Una sensazione che tutti conosciamo bene: quella di volersi sotterrare, di scomparire all’istante.
Ma anche il dolore di aver deluso qualcuno, o di deluderlo quando saprà ciò che abbiamo fatto.
Fino ad arrivare al timore di non potersi più guardare allo specchio perché la propria immagine diventa insopportabile visto che non risponde più alle aspettative (proprie e altrui).
Dal punto di vista ” evoluzionistico, discende dal disgusto ma, al contrario di esso è una emozione sociale dato che ognuno di noi vive sotto lo sguardo (e il giudizio) altri.
1. DIVERSA DA IMBARAZZO E COLPA
La vergogna è l’emozione sociale per eccellenza: la proviamo proprio perché i nostri comportamenti, ciò che diciamo e perfino i nostri pensieri vengono inevitabilmente giudicati.
E il giudice può essere reale ma anche solo immaginato: del resto si evita di compiere un’azione “illecita’’ anche se nessuno in quel momento ci sta guardando e, magari senza rendercene conto, ci chiediamo: “se sapessero... che cosa penserebbero di me?".
Sarebbe proprio questa la sua funzione sociale: impedirci di infrangere le regole. Non va però confusa con l'imbarazzo, ma soprattutto con il senso di colpa.
L’imbarazzo può essere suscitato anche dal semplice esporsi allo sguardo degli altri (per esempio parlare in pubblico) senza aver trasgredito nulla.
Oppure la violazione delle norme sociali è poco importante e non intenzionale, come quando ci si strappa per caso il vestito o si fa una gaffe a una cena importante.
L'imbarazzo è quindi dovuto a un fatto momentaneo e ha breve durata, mentre la vergogna persiste per molto tempo e di solito è dovuta a un'azione intenzionale.
Ma la distinzione più importante da fare è quella con il senso di colpa, un sentimento che - a differenza della vergogna - si può provare solo “a posteriori".
Il senso di colpa ci fa sentire un comportamento che abbiamo adottato come sbagliato o indegno, ma senza intaccare la stima che si ha per se stessi, mentre nella vergogna ci si sente "sbagliati" come persone, "bollati” per l’azione compiuta.
Inoltre, chi prova vergogna desidera solo fuggire da una situazione, mentre chi prova colpa cerca di rimediare a ciò che ha fatto (o chiede scusa).
Come per tante altre emozioni, anche la vergogna si può leggere in faccia. Innanzitutto nello sguardo, che evita di incontrare quello degli altri, mentre il resto del volto resta impassibile, o viene nascosto tra le mani; e se proprio non si può abbassare lo sguardo, si fa un sorriso falso.
Il capo si china e le spalle si chiudono, come a volersi rimpicciolire. Le ricerche sulla fisiologia delle emozioni hanno dimostrato che quando una persona si vergogna la temperatura della pelle cala, tant’è vero che molti quando provano questo sentimento si sentono “agghiacciati".
E se si è costretti a parlare la voce è bassa, spezzata da sospiri o interiezioni come "uhm”, “ehm"... Si fanno giri di parole e ripetizioni, il ritmo del parlare è irregolare.
2. FIGLIA DEL DISGUSTO
Non esistono società in cui la vergogna non sia nota e non esistono forme di potere che non agiscano (legittimamente o meno) anche attraverso la vergogna (per esempio additando come traditore chi non aderisce alle norme).
Ma non esistono nemmeno individui che non abbiano almeno qualche tipo di vergogna.
E non tutti la provano nella stessa situazione, perché dipende dall’importanza che ciascuno di noi dà a ogni contesto sociale.
Un manager affermato è in alto nella gerarchia (e ha quindi molti occhi puntati addosso) all’interno della sua azienda mentre magari non si intende affatto di cucina e, tra amici, non si vergognerebbe per un piatto riuscito male (mentre un affare andato a rotoli per un errore lo getterebbe nel panico).
Del resto per un grande chef la situazione sarebbe opposta. Questo sentimento dipende inoltre dalla scala di valori: per chi è abituato a superare i limiti di velocità, essere pizzicati dalla polizia può essere una vera seccatura, ma per chi è sempre ligio alla regola e supera i limiti per distrazione, essere colto in fallo può diventare una vergogna.
Ci si può perfino vergognare per qualcosa che fa qualcun altro. In spagnolo esiste, unica lingua al mondo, una espressione per dire proprio questo: si parla di verguenza ajena, ovvero vergognarsi al posto di qualcuno.
Una cosa è certa: nel momento in cui pensiamo di aver deluso le nostre e le altrui aspettative, e di aver quindi provocato un danno irrevocabile, si viene presi dal disgusto verso se stessi.
«Non a caso, vergogna e disgusto si somigliano: entrambe queste emozioni ci inducono a stare lontani dagli altri, anche se per scopi diversi. Inoltre entrambe hanno a che fare con il corpo: la vergogna tende a nasconderlo, il disgusto a preservarlo da malattie», sottolinea Natalie Shook, psicologa dell’Università del Connecticut (Usa), che ha dimostrato con alcuni esperimenti che la vergogna, dal punto di vista evolutivo, deriva appunto dall'emozione del disgusto, tant’è vero che entrambe queste sensazioni attivano le stesse regioni cerebrali: la corteccia cingolata anteriore e l’insula anteriore.
Shook ha dimostrato anche che chi è disgustato per qualcosa si vergogna di più. «Il nostro studio potrebbe offrire indicazioni per curare disturbi psicologici legati alla vergogna, come i disturbi di ansia e quelli alimentari: potrebbe essere utile unire alla psicoterapia alcune tecniche per la riduzione della sensibilità al disgusto».
3. I BAMBINI RIPARATORI E QUELLI EVITANTI
La vergogna è comunque un sentimento con cui tutti dobbiamo fare i conti.
Compare nei bambini intorno ai 18-20 mesi insieme ad altre emozioni autoconsapevoli come l’orgoglio e la colpa, ma diventa identica a quella degli adulti tra i due e i tre anni.
L'imbarazzo invece compare prima: in genere verso i 15-18 mesi. Si è visto con il classico test dello specchio: colorando il naso di un bambino di rosso e mettendolo davanti alla propria immagine riflessa il piccolo si copre il naso con le mani e distoglie lo sguardo con imbarazzo.
Esistono però due tipi di bambini: quelli detti “evitanti" e quelli “riparatori”. Lo hanno dimostrato alcuni anni fa le psicologhe Karen Barrett e Carolyn Zahn-Waxler con un esperimento.
Hanno affidato ad alcuni bambini di due anni, per giocare, una bambola dicendo loro che si trattava del giocattolo preferito. Poi uscivano dalla stanza e alla bambola, che conteneva un congegno, si staccava una gamba.
Al rientro delle studiose, alcuni bambini ne evitavano lo sguardo, non si avvicinavano e tardavano a confessare di aver rotto il giocattolo, provavano vergogna insomma.
Altri bambini invece portavano subito la bambola alle studiose e tentavano di ripararla chiedendo scusa. Si sentivano in colpa quindi. In generale, secondo gli psicologi, se un bambino usa la prima strategia o la seconda dipende dall’esempio ricevuto in famiglia e dal tipo di rimproveri utilizzati dai genitori.
Una recente ricerca della California State University dimostra che la propensione a provare vergogna è collegata in particolare alla presenza nel nucleo familiare di padri depressi e troppo permissivi.
4. COME È CAMBIATA
La vergogna è dunque l’emozione sociale per eccellenza, ma si può dire che oggi siamo "senza vergogna”?
No, naturalmente, visto che difficilmente non la si prova mai, però meno una società è coesa, meno circola il sentimento della vergogna perché le persone sentono poco il bisogno di adeguarsi.
Inoltre nella nostra società ogni individuo è portato a dare spettacolo di sé e questo ci spinge a essere protagonisti anche quando si compiono azioni non lecite (non è raro vedere assassini o truffatori raccontare le proprie vicende in tv o sui giornali).
Non c’è vergogna perché non c’è biasimo diffuso. Insomma, se un’azione, anche illegale, cade nell’indifferenza emotiva non bastano le sanzioni (l’eventuale carcere) a indurre vergogna in chi la compie.
Ciò non significa che questa emozione sia scomparsa, ma ognuno ne ha una propria, a seconda del pubblico di riferimento. Insomma, la vergogna non è più legata a che tipo di persona si è ma a come si appare.
E quindi oggi spesso si trasforma nella sofferenza di non essere riusciti ad apparire abbastanza felici, abbastanza realizzati. Succede perfino di avere... vergogna di vergognarsi di qualcosa.
Questo sentimento, però, per gli studiosi può anche avere due risvolti utilissimi. Il primo per l’individuo: per alcuni potrebbe funzionare come un campanello di allarme, se si arriva a provare una profonda vergogna per qualcosa, significa che si è davvero "toccato il fondo”, ovvero che è il momento di reagire.
Il secondo per la società: a volte la vergogna induce indignazione. Se si prova questo sentimento come reazione alle ingiustizie o alle offese alla dignità altrui, la vergogna può trasformarsi in passione civile, per evitare di sentirsi complici di azioni che non si condividono.
Quando vediamo i migranti morire nei nostri mari e proviamo indignazione, questa reazione nasce da un primo senso di vergogna che poi può sfociare in azione politica per cambiare le cose.
5. PER SUPERARLA
Ciò non toglie che molte persone vivano la vergogna come un’emozione che può completamente distruggere la stima di se stessi.
Non a caso, suscitare vergogna in qualcuno è un modo per manifestare il proprio potere psicologico su questa persona, evidenziandone la diversità nell’aspetto o nei comportamenti, per esempio.
Può essere quindi usata per manipolare gli altri. Inoltre, gli studi dimostrano che la tendenza a provare vergogna in modo accentuato può essere la spia di veri e propri disturbi come alcune fobie oppure la depressione.
La vergogna può anche suscitare una forte rabbia, far immaginare che qualcuno sia colpevole della sofferenza provata e innescare pensieri psicotici o manie di persecuzione.
Come si supera quindi? È difficile affrontare la vergogna direttamente, perché genera inattività e senso di impotenza.
Occorre un lavoro psicologico condotto con uno specialista e basato sul separare il comportamento ritenuto sbagliato dalla dignità della persona che lo commette, trasformando quindi la vergogna in senso di colpa.
Va poi sfruttata la capacità di fare ironia su se stessi, guardandosi “dall'esterno" e criticandosi bonariamente per primi.
CURIOSITA': ORIENTE E OCCIDENTE A CONFRONTO
Da quasi un secolo la cultura occidentale è chiamata "cultura della colpa”, mentre quella orientale, "cultura della vergogna”. Come mai? Dipende dal modo di concepire il proprio sé.
Quando si percepisce se stessi come il prodotto di una serie di qualità e difetti individuali (come succede in Occidente) si tende anche a pensare che i propri comportamenti siano il risultato di quelle caratteristiche, cioè si pensa di avere la completa padronanza delle proprie azioni e dei propri pensieri.
In questo tipo di sé prevale la colpa perché è una emozione legata alla responsabilità individuale.
Quando invece ci si sente parte di una comunità, come accade in Oriente o in Africa, il proprio sé non è separato dal gruppo (in Giappone, quando ci si presenta a qualcun altro in un contesto di lavoro normalmente si dice prima il nome della azienda a cui si appartiene e solo dopo il proprio).
In questo tipo di società si ha la sensazione di essere costantemente osservati dagli altri e prevale il timore di perdere la faccia, quindi la vergogna.