Ritrovano la strada di casa a centinaia di chilometri di distanza o il luogo in cui sono nati intraprendendo lunghissime migrazioni.
Scopriamo insieme le ultime ricerche sulla misteriosa bussola degli animali e le loro incredibili capacità di orientamento.
1. Gli animali domestici
Quando la cagnolina meticcia Giorgie (foto accanto ) si era smarrita tra le montagne alle spalle di San Diego, la sua padrona, Kris Anderson, l’aveva data per persa.
Lei invece aveva sfidato i coyote del parco californiano di Los Peñasquitos Canyon Preserve e, contro ogni previsione, era tornata illesa a casa, percorrendo 55 chilometri in nove giorni.
Poca cosa rispetto a quello che ha fatto Prince, un tenace cane californiano di piccola taglia che ci ha messo ben cinque anni per ritrovare la sua compagna umana Myrna, la quale, nel frattempo, aveva traslocato ben quattro volte.
Ma se vogliamo parlare di record nessuno batte il leggendario Bobbie, un Collie che negli anni Venti si era perso nello stato americano dell’Indiana, dopo essersi allontanato dall’auto del suo padrone mentre questi faceva benzina.
Per ritornare nell’Oregon, da dove proveniva, ha impiegato sei mesi percorrendo 4.105 chilometri, con una media di 22 chilometri al giorno. Ma come fa Fido a ritrovare la strada di casa?
I cani sono dotati da madre natura di sensi molto sviluppati (in particolare l’olfatto) e sono in grado di costruire una sorta di mappa mentale sulla base di odori, elementi visivi e sonori (luce polarizzata, infrasuoni, ultrasuoni), posizione delle stelle e riferimenti chimici, grazie alla quale sarebbero in grado di orientarsi.
L’insieme di queste capacità percettive e della forte volontà di tornare ai propri affetti, alle abitudini e alla casa viene definito dagli studiosi homing. Tra gli animali domestici campioni nel ritrovare la propria casa a chilometri di distanza ci sono anche i gatti.
Una delle storie più avventurose è quella di Vaino, un piccolo felino finlandese di dodici anni che dalla Lapponia, dove era “in vacanza” con la famiglia umana, è riuscito a tornare a casa percorrendo 800 chilometri in 130 giorni.
Secondo l’etologo e veterinario inglese Michael W. Fox il segreto dell’orientamento felino sarebbe la “dissonanza”, ossia la capacità da parte del gatto di “leggere” la luce del Sole, traducendola, in base all’inclinazione e alla polarizzazione dei raggi solari, in ore e stagioni che confronta poi con il suo orologio interno, tarato in chilometri quadrati e contenente l’ubicazione del luogo da cui è partito.
Non tutti gli esperti sono però d’accordo. Altri danno più importanza alle sue vibrisse, sostenendo che funzionino come recettori magnetici. La capacità di percepire la direzione del flusso del campo magnetico terrestre – che permette di orientarsi anche in luoghi mai visti prima – si chiama magnetorecezione.
Questa sorta di “bussola magnetica interna” è comune a molti altri animali e si esprime in modi differenti.
Nella foto sotto, l’oca delle nevi (Chen caerulescens) nidifica nel nord del Canada settentrionale e nell’estremità nord-orientale della Siberia. Sverna nelle regioni molto più a sud del continente, negli USA e oltre.
2. Un Gps naturale
Una recente ricerca del Max Planck Institute for Brain Research di Francoforte ha preso in esame 90 specie di mammiferi, rilevando un particolare pigmento (chiamato criptocromo 1a) presente nell’occhio di alcune di esse.
Questo si attiva nelle cellule fotorecettrici presenti sulla retina e comunica al cervello, attraverso segnali bioelettrici, il campo magnetico terrestre. Sarebbe presente nel cane così come in lupi, volpi, topi, orsi, tassi e alcuni primati.
Grazie a un nuovissimo microscopio che permette l’osservazione della sensibilità magnetica delle reazioni fotochimiche a livello cellulare, gli studiosi dell’Università di Tokyo sono andati oltre e hanno scoperto che questi pigmenti fotorecettori (gialli) assorbono la luce blu e ultravioletta, formando una coppia di radicali (entità molecolari a vita breve) la cui reattività viene alterata dal campo magnetico che li circonda.
Questa bussola naturale funziona anche se il campo magnetico della Terra è piuttosto debole e diventa più efficiente di notte, quando la stabilità del campo magnetico terrestre è maggiore.
I mammiferi, ovviamente, non sarebbero gli unici a orientarsi così. Anche le tartarughe marine seguono una bussola interna quando, periodicamente, compiono viaggi di 2mila chilometri per tornare a deporre le uova sulla spiaggia dove sono nate.
Lo conferma un recente studio dell’Università del North Carolina che, analizzando i nidi di tartaruga marina Caretta caretta nel Nord America negli ultimi 19 anni, ha scoperto che la loro posizione era mutata in modo perfettamente uniforme seguendo le piccole variazioni naturali del campo geomagnetico.
Persino le aragoste spinose dei Caraibi (Panulirus argus), come dimostrato dalla ricerca di due scienziati americani, Larry Boles e Kennett Lohmann, seguono il campo magnetico terrestre quando si spostano lungo il fondale verso acque più profonde e fredde in gruppi ben allineati e orientati.
Lo squalo bianco Carcharodon carcharias, invece, sfrutta la “magnetorecezione per induzione” durante le sue migrazioni dal Sudafrica all’Australia e ritorno, utilizzando i campi elettromagnetici generati dalle correnti oceaniche: le informazioni magnetiche sono percepite da elettrorecettori posti nella parte anteriore della loro testa all’interno delle cosiddette ampolle di Lorenzini, piccole sacche con celle contenenti un fluido elettro-conduttivo che variano di numero (da un paio di centinaia a qualche migliaio a seconda dell’esemplare) e sono in grado di rilevare il campo elettrico indotto dal movimento dell’animale in un campo magnetico esterno.
Chi può usa più di una strategia. La farfalla monarca (Danaus plexippus), per esempio, compie ogni anno una delle più incredibili migrazioni del regno animale viaggiando un mese intero e percorrendo più di 3mila chilometri, dal Nord America al Messico, per raggiungere le foreste delle montagne del Michoacán dove si riproduce.
Proprio qui è stata istituita la Riserva della Biosfera delle farfalle Monarca, dichiarata dall’Unesco patrimonio mondiale dell’Umanità. Ogni inverno questo luogo ospita fino a 80 milioni di lepidotteri in uno stato di semi- letargo: restano appesi ai tronchi di pini e querce fino alla primavera successiva quando si svegliano pronti a ripercorrere a ritroso il loro viaggio.
Durante alcuni esperimenti dell’University of Massachusetts Medical School si è scoperto che queste farfalle sono molto sensibili alla luce ultravioletta A (con una lunghezza d’onda compresa fra i 380 e i 420 nanometri) e la sfruttano come una bussola solare per correggere la rotta in presenza di variazioni nel campo magnetico che percepiscono grazie ai magnetosensori presenti sulle loro antenne.
Nella foto sotto, la farfalla monarca ogni anno viaggia per un mese intero percorrendo oltre 3mila chilometri, dal Nord America al Messico.
3. Guardando le stelle e leggere i giusti segnali
Tra gli animali che la sanno lunga in tema di orientamento e di migrazioni ci sono senz’altro gli uccelli.
Alcune ricerche hanno dimostrato che i volatili sono in grado di usare il proprio orologio biologico interno per stabilire l’ora in cui si trovano.
Per farlo si affidano ai cosiddetti ritmi circadiani dettati dai loro processi fisiologici (tipo sonno-veglia) nelle 24 ore e, con una sorta di triangolazione, riescono a determinare la propria direzione in base alla posizione del Sole.
Di notte, invece, si affidano alle stelle. Imparano a distinguerle quando sono ancora piccoli nel nido grazie a un meccanismo di imprinting molto precoce. Riconoscono come ruota la volta celeste intorno all’asse nord-sud della Terra e quali sono le costellazioni, che un domani li guideranno nelle loro rotte migratorie.
Lo dimostra anche lo studio di alcuni volatili posti in un planetario, che si orientavano correttamente solo se la volta celeste ruotava e apparivano confusi se era ferma.
Gli uccelli dell’emisfero boreale hanno dimostrato di orientarsi in base all’osservazione della Stella Polare ma, in condizioni artificiali, possono imparare a farlo anche in base ad altri astri.
In generale, tutti i migratori sanno già verso quale direzione volare e per quanto tempo, come mantenere la rotta o recuperarla in caso di condizioni meteorologiche sfavorevoli (come i venti che possono deviarne il percorso), attraversando luoghi mai visti prima.
Il piccione avrebbe addirittura un’altra tecnica. Pur non essendo un migratore, è noto da secoli per la sua grande capacità di orientarsi e ritrovare la strada di casa, la cosiddetta “piccionaia”, tanto che in passato, soprattutto durante i conflitti mondiali, veniva usato per recapitare messaggi importanti.
Uno studio del geologo americano Jon Hagstrum sostiene che il trucco utilizzato da questi uccelli sia seguire bassissime frequenze sonore (da 0,05 hertz). Gli infrasuoni, funzionando come uno scanner, consentono loro di identificare la strada giusta.
Mappando queste onde a bassa frequenza durante il loro percorso, Hagstrum ha infatti osservato che i volatili apparivano momentaneamente smarriti durante il loro volo di ritorno proprio quando attraversavano zone d’ombra sonore rispetto alla piccionaia.
Secondo una ricerca di Tim Guilford, professore della facoltà di zoologia dell’università di Oxford, i piccioni sono anche in grado di prendere come riferimento infrastrutture create dall’uomo.
Applicando dei sottili dispositivi che trasmettevano segnali a un satellite, lo studioso ha potuto seguire la posizione e gli spostamenti di questi pennuti in ogni momento, scoprendo che utilizzavano i tracciati viari (come le autostrade) per raggiungere i luoghi di destinazione, proprio come facciamo noi.
A dimostrazione che il percorso non fosse casuale, gli animali erano in grado di ripetere la stessa strada ogni qualvolta dovevano tornare nel medesimo posto.
Secondo Guilford, questa incredibile capacità di orientarsi dipende dall’abilità nel crearsi una sorta di mappa mentale seguendo i “segni” lasciati dall’uomo nel paesaggio, il Sole, il campo magnetico terrestre e l’olfatto.
Anche le formiche esploratrici della specie Cataglyphis bicolor sono in grado di leggere più segnali per tornare al formicaio. Questi insetti, infatti, come hanno dimostrato alcune ricerche dell’Università tedesca di Ulm, da un lato sfruttano indizi celesti, ma al contempo si affidano a una sorta di “contapassi” fisiologico che consente loro di stabilire le distanze percorse e tornare indietro.
Altri studi sulle formiche hanno dimostrato che hanno una versatilità molto elevata e adottano di conseguenza i metodi più disparati per ritrovare il proprio formicaio: luce polarizzata, campi magnetici, vibrazioni e persino i livelli di anidride carbonica proveniente dal formicaio, insomma tutto rappresenta un “indizio” per raggiungere la loro meta.
Non a caso questi invertebrati hanno colonizzato tutto il mondo, dimostrando che l’abbinamento di più meccanismi è molto spesso l’arma vincente per compiere non solo il proprio ciclo vitale ma anche imprese straordinarie.
4. Quando e perché si mettono in viaggio
Tra le ragioni c’è la ricerca di un “miglior clima” e di luoghi dove c’è più abbondanza di risorse.
La durata delle giornate cambia, le temperature si abbassano o si alzano e di lì a poco la “sindrome migratoria” di alcune specie esplode.
E allora arrivano irrequietezza e, spesso, iperfagia (aumento dell’appetito). Secondo gli esperti ciò che stimola i migratori alla partenza è soprattutto il cambiamento del fotoperiodo, cioè delle ore di luce, ma probabilmente gioca un ruolo importante anche una sorta di orologio interno fisiologico che determina, appunto, un cambiamento fisico degli animali.
Tra le trasformazioni messe in atto per prepararsi alle fatiche del viaggio ci sono l’aumento del peso e il rinfoltimento del piumaggio per gli uccelli. Durante le migrazioni molte specie di uccelli assumono nel gruppo posizioni e strutture ben precise che aiutano tutti gli individui a portare a termine il viaggio con meno fatica.
Ci sono stormi che adottano la classica posizione a “V” che ricorda la forma di un aereo o un deltaplano. Questa disposizione viene scelta per ragioni aerodinamiche: di fatto, ogni individuo agevola il volo di quello che lo segue generando vortici con le sue ali.
Non a caso nel ruolo “di punta”, che richiede maggiore energia, si alternano frequentemente tutti i membri dello stormo. Nella foto sotto, la tipica formazione a “V” in uno stormo di cigni.
Spesso il motivo per cui si migra è molto semplice: la sopravvivenza. In certi casi l’esodo è condizionato dalla disponibilità di risorse per cui, al variare delle condizioni ambientali, gli animali sono spinti a partire verso zone con miglior accesso a cibo e acqua. Succede agli gnu in Africa e ai caribù in nord America.
Altri, invece, si spostano per raggiungere luoghi più adatti alla riproduzione come molti anfibi, i salmoni o le tartarughe marine.
Altri ancora cercano riparo dal freddo svernando in luoghi più miti, compiendo talvolta semplicemente migrazioni altitudinali, come nel caso del picchio muraiolo che in inverno si rifugia a fondovalle mentre il resto dell’anno si stabilisce a quote più elevate.
Nella foto sotto, gli gnu in Africa si spostano in massa per andare alla ricerca di aree con un miglior accesso al cibo.
5. Viaggi sconfinati, le più grandi migrazioni del mondo
Le balene grigie (Eschrichtius robustus) sono i mammiferi che compiono le migrazioni più lunghe: lasciano le fredde acque siberiane a inizio inverno e percorrono oltre 10mila chilometri verso sud, fino alle coste messicane, dove rimangono fino a maggio per partorire.
Poi ritornano nel nord atlantico. Monitorando con il satellite un esemplare di 9 anni, battezzato Varvara, gli scienziati hanno potuto stabilire con precisione che l’animale ha percorso ben 22.511 chilometri in 172 giorni.
Un vero record tra tutti i cetacei e i mammiferi in generale, che ha soppiantato quello precedente di una megattera (Megaptera novaeangliae) che nel 2010 aveva percorso 9.800 chilometri dal Brasile al Madagascar.
Tra gli uccelli migratori troviamo il falco pellegrino (Falco peregrinus) che arriva a percorrere 1.600 chilometri in sole 48 ore (è considerato anche il più veloce), riuscendo a orientarsi perfettamente nei suoi spostamenti dall’Europa all’Africa, dal nord Asia al sud e dal nord America al sud America.
La cicogna bianca (Ciconia ciconia) e l’averla piccola (lanius collurio) dal nord Europa svernano in centro-sud Africa, ritrovando ogni anno lo stesso nido con una precisione millimetrica.
Ma il record in termini di distanza percorsa è della sterna artica (sterna paradisaea), che compie rotte differenti a seconda dei venti attraversando letteralmente il globo e ritorno, dall’artico all’antartico, per un totale di 70.900 chilometri.
Un altro primato è quello della pittima minore (limosa iapponica), non tanto per il viaggio intrapreso durante la migrazione stagionale (circa 11.500 chilometri, dalla nuova Zelanda alla Cina), quanto per la totale assenza di riposo: nessuno “scalo” intermedio per questo uccello che, durante la sua rotta, mantiene una velocità media di crociera di 56 chilometri all’ora con la stessa efficienza di un airbus.