La filosofia consiste nella comprensione razionale di noi stessi e del mondo, partendo dai dati di senso comune e scientifici che abbiamo a disposizione, per sottoporli a vaglio critico e riflessione concettuale.
La nostra pratica filosofica riconosce e utilizza la razionalità, intesa come capacità concettuale e argomentativa in grado di utilizzare la logica, ma consapevole dei limiti della logica, in particolare del fatto che la logica formalizza regole di procedura argomentativa, ma non esercita nessun controllo sull’oggetto a cui le regole vengono applicate, cioè sul materiale del ragionamento.
Se prendiamo in considerazione la storia della filosofia ed esaminando il pensiero a noi contemporaneo, si può facilmente constatare che non c’è una definizione di filosofia che tutti i filosofi siano disposti a sottoscrivere, così come non c’è una singola affermazione o argomentazione sulla quale siano tutti d’accordo.
Ma vediamo un po’ meglio ed in maniera semplice e comprensibile 5 premesse fondamentali sulla filosofia. Leggiamole insieme.
1. Prospettivismo, relativismo e dogmatismo
E' indubbio che attualmente non c'è una definizione di filosofia che tutti i filosofi siano disposti a sottoscrivere, così come non c'è una singola affermazione o argomentazione sulla quale siano tutti d'accordo.
Questo è un fatto con il quale molti filosofi amano poco confrontarsi, e che spesso viene utilizzato come argomento anti-filosofico generico; altri filosofi che lo prendono in considerazione lo trasformano in una posizione filosofica, ed elaborano il prospettivismo.
Per tale concezione ogni filosofo, e ogni essere umano, dà senso alla vita e al sapere in relazione al suo punto di vista individuale: non esistono conoscenze o valori assoluti, e le diverse prospettive sono incompatibili.
La mancanza di posizioni filosofiche comuni, dunque, induce alcuni al relativismo (di cui il prospettivismo è una delle molte possibili varianti), e spinge altri al dogmatismo, cioè all'affermazione intransigente di una posizione, il cui rifiuto è considerato segno di debolezza argomentativa o intuitiva.
Vanno fatte alcune riflessioni sia per quanto riguarda il relativismo che per il dogmatismo.
Per quanto concerne il dogmatismo, che tipicamente pretende di accettare solo affermazioni certe e incontrovertibili, la sua debolezza consiste nella pretesa di applicare requisiti logico-formali di correttezza, quale è appunto l'incontrovertibilità, ad ambiti o irriducibili formalmente o riducibili solo a prezzo di un grave depauperamento della reale complessità di un ambito o di un tema.
In altre parole il dogmatico, preso dall'ansia di certezza e di necessità, pretende che in filosofia si ammettano esclusivamente proposizioni incontrovertibili, dimenticando che tale pretesa vale nei sistemi formali (ma oggi tale pretesa non è più neppure soddisfatta da tutte le diverse logiche disponibili), le cui condizioni di verità sono stabilite nell'istituzione del sistema stesso e non è pregiudizialmente estendibile a ogni ambito di conoscenza.
Per quanto riguarda il relativismo, che è una forma di scetticismo, in generale si può osservare che chi sostiene che la conoscenza è relativa ritiene però che l'affermazione "la conoscenza è relativa" valga in modo assoluto, contraddicendo la sua stessa tesi, che sosteneva che "tutta la conoscenza è relativa".
Posti di fronte all'alternativa relativismo-dogmatismo, che sembra possedere la forza schiacciante di escludere ogni altra possibilità, va osservato che c'è un assunto comune, implicito, che entrambe tali posizioni condividono; sia per il relativista che per il dogmatico nell'elaborazione di una prospettiva filosofica interviene esclusivamente la ragione, intesa come corretta applicazione di regole logiche.
Entrambi condividono, in altri termini, un riduzionismo intellettualistico, che ritiene che il solo strumento di comprensione del mondo sia la ragione pura, cioè priva di elementi sensibili ed emozionali.
La differenza tra il dogmatico e il relativista è che mentre il dogmatico ritiene ancora - illusoriamente - che sia possibile una filosofia puramente razionale, il relativista nega tale possibilità, mostrando però di essere un dogmatico deluso.
2. Che cosa è la filosofia
In un primo senso approssimativo e generico si può affermare che fare filosofia vuol dire pensare sé e il mondo come oggetti, o, in altre parole, oggettivare se stessi e il mondo, esprimendo tale oggettivazione in linguaggio concettuale.
Questo concetto può essere espresso con una terminologia diversa, e si può dire che fare filosofia vuol dire elaborare concettualmente la coscienza di sé e del mondo.
Nelle definizioni sopra proposte alcuni termini possono essere provvisoriamente lasciati nel significato ordinario, come pensare, se stessi, mondo, concetto, ma almeno la parola coscienza deve essere in qualche misura chiarita subito.
Si tratta di un termine che sia nel linguaggio ordinario che in filosofia viene usato con significati molto diversi a seconda delle epoche, degli ambienti culturali e degli autori, senza che risultino chiari i confini rispetto ad altri termini quali autocoscienza, autoriflessione, autoconsapevolezza, consapevolezza, introspezione.
Con il termine "coscienza" si intende la capacità di un individuo di configurarsi come un centro di attività e identità dotato di un confine che lo separa dall'ambiente esterno; per "autocoscienza" si intende la capacità di assumere i dati della coscienza come oggetti, cioè di portare l'attenzione e la riflessione su quanto la coscienza presenta.
Due sono le grandi categorie che l'autocoscienza assume come distinti oggetti di riflessione, cioè l'io e il mondo esterno.
Assumendo in questo senso i termini coscienza e autocoscienza, la coscienza va attribuita a ogni vivente, l'autocoscienza solamente agli esseri umani.
In filosofia a indicare ciò che chiamiamo qui coscienza troviamo termini quali sentire, percepire, sensazione, consapevolezza, coscienza d'accesso; per autocoscienza troviamo coscienza riflettente, introspezione, pensiero, autoriflessione, autoconsapevolezza, consapevolezza, ecc.
3. Cosa significa "fare filosofia?"
Fare filosofia è non solo pensare sé, ma anche pensare il mondo come oggetto.
Occorre intendersi con chiarezza su che cosa implichi l'assunzione del mondo a oggetto di riflessione filosofica.
Va subito precisato che in qualunque modo si pensi il mondo, il pensiero sul mondo eccede la possibilità di una verifica empirica.
Se anche dicessimo, ponendoci in quella posizione di naturalismo dominante in larga parte della filosofia analitica contemporanea, che esistono solo gli enti osservabili o scientificamente provati, tale affermazione naturalistica non è suscettibile di ricevere conferme empiriche.
L'esistenza dei soli enti empirici non è un'affermazione tratta dall'empirico e non è neppure suscettibile di verifiche empiriche; il che vuol dire che è un'affermazione meta-empirica, detta, in un linguaggio filosofico tradizionale, metafisica.
È pure certamente metafisica la posizione materialista, che sostiene che la natura ultima di ciò che popola il mondo è pura materia; la pura materia infatti non è controllabile sperimentalmente, dunque il suo luogo non è l'empirico, ma il meta-empirico.
Se si è d'accordo nel sostenere che fare filosofia vuol dire assumere il mondo come oggetto di indagine, deve essere chiaro che ciò comporta l'accettazione di un piano eccedente la possibilità di verifica empirica, dunque di un piano metafisico.
Ha costituito una vexata quaestio filosofica il problema del punto di partenza in filosofia:
- è bene partire dal mondo empirico, così come è dato ai sensi (posizione aristotelica), oppure è preferibile non soffermarsi sui dati sensoriali rintracciando la razionalità pura del mondo (posizione platonica)?
- Non sarà forse meglio privilegiare i dati introspettivi, come invita a fare Descartes, o è preferibile partire dalla descrizione della realtà pensata, come propone l'idealismo?
Per rispondere a tali domande esistono varie possibilità disponibili. Una molto seguita è partire dal mondo empirico così come ci è dato fenomenologicamente in quanto si tratta del punto di partenza maggiormente condiviso da tutti gli esseri umani, a prescindere da differenze culturali, religiose, sociali, ecc.
4. Argomentazione e retorica
Se consideriamo la filosofia come una strategia di conoscenza concettuale di noi stessi e del mondo per così dire in fieri, cioè non conclusa, ma aperta a miglioramenti e precisazioni, che è svolta da - e tra - soggetti razionali e liberi, possiamo a questo punto chiederci quali strumenti essa utilizzi per raggiungere i suoi obiettivi.
Indagando la storia del pensiero filosofico, vediamo che due sono le modalità più utilizzate: l'argomentazione razionale e la retorica.
La retorica ha come scopo principale la creazione di consenso tramite la persuasione; utilizza a tal fine tutti quegli strumenti del discorso ornato, metaforico, figurato, efficace, abile, che tradizionalmente sono considerati più adatti a suscitare adesioni emozionali; la validità di un discorso retorico viene misurata in funzione della sua attrattiva artistico-letteraria, per cui è considerato un buon argomento retorico quello che risulta più persuasivo.
Il suo obiettivo non è diverso da quello che si pongono gli slogan pubblicitari o i comizi politici. Se storicamente Gorgia viene considerato il fondatore della retorica, troviamo una forte presenza del discorrere retorico sia nel pensiero di Heidegger che nel decostruzionismo di Derrida, per il quale la filosofia è solo una delle infinite possibili pratiche di scrittura.
Chi condivide un approccio retorico in filosofia ritiene che gli enunciati non abbiano valore di verità e che non ci sia una realtà oggettiva a dare senso al discorso filosofico, disprezza la logica, l'argomentazione razionale - così come viene intesa di solito- e adotta sovente una posizione nichilista.
Sulla retorica come strumento per fare filosofia va osservato che suscitare adesioni emozionali vuol dire cercare di evitare il controllo critico proprio della ragione; che chi mira alla persuasione tende ad abbassare il livello di libero giudizio di chi gli sta di fronte, ampliando la zona non sottoposta a controllo, estendendo i vincoli nascosti, lasciando occulta l'esplicitazione concettuale.
Rispetto alle premesse sopra dichiarate, e cioè la fiducia nella ragione e nella libertà, l'atteggiamento retorico è in netta contrapposizione: alla ragione sostituisce la persuasione, alla libertà l'adesione emozionale.
Quanto all'argomentazione, essa è lo strumento filosofico utilizzato da coloro che intendono la filosofia come comprensione concettuale; argomentare vuol dire addurre ragioni, indicare motivi, saggiare ipotesi, esplicitando ogni passaggio e sottoponendo ogni affermazione alla riflessione critica, sia propria che altrui.
L'argomentazione si rivolge a tutti gli esseri umani, considerati uguali in quanto dotati di ragione, come a soggetti capaci di controllo razionale e liberi nel giudizio. Tende a dichiarare le premesse, a esplicitare l'implicito, evitando il nascosto, l'indicibile, lo sfuggente.
5. Premesse filosofiche: ragione e libertà
Intendiamo dunque la filosofia come la strategia razionale per comprendere ed esprimere concettualmente quanto ci è dato nel mondo empirico, noi stessi inclusi.
Va subito messo in chiaro che in tale definizione l'attendibilità della ragione come strumento di conoscenza viene accettata come premessa indimostrabile, cioè non suscettibile di previa dimostrazione razionale.
Non è possibile dare una prova razionale dell'efficacia conoscitiva della ragione per il motivo che se volessimo provarla utilizzando la ragione cadremmo in una petizione di principio.
Se volessimo provarla senza usare la ragione, e dunque facendo appello all'intuizione o all'ovvietà della cosa, la ragione non risulterebbe provata razionalmente, ma appunto invocata, o assunta extrarazionalmente.
Se la fiducia nella ragione è la prima premessa di qualunque lavoro filosofico, ce ne è una seconda che è bene dichiarare, in quanto essa viene quasi sempre adottata in modo non dichiarato.
Si tratta dell'affermazione della libertà umana; lo sforzo di comprensione di sé e del mondo che è la filosofia, l'esposizione dei risultati al controllo razionale, l'uso costante del vaglio critico, sono possibili per il fatto che il discorso si svolge tra persone libere.
Se si assumesse, come premessa implicita, che gli esseri umani non sono liberi, ma determinati, ad esempio, dalla chimica biologica o dalle pulsioni inconsce, la riflessione filosofica verrebbe ad essere considerata come il risultato necessario di quella chimica o di quei meccanismi pulsionali; a quel punto per capire noi stessi sarebbe molto più utile studiare biochimica o psicoanalisi che fare filosofia.
Almeno preliminarmente occorre comunque osservare che l'affermazione della libertà come una delle due premesse di chi si accinga a filosofare non vuol dire considerare la libertà come un colpo di pistola, per usare ancora una volta la celebre espressione di Hegel, sostenendo che o si è totalmente e comunque liberi, oppure non lo si è affatto.
La libertà, pur assunta come premessa, va intesa in modo da rendere conto dell'ampia gamma dei comportamenti umani, talora patentemente condizionati, talaltra evidentemente liberi.
Per cui ci riconosceremo certamente capaci di libertà, e capaci di riconoscere e correggere eventuali ragionamenti e azioni che nascono da condizionamenti che non avremo paura di chiamare col loro nome.