Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, nel 2016 sono state compiute almeno 1.032 esecuzioni capitali nei 57 Paesi di tutto il mondo, dove la pena di morte è ancora prevista nell’ordinamento giuridico.
Questi dati, però, non includono le migliaia di sentenze capitali che si ritiene siano state eseguite in nazioni come la Cina, la Corea del Nord o lo Yemen, in cui non viene rilasciata alcuna informazione a riguardo.
Nonostante gli appelli delle Nazioni Unite, in 57 stati del mondo i colpevoli di reati gravi vengono ancora puniti con la pena capitale.
Diversi sono i metodi di esecuzione, molti dei quali praticati fin dall’antichità. In Italia l’ultima fucilazione avvenne 70 anni fa, ma ne sono passati solo 24 dall’abolizione ufficiale.
1. Dall’antichità al Medioevo
- Il codice Hammurabi
Secondo gli esperti, potrebbero essere state applicate sentenze capitali a chi veniva giudicato colpevole dai capi tribù già nella preistoria.
In assenza di prove scritte, tuttavia, non tutti concordano con questa interpretazione, mentre c’è unanimità nell’indicare il codice di Hammurabi quale prima fonte di diritto nella quale fu esplicitamente indicata la condanna a morte.
Il corpus di leggi stilato nel regno del sovrano babilonese Hammurabi (1792 a.C.- 1750 a.C.) era infatti fondato sulla “legge del taglione”, nota anche con l’espressione “occhio per occhio, dente per dente”.
Per i Babilonesi, infatti, l’unica pena possibile per un omicida (ma anche per un ladro o un sacrilego) era l’uccisione, spesso per annegamento.
Nonostante fosse uno dei primi codici scritti e dovesse quindi garantire equità di giudizio, il codice Hammurabi prevedeva gravità di pene diverse a seconda della classe sociale di appartenenza del colpevole e della vittima.
Una disparità che non era contemplata nelle leggi in vigore presso gli antichi Egizi che potevano mandare a morte, per decapitazione o annegamento nel Nilo, anche chi evadeva le tasse, indipendentemente dal ceto.
- Dall’antichità al Medioevo
Anche nell’antica Grecia e a Roma venivano decretate condanne a morte.
Nel mondo ellenico, infatti, crimini contro lo Stato, sacrilegi, omicidi premeditati, uccisioni dei genitori o altri parenti prossimi potevano essere puniti con la morte del reo, così come nell’antica Roma il ricorso a decapitazione, fustigazione a morte, impiccagione, taglio degli arti, annegamento, rogo, sepoltura da vivi e crocifissione poteva essere il naturale esito di un processo per chi si era macchiato di pubblico tradimento o di patricidio.
Nel Medioevo furono condannate a morte soprattutto presunte streghe o stregoni da parte della Chiesa, attraverso il tribunale della Santa Inquisizione. Interpretazioni ardite delle Sacre Scritture e prese di posizione da parte di alcuni eminenti teologi del tempo, permisero così di condannare e uccidere migliaia di persone in tutta Europa.
2. Velocità francese... e lentezza spagnola
- Velocità francese...
Le successive epoche storiche videro ulteriori “innovazioni” nel campo delle esecuzioni capitali, tra le quali la più famosa è sicuramente la creazione della ghigliottina, simbolo della Rivoluzione Francese e del successivo Regime del Terrore.
Strumento principe per l’esecuzione di aristocratici e nemici della Rivoluzione, la ghigliottina venne progettata e realizzata nel 1791 da Antoine Louis, segretario perpetuo dell’Accademia di Medicina, che si ispirò ad alcuni strumenti simili già in uso in altri stati come Irlanda, Scozia e Stato Pontificio, dove era chiamata mannaia e presentava una lama a mezzaluna anziché obliqua.
Una volta testata e apprezzata per la velocità che permetteva nel portare a termine l’esecuzione, lo strumento di Louis assunse il nome di ghigliottina prendendolo da Joseph-Ignace Guillotin, promulgatore dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla pena di morte e convinto sostenitore del suo utilizzo.
Toccò a Nicolas Pelletier, condannato per omicidio e furto, inaugurare lo strumento il 25 aprile 1792.
L’ultima esecuzione è invece avvenuta appena 40 anni fa, cioè il 10 settembre 1977: fu quella di Hamida Djandoubi, un 28enne tunisino che aveva ucciso e torturato la sua fidanzata.
- Lentezza spagnola
La garrota (foto sotto), introdotta in Spagna nel 1822, era in grado di procurare un’agonia lenta e dolorosa. Il condannato veniva fatto sedere e la sua schiena legata a un palo.
Quindi gli si fissava attorno al collo un anello di ferro collegato a una manovella che veniva azionata dal boia per stringere progressivamente l’anello.
Il risultato era il lento strangolamento del condannato che subiva anche la frattura delle vertebre cervicali.
La garrota fu usata in Spagna fino al 1974, quattro anni prima che lo stato iberico abolisse la pena di morte.
3. Svariati metodi e Mastro Titta, “er boja de Roma”
- Svariati metodi
Se il rogo era l’esecuzione più spettacolare e “formativa” per il popolo che poteva e doveva vedere con i propri occhi i rischi ai quali andava incontro sfidando leggi e dogmi, nel Medioevo si distinsero anche altre procedure, frutto della mente perversa dell’uomo.
Accanto alle metodologie “classiche” come impiccagione, decapitazione, annegamento, lancio da un dirupo, lapidazione, crocifissione, impalamento, morte per fame e sete, si diffusero infatti anche metodi più crudeli come la bollitura del condannato o il suo posizionamento su una sedia che veniva scaldata fino all’incandescenza.
In voga era anche l’allungamento, con il condannato legato ai polsi e alle caviglie con funi assicurate a quattro animali che venivano fatti muovere in 4 direzioni diverse per strappargli gli arti, o il cosiddetto “metodo del cavallo”, con il reo posto su una struttura a V e dei pesi sempre più pesanti legati ai piedi: in questo caso la morte sopraggiungeva per divisione del corpo.
- Mastro Titta, “er boja de Roma”
516 esecuzioni portate a termine in quasi 70 anni di regolare attività, dal 1796 al 1864: il curriculum vitae di Giovanni Battista Bugatti (Senigallia, 6 marzo 1779 - Roma, 18 giugno 1869), passato alla storia come “Mastro Titta”, è quello di un boia esperto, sempre pronto a offrire ai condannati un bicchiere di vino o una presa di tabacco.
“Er boja de Roma” operava in tutto lo Stato Pontificio e i metodi che impiegava variavano dall’impiccagione allo squartamento, passando per la decapitazione.
Venditore di ombrelli nei periodi di inattività come boia, Bugatti non era ben visto dai romani e per precauzione gli era vietato recarsi in centro città.
Doveva restare quindi all’interno delle Mura Vaticane, dove risiedeva in Vicolo del Campanile 2.
Oggi il mantello rosso che Mastro Titta indossava durante le esecuzioni è conservato nel Museo criminologico di Roma (foto sotto).
4. Gli Stati che la applicano ancora e i Paesi con il maggior numero di esecuzioni
- 57 Stati la applicano ancora
Una scelta, quella di abolire la pena di morte, oggi condivisa da 141 stati nel mondo, tra i quali alcuni l’hanno eliminata definitivamente, mentre altri la mantengono nell’ordinamento giuridico, ma non vi fanno ricorso.
Nonostante già nel 2007 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite abbia chiesto la moratoria universale della pena di morte, sono oggi 57 gli stati che continuano ad applicarla.
Decapitazione in Arabia Saudita; fucilazione in Bielorussia, Cina, Corea del Nord, Indonesia, Palestina, Somalia e Taiwan; impiccagione in Afghanistan, Bangladesh, Botswana, Egitto, Giappone, Iran, Iraq, Malesia, Nigeria, Pakistan, Palestina, Singapore, Sudan, Sudan del Sud; iniezione letale in Cina, Vietnam e Stati Uniti d’America.
Questi ultimi (limitatamente a 31 stati), assieme al Giappone, sono l’unico Paese industrializzato, libero e democratico in cui per reati come l’omicidio e gravi atti di terrorismo si applica ancora la pena di morte.
Recentemente la Corte Suprema ha dichiarato che sedia elettrica, impiccagione e camera a gas vanno considerate punizioni crudeli e quindi, teoricamente, assimilabili alla tortura, ma non ne ha decretato espressamente il divieto.
- Iran e Arabia Saudita sono i Paesi con il maggior numero di esecuzioni
Secondo Amnesty International, nella classifica 2016 dei Paesi in cui è stato eseguito il maggior numero di condanne a morte, svettano Iran (567 esecuzioni), Arabia Saudita (154) e Iraq (88).
Il Pakistan (87 esecuzioni) si posiziona al quarto posto, tallonato da Egitto (44) e Stati Uniti d’America (20).
Seguono Somalia (14), Bangladesh (10) e Malesia (9). Completano la classifica gli altri stati che applicano la pena di morte con un numero di esecuzioni variabile da 4 a 1.
Cifre che non tengono conto delle probabili esecuzioni in Paesi in cui le condanne a morte sono classificate come segreto di stato.
«Nel 2016», dice il rapporto, «sono state poche o nulle le informazioni su alcuni Paesi, come Corea del Nord, Laos, Siria e Yemen, per le restrizioni governative e/o i conflitti armati»
5. Gli ultimi tre condannati a morte in Italia
In Italia la pena di morte è stata ufficialmente abolita nel 1994, ma il primo stato italiano che la tolse dall’ordinamento giuridico fu il Granducato di Toscana nel 1786.
Seguì l’esempio la Repubblica Romana che la bandì nel 1849.
All’alba dell’Unità d’Italia, tutti gli altri stati che confluirono nella nuova nazione prevedevano la pena di morte con metodi che andavano dall’impiccagione alla decapitazione.
Il Regno d’Italia la abolì nel 1889 e tra gli ultimi condannati ci furono l’assassino Antonio Boggia (1862), impiccato e successivamente decapitato, e l’attentatore anarchico Giovanni Passannante (1879), la cui pena fu però commutata in ergastolo.
Rimase in vigore nel codice penale militare e vi si fece spesso ricorso durante la Prima guerra mondiale per fucilare i disertori: secondo alcune stime per difetto, furono almeno 750 i soldati italiani giustiziati.
Nel 1931, durante il Fascismo, la pena di morte per i civili venne reintrodotta con il Codice Rocco, che stabilì l’esecuzione, tramite fucilazione, di 118 persone.
La nascita della Repubblica e la promulgazione della Costituzione sancirono poi la sua cancellazione dai codici penali civili, non prima di aver fucilato 91 ex appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana, condannati dalle Corti straordinarie d’Assise e dai Tribunali straordinari.
La pena capitale venne però mantenuta nel codice penale militare di guerra da cui uscirà nel 1994.
Il 4 e il 5 marzo 1947 si tennero le ultime due esecuzioni: la prima presso il poligono di tiro delle Basse di Stura, a Torino, dove furono fucilati i tre autori della “strage di Villarbasse” avvenuta il 20 novembre 1945, quando 10 persone furono uccise a bastonate e gettate in una cisterna durante una rapina (foto sotto).
Il giorno successivo toccò a tre ex appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana, che furono fucilati a La Spezia.