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La poliomielite, il “flagello del secolo”: 5 cose da sapere

Un polacco filosovietico e un russo filoamericano negli Anni ’60 si sfidarono per battere il flagello del secolo: la poliomielite.

“Una guerra con tutti i mali della guerra: una guerra contro i bambini”, così inNemesi”, romanzo ambientato a Newark (New Jersey, Usa) nel 1944, Philip Roth descrive l’epidemia di poliomielite che quell’anno aveva colpito la sua città.

Un conflitto atroce e beffardo, che mieteva giovanissime vittime, per giunta in estate, la stagione in cui i bambini avrebbero potuto godersi liberamente i giochi all’aperto.

Gli americani chiamavano The clipper (“Lo storpiatore”) quel morbo che generava, prima che infermità, panico e impotenza: come una tragica lotteria, infatti, colpiva senza regole apparenti.

Nella Newark “equatoriale” descritta da Roth dilagava la sindrome del sospetto:
“Si era anche proposto di non far più venire nel quartiere le donne delle pulizie di colore, per paura che fossero loro a portare dai ghetti neri i germi della polio. Un uomo disse che secondo lui la malattia si attaccava attraverso le banconote che passavano di mano in mano. E la posta, disse qualcun altro, non potrebbe attaccarsi attraverso la posta?”.

Oggi scopriremo alcune cose molto interessanti su questa grave malattia infettiva di origine virale che colpisce il sistema nervoso centrale e che causò migliaia di morti in tutto il mondo ( fortunatamente debellata in moltissimi Paesi, ovvero nella regione delle Americhe, in quella del Pacifico Occidentale e in Europa).

1. Psicosi e il morbo del progresso

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Come rimedi contro la poliomielite, da decenni, si mettevano in campo solo quarantena e sterilizzazione domestica: tutti gli oggetti alla portata dei bambini venivano lavati e bolliti.

Ogni anno, con i primi freddi la situazione sembrava migliorare, ma con la primavera l'epidemia si ripresentava e la medicina non registrava progressi.

Nella tragica estate del 1916 solo a New York si contarono 27 mila casi e 6 mila morti.

La polizia si trovò a fronteggiare la folla terrorizzata che assaltava le stazioni ferroviarie per fuggire dalla città.

Sulle cause circolarono le ipotesi più fantasiose. Quella volta ne fecero le spese i gatti: in un mese ne vennero eliminati più di 70 mila, accusati di diffondere la malattia.

Ma la colpa fu attribuita anche alle mosche, ai piccioni, ai coni gelato, ai gas industriali, alla polvere della metropolitana.

Ma quando era cominciato l’incubo? Sebbene esistano ipotesi sulla sua presenza fin dall’antichità, la poliomielite - dal greco poliòs (“ grigio") e myelòs (“midollo") perché colpisce il midollo spinale, o meglio quella parte di esso che governa i movimenti, provocando la paralisi - fu identificata e descritta solo nell’Ottocento.

E soltanto all’inizio del Novecento ne fu riconosciuto il carattere infettivo. Fu nei primi decenni del XX secolo che iniziò a provocare epidemie particolarmente gravi, soprattutto in aree del mondo tra le più progredite, come i Paesi scandinavi e il Nord America.

In pratica, dove l’avanzare del progresso migliorava le condizioni igieniche aumentavano le probabilità di contrarre la terribile malattia. Le ragioni di questo paradosso si sono capite solo in seguito.

Oggi sappiamo che se si contrae l’infezione nei primi mesi di vita, sono assai scarse le probabilità che si manifesti la malattia. Più rapida e virulenta è invece l'infezione contratta avanti negli anni.

2. Il "male di Roosevelt" e la sfida in laboratorio

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La polio poteva dunque uccidere o paralizzare un bambino o un giovane, rendendolo menomato, deforme o incapace di respirare al di fuori di un polmone d'acciaio.

Quest’ultimo è una sorta di cilindro metallico la cui comparsa, a partire dagli Anni '30, nelle corsie degli ospedali americani divenne lo spauracchio di un'intera generazione.

Anche se nella sua forma letale la malattia faceva percentualmente poche vittime, milioni di sopravvissuti ne portarono i segni. Segni come quelli che costrinsero Franklin Delano Roosevelt alla seminfermità dall'età di 39 anni.

Anche se la causa della paralisi agli arti inferiori che colpì nel 1921 il futuro presidente degli Stati Uniti sarebbe attribuibile, secondo gli studi più recenti, a una grave sindrome autoimmune, resta un dato di fatto il suo grande contributo alla battaglia contro la malattia.

Nel 1927 Roosevelt fondò infatti un innovativo centro di riabilitazione a Warm Spring (Oregon) e nel 1938 diede vita alla National Foundation for Infantile Paralysis (Nfip), che mobilitò l'America con la March of Dimes (la Marcia delle monetine).

Il 20 gennaio di ogni anno, ricorrenza del compleanno di Roosevelt, l'intera nazione, a cominciare dalle scuole, veniva invitata a partecipare a una sottoscrizione popolare a cui le radio offrivano spazi promozionali e le star del cinema facevano da testimonial.

Grazie al successo dell’iniziativa (un modello ripreso da Telethon) la Fondazione mise grossi capitali a disposizione della ricerca scientifica.

Un primo passo verso il vaccino che avrebbe debellato la malattia fu compiuto da John Enders, Thomas Weller e Frederick Robbins, che nel 1949 riuscirono a coltivare in vitro il virus della polio.

Ma gli indiscussi protagonisti della battaglia emersero nel decennio successivo. Entrambi erano americani di adozione: Jonas Salk (foto), nato a New York nel 1914 da una famiglia di immigrati russi, e Albert Sabin, ebreo di origini polacche nato nel 1906 e immigrato negli Usa nel 1921.

Due personalità molto forti, che ingaggiarono una delle maggiori sfide scientifiche del Novecento.

Salk lavorò, nel suo laboratorio di Pittsburgh, alla preparazione di un vaccino partendo da un virus che, ucciso con la formaldeide e iniettato per via intramuscolare, favoriva la comparsa di anticorpi, rendendo immuni alla malattia.

Era talmente certo della bontà della sua scoperta da sperimentarla sui tre figli: una prova coraggiosa, ma non sufficiente. Servivano sperimentazioni su grandi numeri.

Salk, che aveva partecipato alla campagna di vaccinazione antinfluenzale dell’esercito durante la Seconda guerra mondiale, si assicurò il pieno sostegno economico della Nfip, che gli consentì una grandiosa sperimentazione, coinvolgendo circa 1.800.000 bambini.

L’annuncio dell’esito positivo, dato il 12 aprile 1955 con grande risonanza mediatica, fu salutato negli Usa con festeggiamenti spontanei e Salk fu proclamato dal presidente Eisenhower “benefattore dell’umanità”. Un trionfo un po’ frettoloso.

3. "L'incidente di Cutter" e oltrecortina

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Dopo una quindicina di giorni si diffuse la notizia che almeno una cinquantina di bambini vaccinati nel corso della sperimentazione avevano contratto l'infezione, alcuni con conseguenze mortali.

Fu il cosiddetto “incidente di Cutter", dal nome della casa farmaceutica che aveva prodotto una partita difettosa di vaccino. Per quanto circoscritto, il tragico episodio insinuò dubbi sulla validità del rimedio.

A ciò si aggiunse una precauzione adottata da molte aziende che, per non correre rischi, usarono trattamenti più intensi per uccidere il virus, indebolendo però l ’efficacia del vaccino.

Intanto Sabin (foto), nel laboratorio dell’Università di Cincinnati dove aveva a disposizione per gli esperimenti più di 9 mila scimmie, stava battendo una strada diversa: ottenere un vaccino vivo attenuato, da somministrare per bocca.

Ma anche Sabin, dopo aver sperimentato la sua scoperta su di sé e su due collaboratori ( “tre emarginati", come avrebbe ironicamente sottolineato in un'intervista, ovvero “un ebreo, un negro e un sudamericano") oltre che sulle sue due figlie, aveva bisogno di test su vasta scala.

Scottati dal caso Cutter, gli Usa non aiutarono Sabin. Lo scienziato trovò invece accoglienza in Urss, dove il virologo Mikhail Chumakov organizzò una vaccinazione di massa con esiti positivi.

Nel 1962 anche gli Usa, dove nel frattempo, con la somministrazione del Salk, la diffusione della malattia si era drasticamente ridotta, autorizzarono il vaccino di Sabin, lanciando una campagna che eradicò l'infezione nel 1979.

Più facile da somministrare e conservare, meno costoso, dolce come lo zuccherino che lo veicolava, il vaccino di Sabin fu adottato dall’Organizzazione mondiale della sanità ed è stato, negli ultimi decenni del XX secolo, il protagonista delle grandi campagne di vaccinazione.

Condotte su scala planetaria, queste campagne hanno reso possibile l'eliminazione del virus in molti Paesi del mondo. Salk e Sabin, nonostante le rivalità, hanno vinto la guerra.

Grazie a loro, come ha detto l’ex segretario generale dell'Onu Kofi Annan, “proteggere un bambino dalla polio è facile come ripararlo dalla pioggia: si tratta di aprire l’equivalente medico di un ombrello".

4. Lo zuccherino d'Italia e la parabola dell'epidemia

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In Italia gli effetti della polio si fecero sentire soprattutto negli Anni '50.

La vaccinazione volontaria con il virus inattivato scoperto da Salk, introdotta nel biennio 1958-59, non modificò la situazione: all’inizio degli Anni '60, infatti, la media era ancora di circa 3 mila casi l'anno.

Sull'adozione del Sabin regnava nel frattempo una grande incertezza.

La cautela era dettata, secondo il ministero della Sanità, dalla preoccupazione che, nella disputa tra i due vaccini, "i bambini Italiani facessero da cavie".

Secondo altre versioni si voleva evitare di penalizzare un'industria farmaceutica italiana che aveva i propri magazzini colmi del vaccino di Salk, che l'adozione del vaccino concorrente avrebbe reso inutilizzabile.

Il 1964 fu finalmente l'anno dello "zuccherino rosa” con il quale si iniziò una campagna di massa che coinvolse le strutture sanitarie, le anagrafi comunali e le scuole: milioni furono gli italiani, dai sei mesi ai 14 anni, vaccinati con il Sabin.

Dal 1967 la vaccinazione fu resa obbligatoria (oggi si usa il vaccino Salk) per i nuovi nati e alla fine dello stesso anno i casi di polio si ridussero ad appena 32.

In Italia, prima che venisse adottata la vaccinazione, obbligatoria dal 1966, si verificarono più di 8000 casi nel 1958 e circa 3000 casi all’anno negli anni sessanta. L’ultimo caso è stato registrato nel 1983.

La parabola dell'epidemia

  • Inizio '900 Prime epidemie di polio in Norvegia e Svezia, con punte di 50 mila casi all'anno.
  • 1952 È l'anno più tragico per gli Usa, con oltre 57 mila casi, di cui 3.145 morti e 21.629 paralizzati.
  • 1955 Prima vaccinazione di Salk: gli Usa passano da una media di 50 mila casi annui a 161 nel 1961.
  • Anni'60 II vaccino di Sabin riduce nettamente il pericolo nei Paesi avanzati (Italia compresa).
  • Anni '70 La malattia si diffonde nei Paesi poveri, con tassi simili ai Paesi ricchi prima del vaccino.
  • 1988 L'Organizzazione mondiale della sanità si impegna per l'eradicazione globa­ le della malattia.
  • 1994 L'Oms certifica l'eradicazione della polio dalle Americhe (nel 2002 dall'Europa).
  • 1999 Viene avviata la campagna di eradicazione in India: vengono vaccinati 127 milioni di bambini.
  • Dal 2011 nessun caso segnalato in India. I Paesi non immuni restano Pakistan, Nigeria e Afghanistan.




5. Non fosse stato per la polio...

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  • Milton Erickson (1901-1980)
    Tra i più autorevoli teorici dell'ipnosi clinica. Gravemente colpito dalla poliomielite a 17 anni, usci dal coma paralizzato. Durante la malattia sviluppò una straordinaria capacità di osservazione e concentrazione che poi portò nella sua attività scientifica.
  • Francis Ford Coppola (1939-vivente)
    Il pluripremiato regista di indimenticabili capolavori, dalla saga del Padrino ad Apocalypse now, contrasse la poliomielite a nove anni. Costretto a un lunghissimo periodo di quarantena in casa, ebbe tra i regali dei genitori un teatrino di marionette, che rapidamente imparò ad animare facendone il suo passatempo preferito.
  • Wilma Rudolph (1940-1994)
    Nata in una poverissima famiglia afroamericana del Tennessee (Usa), fu costretta a camminare con un tutore e a recarsi due volte alla settimana in un ospedale per soli neri a 80 km da casa. Maturò cosi lo spirito competitivo che ne avrebbe fatto la regina delle Olimpiadi di Roma,nel 1960, dove trionfò nei 100 e 200 metri e nella 4x100.
  • Mia Farrow (1945-vivente) (foto)
    La nota attrice americana e giovanissima moglie di Frank Sinatra, a lungo anche compagna di Woody Alien, contrasse la poliomielite all'età di nove anni e per vari mesi fu tenuta in vita in ospedale grazie al polmone d'acciaio. Ambasciatrice Unicef nella difesa dei diritti dei bambini, si è adoperata a sostegno delle campagne mondiali per le vaccinazioni antipolio.








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