La nostra casa “verde”

Salvo improvvisi ripensamenti, e con poche eccezioni, dal 2030 tutti gli edifici dovranno essere sottoposti a una “certificazione energetica”.

Obiettivo, ridurre sprechi e consumi e innescare in tutti noi un benefico circolo virtuoso, che ci faccia diventare sempre più “verdi” limitando il nostro impatto sull’ambiente.

In effetti, le estati sono sempre più torride e gli inverni più poveri di neve e piogge, salvo quelle improvvise tempeste, vere e proprie bombe d’acqua, che provocano danni incalcolabili.

Il clima è impazzito. E purtroppo a farlo impazzire siamo stati anche noi con le nostre sconsiderate abitudini di consumo e scarsa sensibilità nei confronti di madre natura. Ormai gli esperti ne sono certi: o si cambia velocemente, o il mondo, così come lo abbiamo conosciuto finora, è destinato a sparire.

Purtroppo, però, le contromisure non sono semplici da attuare, specie a livello globale. Nonostante l’emergenza, i capi di Stato e di governo delle principali economie mondiali faticano a trovare una soluzione condivisa, con il risultato che le decisioni prese nei meeting internazionali appaiono insufficienti e inadeguate a far fronte alla situazione attuale.

1. Decisione coraggiosa

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Se i principali responsabili dell’inqui namento mondiale sono Cina e USA, a livello europeo esistono norme pensate per cambiare la rotta. Si tratta, in particolare, di norme relative alla progettazione di nuovi edifici, sia pubblici sia privati.

Per il prossimo futuro, infatti, tutti gli edifici dovranno essere classificati “nZEB”, ossia nearly Zero Energy Building, strutture con un consumo energetico prossimo allo zero.

La cosa è possibile già oggi grazie all’impiego di tecniche innovative e all’utilizzo prevalente, o totale, di fonti energetiche rinnovabili.

Il vero salto di qualità, però, sempre a livello europeo, dovrebbe arrivare con l’entrata in vigore di una nuova norma, annunciata pochi mesi fa, che non riguarderà più solo i nuovi edifici, ma anche quelli già esistenti.

In pratica, entro il 2030 tutti gli edifici dell’Unione Europea dovranno rientrare almeno nella classe energetica E ed, entro il 2033, addirittura nella D. L’indicazione ha sollevato diverse critiche da parte dei membri del Parlamento, ma è comunque stata approvata a larga maggioranza.

L’obiettivo finale è di lungo termine. Questo, infatti, sarà solo il primo passo che permetterà (forse) all’Europa di raggiungere le “zero emissioni” entro il 2050, limitando la produzione di gas nocivi per l’ambiente e in ultima analisi anche gli effetti più devastanti dell’effetto serra. A partire dalla siccità, le tempeste improvvise di pioggia fino alle famigerate bombe d’acqua.

Sulla carta la decisione è condivisibile. Coraggiosa ma necessaria se si vuole provare concretamente a invertire la rotta. Il problema è che non si possono ignorare i costi ingenti necessari per raggiungere obiettivi così sfidanti: decine di migliaia di euro che ogni proprietario di casa dovrà mettere in preventivo per adeguare le proprie abitazioni alle nuove norme.

In Italia, in particolare, dove il patrimonio immobiliare è decisamente vetusto, l’entrata in vigore di una norma così stingente rischia di creare un enorme danno. Gilberto Dialuce, presidente di ENEA, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, in una conferenza stampa sull’argomento ha dichiarato che nel nostro Paese “circa 11 milioni di abitazioni, cioè il 74 per cento del patrimonio immobiliare, a oggi sarebbero incluse in classi energetiche inferiori alla D”.

Di conseguenza, la transizione ecologica richiesta dalla direttiva europea sugli immobili, comporterà uno sforzo notevole.

2. Vendere o affittare. La situazione attuale

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Come anticipato, quello di cui si sta discutendo per ora è ancora solo una direttiva europea che per diventare effettiva in Italia dovrà prima essere recepita dal governo nazionale e successivamente essere trasformata in legge.

Ma nel momento in cui questo accadesse, per i possessori di immobili “non a norma” le cose si farebbero complicate.

Da quel momento, infatti, non sarà più possibile affittare o vendere immobili che non rientrino nei parametri di efficienza energetica previsti.

La stessa direttiva, inoltre, potrebbe ostacolare la richiesta di mutui e di conseguenza rappresentare un concreto freno per il mercato immobiliare.

Ci sono però alcune eccezioni. La norma, infatti, non si dovrebbe applicare a edifici pubblici di edilizia sociale e luoghi di culto, ma anche agli edifici con una rilevanza storica o archeologica, ma soprattutto ai fabbricati di piccole dimensioni (non superiori a 50 metri quadri) e alle seconde case di villeggiatura.

Questa rivoluzione deve avvenire nel giro di pochi anni. Infatti, anche se le scadenze imposte dalla UE sembrano lunghe, il 2030 è drammaticamente vicino, specie considerando l’entità delle opere richieste.

Come prepararci? La prima cosa da fare è capire con esattezza la situazione attuale della casa in cui viviamo, così da valutare, con l’aiuto di un esperto, quali e quanti interventi saranno richiesti per rientrare nei parametri. Quello che occorre, tecnicamente, si chiama APE, ossia Attestato di Prestazione Energetica.

Un documento che nei prossimi anni diverrà indispensabile e che già oggi deve essere – obbligatoriamente – fornito all’acquirente o all’affittuario nel momento in cui si stipula un nuovo contratto di vendita o di locazione.

Non solo. Già oggi le principali informazioni dell’APE devono essere riportate negli annunci immobiliari. In tutti i casi, dal 2015, copia dell’APE deve essere allegata a ogni contratto di acquisto o di affitto.

3. Quanta energia

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Tecnicamente con l’APE si calcola la quantità di energia assorbita ogni anno da un immobile per il suo riscaldamento, l’eventuale condizionamento, la ventilazione, la produzione di acqua calda sanitaria e, nel caso di un edificio non residenziale, anche per l’energia necessaria all’illuminazione e per far funzionare ascensori e scale mobili.

A seconda delle esigenze, l’APE può essere prodotto per un intero edificio o per una singola unità immobiliare.

A redigere questo documento deve essere un tecnico abilitato che dovrà effettuare un sopralluogo dell’immobile per verificare le sue principali caratteristiche, in particolare sotto il profilo dei materiali impiegati e delle tecniche costruttive adottate, dell’isolamento termico e in generale del consumo energetico prodotto dai suoi impianti.

Quindi dovrà verificare la tipologia di impianti presenti nell’abitazione, verificando i relativi libretti con le misurazioni delle emissioni. Prima ancora del sopralluogo, il tecnico dovrà consultare le planimetrie dell’edificio e le relative mappe catastali perché le dimensioni, l’esposizione e la collocazione dell’immobile sono parametri che influiscono sul conto finale.

Raccolte tutte le informazioni necessarie ed effettuato il sopralluogo, il tecnico, utilizzando un particolare software certificato dal Comitato Termotecnico Italiano (CTI) esegue dei calcoli e redige un documento conclusivo.

Senza entrare in complicati tecnicismi, la classe energetica di un edificio si determina attraverso il calcolo di un particolare indice detto “di prestazione energetica globale non rinnovabile”, indicato dalla sigla “EPgl,nren”, ed espresso in kWh/ mq/anno.

Da un punto di vista pratico, invece, la classe energetica di un appartamento o di un immobile è espressa con una lettera, compresa in una scala che va da A4 a G, dove la lettera A rappresenta gli edifici più efficienti, mentre la G è assegnata a quelli con prestazioni peggiori.

4. Spunti per migliorare. Agenzie regionali

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Sempre nell’APE, inoltre, vengono anche fornite indicazioni utili al miglioramento dell’efficienza energetica dell’immobile, con la proposta degli interventi significativi ed economicamente più convenienti.

È bene ricordare che per favorire l’attuazione di queste raccomandazioni, il governo mette a disposizione incentivi finanziari che possono coprire fino al 65 per cento delle spese sostenute.

Ma attenzione, l’APE ha una scadenza. La sua validità è infatti limitata a 10 anni, dopodiché va rifatta. Per essere valida, inoltre, è necessario che tutti gli impianti dell’immobile siano correttamente manutenuti e in perfetta efficienza.

Per questo bisogna sempre allegare all’APE anche i libretti di manutenzione periodica degli impianti, in mancanza dei quali la validità del documento decade automaticamente il 31 dicembre dell’anno successivo a quello dell’ultimo controllo.

Oggi sono numerose le agenzie che offrono questo servizio, anche su Internet. E in alcune Regioni, come Lombardia, Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, Marche e Sicilia, sono stati creati dei veri e propri registri di esperti accreditati, anche in questo caso consultabili facilmente su Internet.

Il costo dell’APE varia in base a diversi parametri, tra cui la superficie dell’immobile e la complessità dei suoi impianti. In genere, però, si va da un minimo di 100 a un massimo di 300 euro, compreso sopralluogo e verifica dei documenti.

 

Caldaie a gas: addio dal 2029? Una nuova norma potrebbe rendere obsolete tutte le caldaie a gas a partire da settembre 2029. O meglio, le caldaie “tradizionali” potrebbero essere bandite dal commercio, pur permettendo a chi le ha già installate di utilizzarle “liberamente”.
Se la notizia venisse confermata, si tratterebbe di un’altra piccola rivoluzione ecologica, pensata per favorire l’uso di sole fonti rinnovabili.
E purtroppo anche questa transizione rischia di essere molto dolorosa per le tasche degli italiani, costretti ad abbandonare le caldaie tradizionali per passare alle più efficienti pompe di calore, alimentate con l’energia elettrica che, si spera, nel corso dei prossimi anni sarà sempre più spesso prodotta a partire da fonti rinnovabili (in caso contrario lo sforzo richiesto sarebbe praticamente inutile).
Per meglio comprendere le dimensioni di questa nuova rivoluzione e i suoi costi basti pensare che solo nel 2022, in Italia, sono state installate oltre un milione di nuove caldaie a gas. Tutte destinate a un’obsolescenza precoce.





5. Come stimare la classe energetica della propria casa in 5 mosse

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Se per ottenere l’APE è necessario ricorrere a un tecnico abilitato, si può stimare approssimativamente la classe energetica della propria abitazione in autonomia.

Basta infatti conoscere il consumo di gas (in metri cubi) – un dato semplice da ricavare dalle ultime bollette pagate – e quello di kWh di energia elettrica, anche in questo caso facilmente rilevabile dalle bollette passate.

In pratica: immaginiamo di voler valutare la classe energetica di un appartamento di medie dimensioni, circa 90 metri quadri, dotato di riscaldamento autonomo.

1. La prima cosa da fare è sommare il consumo di gas registrato nei 12 mesi precedenti. Ipotizziamo, per esempio, che il consumo totale nell’anno sia stato di 1.000 metri cubi.

2. Il secondo passo è trasformare i metri cubi di gas in kWh. Per farlo è sufficiente moltiplicare 1.000 per un coefficiente, 8,3, che rappresenta il numero di kWh prodotti da un metro cubo di gas bruciato in una caldaia. Si ottiene 8.300 che rappresenta il numero di kWh consumati dalla casa per essere riscaldata per un anno.

3. A questo numero aggiungiamo i kWh di energia elettrica consumata nello stesso periodo. Anche in questo caso ipotizziamo che il consumo sia stato di 1.000 kWh in 12 mesi. Questo porta il totale dei consumi dell’abitazione a 9.300 kWh.

4. L’ultimo passaggio consiste nel dividere questo valore per i metri quadrati della superficie della casa, nel nostro caso 90. Si ottiene 103,3 kWh all’anno per metro quadro.

5. Confrontando questo valore con la tabella qui sotto il nostro immaginario appartamento rientra in classe E.








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