquecentesco Matteo Bandello, «dietro al fiume Po trecento figli del marchese Niccolò hanno tirato l’alzana delle navi».
Il malizioso riferimento era alla schiera innumerevole di figli e figlie che il marchese avrebbe disseminato sul territorio nell’arco di sessant’anni di vita, onorando con la propria virilità ben ottocento donne.
Nel 1425, Niccolò fu protagonista di uno degli episodi più noti e tragici del Medioevo italiano.
In quell’anno, infatti, mandò a morte la seconda moglie, la giovane Laura Malatesta (detta “la Parisina”), e il figlio Ugo, nato dalla sua favorita, Stella de’ Tolomei (nota anche come Stella dell’Assassino), colpevoli di adulterio.
Li aveva colti in flagrante il 18 maggio, e già tre giorni dopo i due sfortunati amanti salivano al patibolo, uniti in morte come lo erano stati, brevemente, in vita. Dopo il sanguinoso episodio, destinato a ispirare nell’Ottocento poemi e tragedie, Niccolò III si risposò per la terza volta, nel 1429.
La prescelta era Ricciarda di Saluzzo, discendente in linea paterna da Galeazzo I Visconti, signore di Milano. Nel giro di quattro anni Ricciarda gli diede due figli, Ercole, nel 1431, e Sigismondo, nel 1433.
Tuttavia, alla morte di Niccolò, occorsa nel 1441, gli subentrarono, uno dopo l’altro, i figli illegittimi avuti da Stella de’ Tolomei e pertanto fratellastri dello sventurato Ugo: prima Leonello e poi Borso, che divenne signore di Ferrara nel 1450.
Se Leonello era un rappresentante sincero e appassionato del trionfante Umanesimo quattrocentesco, fu Borso a donare a Ferrara la sua autentica età dell’oro.
Politico accorto, benché spregiudicato e a tratti ambiguo, seppe garantire alla città un lungo periodo di prosperità economica, facendone nel contempo una vera capitale culturale.
Fu lui, infatti, il committente degli splendidi affreschi che impreziosiscono Palazzo Schifanoia (fatto erigere nel centro di Ferrara da Alberto V d’Este, nel 1385), realizzati dai maestri Cosmé Tura e Francesco del Cossa.
Borso fu anche un amministratore attento: si devono a lui alcuni significativi mutamenti del territorio, come la bonifica delle paludi presenti soprattutto nel Polesine, al fine di rendere fertili quelle terre improduttive e insalubri.
Per questo motivo, tra le insegne ducali figura l’immagine di un unicorno che purifica l’acqua immergendovi il corno.
Nella foto sotto, Borso dona una moneta al suo buffone, nel Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia a Ferrara.
3. Matrimoni strategici
Un’abile mossa diplomatica di Borso fu il consolidamento di ottimi rapporti con l’Impero germanico, in virtù dei quali, nel 1452, riuscì a ottenere il rango di duca, sia pure soltanto in relazione ai possedimenti di Modena e Reggio.
Quanto a Ferrara, all’epoca sotto giurisdizione papale, dovette attendere fino al 1471 perché il pontefice Paolo II gli concedesse il titolo di duca della città.
Borso si spense a 58 anni senza eredi, e per questo motivo lasciò che alla sua morte il Ducato di Ferrara passasse a Ercole, il quale nel frattempo aveva completato la sua formazione culturale, politica e militare alla corte del Regno di Napoli.
Il lungo soggiorno partenopeo diede i suoi frutti quando, il 3 luglio 1473, Ercole I d’Este sposò Eleonora d’Aragona, figlia di Ferdinando I di Napoli. Cresciuto nel raffinato ambiente culturale napoletano, una volta divenuto duca, Ercole si rivelò un magnifico mecenate.
Fu grazie a lui che i due principali cantori italiani dell’epopea cavalleresca di Orlando, Matteo Maria Boiardo e Ludovico Ariosto, poterono partorire le loro opere immortali.
Ercole seppe essere anche un abile statista, e grazie a un’accorta politica matrimoniale riuscì a collocare molti dei suoi figli in posizioni strategiche per l’avvenire della casata.
Così, nel 1502, aveva lasciato che il figlio Alfonso sposasse Lucrezia Borgia (nella foto piccola in alto a sinistra), la giovane e chiacchierata figlia di papa Alessandro VI, che a soli 21 anni aveva già alle spalle due matrimoni: il primo con Giovanni Sforza di Pesaro, annullato dal papa padre, e il secondo con Alfonso II di Napoli, finito tragicamente con la morte di quest’ultimo per mano del fratello di Lucrezia, Cesare.
Alfonso, però, non era per nulla impressionato dalla discutibile fama dei Borgia; piuttosto, lo preoccupava la tresca tra Lucrezia e il cognato Francesco II Gonzaga.
Nel 1490, costui aveva sposato la sorella maggiore di Alfonso, la splendida Isabella d’Este, la quale riceveva da Ferrara minuziosi rapporti sui comportamenti a dir poco disinvolti della vivace Lucrezia.
Colta, raffinata ed elegante, fu una delle personalità femminili più ammirate e autorevoli del Rinascimento, capace di reggere il marchesato in assenza del marito e per conto del figlio.
Matteo Bandello la definì “suprema tra le donne” e il diplomatico Niccolò da Correggio la chiamò “la prima donna del mondo”.
Nel 1506, appena succeduto al padre Ercole I, Alfonso I ospitò a Ferrara Francesco Gonzaga, in occasione del Carnevale.
Gli informatori di Isabella, rimasta a Mantova, testimoniavano che durante i festeggiamenti «Sua Signoria ha accarezzato assai il Signor marchese e con sua Eccellenza dansò il primo ballo».
Anzi, pur essendo incinta, Lucrezia danzò con tanta foga che ebbe un malore e abortì, mandando il marito su tutte le furie.
Come se non bastasse, in quello stesso anno Alfonso dovette far fronte alla congiura ordita dai suoi stessi fratelli, Ferrante e Giulio, che miravano a spodestarlo: il complotto fu sventato e i due imprigionati nelle segrete del Castello Estense.
Nella foto sotto, Il Castello Estense è il simbolo di Ferrara. Eretto nel 1385 dal marchese Niccolò II dopo una rivolta popolare, venne più volte ristrutturato nel corso dei secoli, perdendo via via il carattere di fortezza.
4. Verso il declino
La relazione tra la duchessa di Ferrara e il marchese di Mantova proseguì per un paio d’anni, favorita dal poeta Ercole Strozzi, intermediario compiacente, che però, nel 1508, fu assassinato in circostanze rimaste misteriose, alle quali probabilmente Alfonso non fu estraneo.
Benché la liaison tra i due amanti continuasse, Lucrezia diede al marito sei figli, fra cui l’erede diretto Ercole e il futuro cardinale Ippolito.
Nel 1519 partorì una bambina, che morì poche ore dopo; la stessa Lucrezia, colta da febbre puerperale, si spense di lì a pochi giorni, sinceramente pianta dalla famiglia e da tutta Ferrara.
Alfonso venne a mancare nel 1534 e gli succedette il figlio Ercole II, il quale, costretto a barcamenarsi (con successo) tra Francia e Spagna nell’epoca tumultuosa delle guerre d’Italia, riuscì a mantenere Ferrara nel suo ruolo di centro culturale.
Alla sua morte, nel 1559, il suo posto fu preso dal figlio Alfonso II, ma la stella degli Este iniziava a declinare. Alfonso morì nel 1597 senza eredi, designando come suo successore il cugino Cesare.
Tuttavia, essendo Ferrara un feudo pontificio, nel 1598 papa Clemente VII sollevò delle obiezioni e approfittò dell’occasione per appropriarsi della città e dell’intero territorio, portando il Ferrarese sotto il diretto controllo della Chiesa. La spregiudicata operazione venne chiamata “devoluzione di Ferrara”.
Cesare d’Este, appartenente a un ramo cadetto della casata, rimase in possesso del Ducato di Modena e Reggio, trasmesso ai suoi discendenti.
La fusione con gli Asburgo originò il ramo degli Asburgo-Este, che avrebbe regnato su quelle terre d’Emilia fin quasi all’Unità d’Italia, nel 1859.
Nella foto sotto, Alfonso I d’Este (ritratto da Battista Dossi) fu uno dei condottieri e mecenati più illustri del Rinascimento. Suo padre Ercole I (foto piccola in alto a sinistra), rese la corte estense una delle più raffinate d’Europa.
5. La splendida Ferrara
Con la signoria degli Este, Ferrara conobbe un’autentica età dell’oro, che sarebbe durata per circa tre secoli.
Grazie a Leonello, la città divenne uno dei poli culturali più raffinati del Rinascimento italiano: il marchese chiamò a corte artisti di fama ed eruditi, dando vita a un vivacissimo circolo intellettuale.
Dopo di lui, il fratello Borso si fece promotore di importanti opere di miglioramento del territorio e commissionò opere d’arte d’inarrivabile bellezza, come gli affreschi che si possono ammirare a Palazzo Schifanoia.
Il suo successore, il duca Ercole I, incentivò il teatro e la letteratura cavalleresca, ma anche un imponente rinnovamento urbanistico noto come “Addizione erculea”.
In seguito, Alfonso I proseguì l’opera facendo rafforzare le mura difensive della città. Infine, Ercole II (nella foto in alto a sinistra) procedette alla ristrutturazione del Castello Estense, dopo i danni ingentissimi provocati dal disastroso terremoto del 1570.
Nella foto sotto, il Duomo di Ferrara (1135).