Una formica si avvicina a un fungo e lo tocca. Le spore del fungo assalgono l’insetto e iniziano a infettarlo, per sciogliere la cuticola esterna e “mangiarselo” vivo.
La formica sente che qualcosa non va, e si mette alla ricerca di cibi particolari che contengano radicali dell’ossigeno (detti ROS), in pratica un veleno potentissimo che potrebbe ucciderla.
Anche gli scimpanzé, se si sentono poco bene, ingeriscono senza masticare foglie amare, con smorfie di disgusto.
E ci sono alcune scimmie sudamericane che vanno in giro a cercare millepiedi per stuzzicarli a emettere secrezioni velenose…
Che cosa fanno tutti questi animali? Sono impazziti? O sono forse suicidi? No, dicono gli etologi, semplicemente si curano. E hanno perfino molte cose da insegnarci.
Pastiglie, sciroppo, cerotti e droghe si trovano un po’ ovunque in natura. Gli animali lo sanno benissimo, e li usano alla perfezione. Insegnandoci che… Scopriamolo insieme!
1. Pronto uso
La natura è piena di molecole dai nomi curiosi e dal potente effetto biologico: terpeni, alcaloidi, glucosidi e lattoni.
Tutte sostanze che le piante producono come repellenti per i batteri o altri parassiti. E che respingono altre specie, come vermi e insetti.
La giungla, la savana o la foresta sono infatti immensi depositi di composti dalla potentissima azione chimica; alcuni animali, nei millenni, hanno imparato a usarli.
I primi sospetti che certe specie potessero sfruttare i vegetali non solo per nutrirsi vennero verso gli anni Settanta del secolo scorso, quando l’ecologo statunitense Daniel Janzen ipotizzò che gli scimpanzé mangiassero il midollo di una pianta amara e velenosa, la Vernonia amygdalina, per le sue proprietà medicinali, al tempo sconosciute.
Nonostante le perplessità degli scienziati, le prove di questi comportamenti iniziarono ad accumularsi: nacque così la zoofarmacognosia, una parola inventata dal biochimico Eloy Rodriguez. Il significato? Anche gli animali conoscono le proprietà medicinali della natura, e le usano per curarsi.
È bastato approfondire un po’ la biochimica della Vernonia amygdalina, per esempio, per scoprire che parti della pianta contengono composti che uccidono i parassiti dell’apparato digerente, in particolare il nematode Oesophagostomum stephanostomum, un verme particolarmente aggressivo e debilitante.
L’idea di Janzen e gli studi di Michael Huffman, dell’Istituto di ricerca sui primati dell’Università di Kyoto, hanno aperto un mondo. Se gli scimpanzé sono stati i primi a essere studiati, si è visto poi che anche i bonobo e i gorilla mangiano piante medicinali, come alcune specie della famiglia dello zenzero.
2. Nidi antiparassitari
E non c’è soltanto l’Africa. Anche in Sud America molte scimmie si curano con i vegetali.
Le scimmie ragno (Brachyteles arachnoides) in Brasile si nutrono di più di 50 piante, e 20 di esse contengono sostanze antibiotiche o antielmintiche, che cioè uccidono o espellono i vermi parassiti.
Ma non sono solo i composti chimici che gli animali cercano: varie tribù di scimpanzé inghiottono intere le foglie di Aspilia mossambicensis. La loro superficie è coperta di peli rigidi, che spazzano via i vermi presenti nell’apparato digerente.
Lo stesso fenomeno è stato osservato a migliaia di chilometri di distanza, in Alaska: prima del letargo, i grizzly inghiottono gran quantità di carici, erbe palustri dagli steli ruvidi e pungenti. Il risultato? Le feci degli orsi sono piene di vermi parassiti, espulsi con l’aiuto delle erbe.
Non bisogna però andare molto lontano per osservare un animale che si cura: cani e gatti mangiano spesso erbe selvatiche. Le ragioni sono ancora ignote, ma molti suppongono che sia per combattere parassiti intestinali. Oppure per indurre il vomito, e liberarsi in questo modo del contenuto dello stomaco.
Alcuni animali usano la farmacia della natura anche se stanno bene, e quindi solo come profilassi. In pratica, anche loro hanno capito che, per usare uno slogan, “prevenire è meglio che curare”.
Per esempio gli storni, negli Stati Uniti, introducono nel nido rametti di tuja, una conifera che produce composti aromatici con il potere di tenere sotto controllo i parassiti. L’aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus) in Spagna copre il nido di aghi di pino marittimo, che scacciano le larve di una mosca parassita dei pulcini.
E i passeri comuni arrivano addirittura a raccogliere le cicche di sigaretta che trovano in giro e le usano per guarnire il loro nido. Perché lo fanno? Perché la nicotina uccide i parassiti.
Ci sono perfino alcune farfalle che non pensano a loro stesse, ma alle generazioni successive: la monarca (Danaus plexippus) depone le uova sulla pianta dell’asclepiade, che contiene alcaloidi velenosi.
Questi composti passano nel corpo dei bruchi, che sono così difesi da parassiti come le vespe le quali, a loro volta, cercano di deporre le uova nelle larve.
E le formiche della specie Formica paralugubris tappezzano alcune zone del formicaio di resina raccolta sulle conifere, dalle note proprietà antisettiche, per proteggere le uova e le larve dai batteri. Non solo, la spruzzano di acido formico, prodotto da loro stesse, per aumentarne le proprietà battericide.
Alcuni animali preparano l’apparato digerente per proteggerlo dai possibili “veleni” che potrebbero ingerire.
Molti pappagalli sudamericani, come le are o il pappagallo facciaruggine (Hapalopsittaca amazonina), mangiano l’argilla che affiora in alcuni luoghi particolari (come sul fiume Manu, in Perù) per neutralizzare gli alcaloidi e altre tossine presenti nei frutti di cui si nutrono: i composti chimici nocivi sono così bloccati dall’argilla, e non avvelenano gli uccelli.
D’altra parte la geofagia, cioè la pratica di nutrirsi di terra, è diffusa anche tra altre specie, per esempio un tipo di lemure e alcuni pipistrelli. Altri animali usano la terra, anzi il fango, per proteggersi dal sole e dai parassiti.
Il più classico degli esempi? L’ippopotamo. Nonostante le apparenze, questo grande mammifero ha la pelle piuttosto delicata, e di giorno preferisce stare in acqua o avvolto nel fango. Lo fa per proteggersi dai raggi Uv del Sole e dai parassiti, fermati dalla spessa corazza di terra disseccata.
3. La sorpresa? Le formiche
Non è facile capire come gli animali abbiano sviluppato queste abilità.
Nei casi più noti si tratta di specie con un cervello complesso e con la capacità di imparare dagli errori, come scimmie o pappagalli.
Secondo Huffman, «forse il comportamento iniziò in un periodo di scarsità di cibo, quando le scimmie affamate o malate dovettero provare a mangiare nuove erbe, e in seguito a questi pasti stettero meglio».
Da lì la notizia potrebbe essere stata trasmessa a figli e nipoti, fino a diffondersi in tutta la tribù e a quelle vicine.
Più difficile trovare una spiegazione per il comportamento delle già citate formiche (Formica paralugubris) che usano la resina per proteggersi dai batteri.
Secondo Michel Chapuisat, un evoluzionista dell’Università di Losanna che le ha studiate, «le operaie e la regina hanno lo stesso patrimonio genetico. Può darsi però che una mutazione abbia modificato i geni della regina e il suo comportamento».
Per lei la mutazione rimane, per così dire, “silente” (la regina non raccoglie la resina), ma «cambia il comportamento delle operaie, che portano al nido più resina».
Il nido che ha subìto il trattamento antisettico produce più formiche, e le colonie che nascono da questo formicaio diffondono la mutazione.
4. Nella farmacia foresta
Per concludere con una metafora, non tutti gli animali entrano in farmacia per acquistare erbe o estratti. Alcuni vanno in cerca di veleni.
Le scimmie sudamericane di cui abbiamo parlato all’inizio sono cebi cappuccini (Cebus olivaceus) che stimolano i millepiedi, anche mettendoseli in bocca, a emettere una secrezione velenosa e irritante.
Non lo fanno per autolesionismo: se la spargono sulla pelle per difendersi dagli insetti.
E c’è chi cerca nel retrobottega composti stimolanti – in pratica droghe – per stare svegli tutto il giorno: i gorilla mangiano foglie di coca e i babbuini (Papio ursinus) assaggiano piante eccitanti come Croton megalobotrys o l’erba delle streghe (Datura stramonium).
Il tutto senza esagerare, perché gli animali sono capaci di “comprare” dalla natura solo quello che serve. Secondo gli studiosi, della zoofarmacognosia abbiamo grattato solo la superficie.
Perché moltissime specie, per intelligenza o istinto, sono in grado di sfruttare le molecole che trovano a disposizione. E che in futuro potrebbero rivelarsi di grande aiuto anche nella cura delle nostre malattie.
5. Negli animali e nell’uomo, la distinzione tra medicina e cibo è molto sottile
- CURE NATURALI: ECCO 3 ESEMPI
1) Calmante: I frutti del Solanum lycocarpum (una specie parente del pomodoro) sono ingeriti dai crisocioni (Chrysocyon brachyurus) in America per curare il mal di stomaco.
2) Insetticida: Quando vedono una vespa, le drosofile depongono le uova su substrati ricchi di alcol, che scacciano la nemica.
3) Cicatrizzante: Alcune specie di euforbiacee del genere Croton, come la sudamericana Croton urucurana, sono usate per curare le ferite dalle scimmie ragno e dai locali.
- A SCUOLA NELLA SAVANA
Uno sciamano tanzaniano scoprì, un secolo fa, un trattamento per la dissenteria osservando un giovane istrice malato che mangiava l’erba mulengelele.
È solo un esempio di scoperta trasmessa dagli animali all’uomo.
È probabile per esempio che anche l’uso della Vernonia da parte degli scimpanzé abbia ispirato molti gruppi etnici africani.
Secondo il primatologo Michael Huffman, «questo comportamento suggerisce anche come può essere nata la medicina nei nostri antenati».
Anche in futuro, nuove medicine potrebbero essere trovate studiando gli animali: «Considerando l’aumento della resistenza ai farmaci, l’osservazione degli animali potrebbe portare a nuovi trattamenti contro i parassiti», conclude Huffman.