La foca monaca (Monachus monachus): la regina del Mediterraneo

La foca monaca mediterranea (Monachus monachus) è una delle specie di mammiferi marini più rare e minacciate del mondo.

Appartenente alla famiglia delle foche monache, questa specie è endemica del Mar Mediterraneo e di alcune aree dell’Oceano Atlantico adiacente.

Conosciuta per il suo aspetto caratteristico e la sua natura schiva, la foca monaca rappresenta un importante indicatore della salute degli ecosistemi marini del Mediterraneo.

La foca monaca è sempre stata l’emblema degli animali minacciati, una sorta di simbolo, oltre che il vessillo di un Mediterraneo ancora selvaggio. Nei decenni scorsi era data per spacciata: con meno di 400 individui superstiti, si temeva il peggio per l’unico pinnipede delle nostre coste.

Dopo essere giunta sull’orlo dell’estinzione, queste splendido mammifero sta ripopolando il Mediterraneo. Ma la sua conservazione richiede sforzi concertati a livello internazionale per proteggere gli habitat critici, ridurre le minacce antropiche e promuovere la consapevolezza pubblica riguardo l’importanza di questa specie.

Progetti di conservazione, monitoraggio e ricerca sono essenziali per garantire un futuro a questo affascinante abitante del Mediterraneo. Solo attraverso un impegno comune possiamo sperare di vedere prosperare nuovamente le popolazioni di foca monaca mediterranea nelle acque del nostro mare.

CARTA D’IDENTITÀ
Nome comune:
foca monaca mediterranea;
Nome scientifico: Monachus monachus;
Peso: fino a 400 kg;
Dimensioni: lunghezza massima 2,5 m;
Dove vive: anticamente presente in tutto li Mediterraneo e il Mar Nero, oggi sopravvive con popolazioni stabili in Grecia, Turchia e Cipro, con un importante nucleo anche sula costa atlantica dell’Africa (Mauritania); numerose segnalazioni vengono riportate in Vicino Oriente, Nord Africa e Mar Adriatico; in Italia, negli ultimi anni, viene osservata con frequenza sempre maggiore;
Segni particolari: cambia colore con la crescita;
Habitat: frequenta arcipelaghi e coste con falesie a picco sul mare, dove può trovare grotte indisturbate;
Cosa mangia: caccia polpi e pesci.

1. ASPETTO E CARATTERISTICHE

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E' un mammitero di tutto rispetto. Le foche monache mediterranee sono di dimensioni medie, con una lunghezza che può raggiungere i 2,5-3 metri e un peso che varia tra i 240 e i 300 chilogrammi (ma può arrivare a pesare quasi 400 kg.).

Il loro corpo è affusolato e ricoperto da un manto corto e denso che varia dal grigio scuro al marrone, con un ventre più chiaro. Gli esemplari giovani presentano una colorazione più chiara rispetto agli adulti.

Una delle caratteristiche distintive è la presenza di un muso arrotondato, con narici e occhi ben separati, che conferisce loro un'espressione "infantile".

Presenta dimortismo sessuale: gli animali più grandi sono sempre i maschi adulti, che hanno anche una conformazione del cranio più ampia e massiccia delle femmine.

Altra caratteristica particolare è il cambiamento legato alla crescita, di cui nessuno però conosce il motivo: i neonati sono neri con il ventre bianco, ma con il passare del tempo e delle mute del pelo diventano grigio piombo; le femmine adulte mantengono questa colorazione, mentre i maschi alla maturità ritornano neri a pancia bianca.

Le foche monache mediterranee sono animali solitari, sebbene possano essere osservate in piccoli gruppi durante i periodi di riproduzione. Sono eccellenti nuotatrici e trascorrono gran parte del loro tempo in acqua, emergendo solo per riposare, riprodursi e allattare i cuccioli.

La foca monaca mediterranea è classificata come "In pericolo critico" dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). Le principali minacce alla sua sopravvivenza includono:
- Distruzione dell'habitat: Lo sviluppo costiero e il turismo minacciano i siti di riproduzione e riposo delle foche.
- Pesca intensiva: Le reti da pesca rappresentano un pericolo di intrappolamento per le foche, e la diminuzione delle risorse ittiche riduce la disponibilità di cibo.
- Inquinamento: L'inquinamento marino, incluse le plastiche e gli idrocarburi, ha un impatto negativo sulla salute delle foche.
- Disturbo antropico: La presenza umana nelle aree costiere può causare stress e interferire con i comportamenti naturali delle foche.

2. NUOTATRICI PROVETTE

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Un imponente e apparentemente vistoso abitante del Mare Nostrum, dunque, che però sa come passare inosservato. 

Le foche infatti trascorrono gran parte della propria vita sott'acqua, grazie a una serie di adattamenti portentosi.

Innanzitutto uno strato spesso di grasso, che le protegge dalla dispersione termica; inoltre, un pelo folto e corto, che, assieme alla forma allungata, le rende idrodinamiche (vedere una foca che nuota è incredibile, sembra non sposti l'acqua!); infine, invidiabili capacità di apnea (fino a 18 minuti!), bradicardia che rallenta il battito cardiaco e spostamento di sangue nei polmoni per evitare che collassino persino a 200 metri di profondità.

Sfruttando queste abilità, le foche possono percorrere ampi bracci di mare, riposando anche in superficie, quando sonnecchiano come boe alla deriva, o addirittura con pisolini sul fondo di acque basse.

Frequentano principalmente l'area della piattaforma continentale, sotto costa, ma analizzando i dati si capisce che si muovono senza problemi anche lontano dalla costa: il loro habitat, d'altronde, è fatto di onde, fondali, correntie acqua salata.

Hanno una predilezione per arcipelaghi, isolotti disabitati e tratti di costa meno antropizzati: le falesie a picco sul mare sono luoghi ideali per due motivi fondamentali.

Innanzitutto, si tratta di territori di caccia perfetti: la foca monaca è un predatore formidabile, come si vede dalla conformazione del suo cranio simile a quello di un orso, con temibili denti canini e una lunga resta sagittale atta all'inserzione di potenti muscoli masticatori.

Nella dieta della foca rientrano oltre 500 diverse specie di prede, tra le quali primi in classifica sono i polpi (un terzo del totale), seguiti da orate, spigole, murene e molti altri pesci. Le prede più piccole vengono addentate e ingoiate direttamente sulla superficie dell'acqua per favorire la rimozione delle scaglie e delle viscere.

Il secondo motivo per cui le pareti rocciose che si gettano tra le onde possono essere importanti per la foca monaca è legato alla disponibilità di grotte, ove questi animali riposano e soprattutto partoriscono.

3. UN RIFUGIO (QUASI) SICURO

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Non tutti i ricercatori sono concordi, ma secondo alcune ipotesi la persecuzione umana ha spinto questi pinnipedi a riprodursi solo nell'oscurità, al riparo da sguardi indiscreti, mentre in passato forse le spiagge erano molto più utilizzate, come testimoniato perfino dai versi di Omero.

In ogni caso, non tutte le grotte sono idonee: per dormire è sufficiente che all'interno vi sia una piccola zona emersa, di sabbia, ciottoli o anche un terrazzino di roccia. Invece, per partorire, le foche necessitano di cavità più ampie, con un laghetto interno in cui i neonati imparano a nuotare al riparo dai marosi.

I maschi hanno territori enormi, che pattugliano alla ricerca delle femmine; l'accoppiamento è come un vortice d'acqua, in cui al partner viene trattenuta con gli arti anteriori, morsa e graffiata, come dimostrano le cicatrici bianche molto vistose sul suo dorso.

Da ottobre ad aprile si ha il picco delle nascite, e i piccoli (che poi non lo sono così tanto, pesando già anche 30 kg) inizialmente rimangono molto con la madre che li allatta.

Col passare del tempo, la femmina si assenta sempre più spesso per andare a caccia e i giovani esploratori si avventurano anche fuori dall'ingresso per ispezionare il mondo.

E' in questi casi che è più facile sentire i loro richiami, una piccola parte dell'ampio repertorio di suoni utilizzati dalle foche: gli idrofoni hanno permesso ai ricercatori di scoprire che molte sono le vocalizzazioni della specie, anche subacquee.

4. PERSEGUITATA FIN DALL'ANTICHITÀ

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Grande e agile com'è, la foca monaca non dovrebbe temere predatori, eppure anche nei nostri mari è presente lo squalo bianco: almeno due segnalazioni (Spagna e Francia) del secolo scorso riportano pinnipedi nel contenuto stomacale di grandi individui appena pescati.

Al giorno d'oggi il predatore è diventato ancora più raro della sua preda, purtroppo, e quindi il rischio di finire nelle sue fauci si è notevolmente ridotto. Le foche però devono fronteggiare un altro pericolo ben più ingombrante: la persecuzione umana.

Seppure la sua storia sia molto antica, visto che sono stati trovati fossili di foche monache (per esempio nella Grotta del Bel Torrente, in Sardegna) risalenti a migliaia di anni fa e ci sono incisioni rupestri francesi che le raffigurano, non sappiamo esattamente quando questo rapporto conflittuale sia iniziato.

Di certo, già nel periodo romano le uccisioni si erano intensificate, continuando nel Medioevo e fino ai giorni nostri, sia per ottenere carne, grasso e pelle, sia per eliminare un fastidioso "concorrente" nella pesca.

Questi timidi animali venivano braccati dentro le grotte, uccisi a bastonate fin da piccoli, arpionati o, in seguito, direttamente colpiti con le armi da fuoco anche a distanza.

Al giorno d'oggi, nonostante la protezione rigorosa, persiste una quota di bracconaggio più o meno sommerso, come testimoniano ogni anno le foche morte ritrovate in varie zone della Grecia.





5. I NUOVI NEMICI: PLASTICA E CEMENTO

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Una maggior sensibilità, anche grazie al lavoro di Ong come Archipelagos nel Mar lonio, fa però ben sperare per il futuro.

Lo stesso non si può dire per le nuove minacce, tra le quali si annoverano la cementiticazione delle coste, assediate da un turismo invadente che si spinge fin dentro le grotte, e la plastica che viene spinta dai flutti all'interno delle cavità e che, tramite il fenomeno del bioaccumulo, passa dalle prede ai tessuti delle foche.

I dati però sono confortanti: a oggi si stimano circa 800 foche, con numeri in crescita nelle aree con nuove riproduzioni e in quelle di recente ricolonizzazione.

Se per decenni le foche sono probabilmente sopravvissute solo in Grecia e Turchia (parlando di Mediterraneo), oggi sempre più animali si fanno vedere sia verso est sia verso ovest, anche in Italia, dove l'ultima nascita certa risale agli anni Ottanta.

Tra le aree dove si registrano più osservazioni recenti il Salento, l'Arcipelago Toscano (dove l'Ispra, con il supporto di Blue Marine Foundation, sta lavorando al monitoraggio), le isole circumsiciliane quali Eolie e Pelagie, e probabilmente anche la Sardegna, dove però mancano informazioni.

I ricercatori di solito utilizzano fototrappole posizionate nelle grotte per raccogliere immagini delle foche addormentate, analizzandone le cicatrici per fotoidentificarle e magari, un domani, documentare eventuali nascite.

Una tecnica nuova poi, ideata dai ricercatori dell'Università di Milano-Bicocca, prevede la raccolta di campioni di acqua che possono conservare tracce di Dna ambientale, legato al passaggio delle toche.

Si tratta di un metodo innovativo e molto interessante, che dà buoni risultati seppur non fornisca indicazioni della zona esatta (il Dna viaggia con le correnti) e della data di presenza della specie (il Dna resiste per diversi giorni).

I presupposti positivi ci sono: è importante solo lasciare alle foche spazi tranquilli in cui prosperare. Qualora si abbia la grande fortuna di avvistarne una, è bene non inseguirla, né in barca né a nuoto, né cercare di toccarla se è sulla spiaggia.

Avvisare la capitaneria di porto (tel. 1515) e intanto scattare fotografie: è la procedura migliore per non disturbare questi animali così sensibili. Solo così potremo sperare in un vero e proprio ritorno della foca monaca, la regina del Mediterraneo.








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