Quello che non si vede non esiste: così sessant’anni di assoluto silenzio hanno circondato di leggenda l’Area 51, quella porzione del deserto del Nevada alla quale è rigorosamente proibito avvicinarsi.
Adesso però la censura sulla misteriosa installazione è caduta.
Nel 2013 il National Security Archive dell’Università di Washington ha pubblicato sul suo sito un documento della Cia dove, per la prima volta, l’agenzia di spionaggio nomina esplicitamente la base segreta.
“Custodita” da sensibilissime telecamere e sensori capaci persino di distinguere l’odore di un uomo da quello degli animali del deserto, è diventata famosa nel mondo perché, secondo gli ufologi, custodirebbe i corpi di alcuni alieni con i resti dei loro dischi volanti.
Una diceria, sostengono in molti, abilmente alimentata dalla stessa Cia come copertura per gli avanzati prototipi di velivoli fatti volare in gran segreto nei cieli del Nevada dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
La Cia ha ammesso da qualche anno l’esistenza dell’Area 51. Le foto satellitari ce la fanno vedere dall’alto. Ma resta il mistero di quello che succede nei sotterranei della base segreta.
1. La “madre” di tutti i misteri
Come ricostruito dalla giornalista americana Annie Jacobsen nel suo libro Area 51, la base aprì i battenti nel 1955, dopo che due funzionari della Cia, Richard Bissell e Herbert Miller, avevano individuato quella zona pianeggiante presso il Groom Lake, il letto di un antico lago salato, proprio per farne un’installazione destinata a fabbricare il primo aereo spia della storia, l’U-2.
La scelta era stata fatta a ragion veduta. L’Area 51, infatti, esisteva già da quattro anni.
A utilizzare per prima quel lembo di deserto, genericamente definito come Nuclear test site, era stata l’Atomic energy commission, l’agenzia governativa per il controllo e lo sviluppo dell’energia atomica.
Qui dunque esistevano già non solo le attrezzature di base ma anche le più eccezionali misure di segretezza dettate dalla crescente conflittualità con l’Unione Sovietica, sfociata nella
paranoia della Guerra fredda.
Già a partire dal 1951, l’Atomic energy commission si era servita del proprio sistema di secretazione per condurre una lunga serie di esperimenti nucleari senza supervisione esterna né controlli etici.
Secondo la Jacobsen, l’origine di queste operazioni segrete va fatta risalire alla costruzione della prima bomba atomica, il cosiddetto “progetto Manhattan” che aveva preso l’avvio nel 1942 a Los Alamos, una cittadina del New Mexico.
Furono gli uomini che lo guidavano a “scrivere” le regole delle operazioni coperte da segreto. Fabbricare la bomba è stato il progetto di ingegneria più costoso della storia americana: tradotto in cifre attuali si aggirerebbe sui 28 miliardi di dollari.
Anche il livello di segretezza mantenuto durante la costruzione dell’ordigno ha dell’incredibile, tanto che il 6 agosto 1945, quando fu sganciata l’atomica su Hiroshima, i primi a essere sorpresi furono i membri del Congresso americano: nessuno di loro aveva la minima idea di quanto si stava preparando.
Nemmeno il vicepresidente Harry Truman, che pure era a capo della commissione del Senato con funzioni di controllo del programma di difesa nazionale, ne era stato messo al corrente. Venne a sapere della bomba, e ne decise l’utilizzo, solo quando fu eletto presidente.
Il segreto era stato custodito in modo davvero eccezionale, tenuto conto che il progetto Manhattan coinvolgeva almeno 2.000 persone e aveva 80 uffici e decine di impianti di produzione sparsi per tutto il Paese, tra cui un’installazione di 24mila ettari di superficie nel Tennessee che consumava più energia elettrica dell’intera New York.
Nella foto sotto, una casa prima e dopo l’onda d’urto. Un edificio costruito nel Nevada test site, confinante con l’Area 51, per valutare gli effetti di una bomba nel caso di un attacco nucleare mostra i danni prodotti da un’esplosione: mentre i muri hanno resistito all’impatto, gli infissi sono stati polverizzati.
2. Gli eredi della bomba
L’Atomic energy commission fu istituita dal governo americano alla fine della guerra, quando il Congresso, che per tanti anni era stato tenuto all’oscuro delle ricerche sulla bomba atomica, fu finalmente libero di decidere chi ne avrebbe controllato il terribile potere distruttivo.
Con l’approvazione della legge sull’energia atomica del 1946 emerse anche un nuovo sistema di copertura.
La classificazione di tutte le informazioni relative alle armi nucleari avveniva secondo un sistema completamente separato da quello presidenziale.
Il concetto di born classified, cioè “nato segreto”, nacque proprio in quell’anno e consentì alla neonata agenzia di condurre le sue nuove ricerche senza che fosse strettamente necessario informare il presidente.
Come diretta discendente del progetto Manhattan, tra il 1951 e il 1962 l’Atomic energy commission fece esplodere nel Nevada test site almeno 100 ordigni nucleari in superficie e altri 900 in cavità sotterranee e pozzi profondi.
Secondo un’inchiesta condotta dal giornalista americano Keith Schneider, in quegli anni migliaia di civili furono inconsapevoli vittime di invisibili piogge contaminanti e molti soldati furono esposti alle radiazioni subito dopo i test.
Uno studio dei Centers for disease control stima che quasi l’intera popolazione del Paese all’epoca sia stata esposta in qualche misura, direttamente o attraverso la catena alimentare, alle radiazioni prodotte dagli esperimenti e che a queste possano essere fatti risalire attorno ai 22mila tumori e 11mila decessi.
A quanto pare, l’Atomic energy commission non era ancora pienamente consapevole dei rischi della pioggia radioattiva o forse li ignorò deliberatamente. In realtà, qualche tentativo di
analizzare gli effetti di un’esplosione atomica venne fatto, ma ne furono sottovalutate le conseguenze a lungo termine.
Nella foto sotto, la mappa ricostruisce i principali insediamenti federali del Nevada meridionale. L’Area 51 confina con il sito dei test nucleari (Nevada test site) e con la Nellis Air Force Range dell’Aviazione militare.
3. L’Operazione Teiera
È stato chiamato così il test più impressionante del Nevada test site, ricostruito con molta ironia nel film Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo.
Condotto nel 1955, aveva lo scopo di verificare gli effetti di una bomba atomica su vari obiettivi civili: veicoli, capannoni, tralicci per l’elettricità, ed edifici costruiti secondo gli standard americani.
Fuori e dentro le case, perfettamente ammobiliate e dotate di scorte alimentari di vario genere, erano stati sistemati dei manichini abbigliati di tutto punto.
Quei simulacri di uomini, donne e bambini, fatti arrivare direttamente dai grandi magazzini di New York, apparivano disposti in diverse pose come vere persone: pronti a cenare intorno al tavolo di cucina o seduti in soggiorno a leggere o guardare la tv.
Tutto intorno al cosiddetto “villaggio della sopravvivenza” erano state piazzate telecamere ad alta velocità per “catturare” gli effetti delle radiazioni e dell’onda d’urto generata dalla detonazione.
All’ora X, una bomba della potenza di 45 megatoni, pari a 45mila tonnellate di tritolo, il doppio di quella sganciata su Hiroshima, rovesciò sulle strutture una spaventosa onda d’urto.
Mentre tutto ciò che si trovava nel raggio di 1 km dall’esplosione fu completamente distrutto, i manichini nelle case più lontane rimasero illesi. Segno che i muri erano riusciti a proteggerli.
L’esperimento doveva anche rispondere alla domanda: “Di cosa si nutriranno i sopravvissuti a una catastrofe nucleare?”. Cibi e bevande furono messi in bottiglie e lattine d’acciaio, le più vicine a 400 metri dall’esplosione, le più lontane a 3.200 metri.
Dalle analisi risultò che le prime, nonostante presentassero un certo grado di radioattività, erano “buone in caso di emergenza”: l’aspetto non era molto diverso dal normale sebbene il sapore fosse un po’ diverso dal solito.
Per quelle più lontane dal punto dell’esplosione il cambiamento non fu considerato significativo. La conclusione fu che anche dopo un attacco nucleare la vita poteva continuare.
Oggi le foto satellitari dell’Area 51 mostrano quella che apparentemente sembra essere una normale base militare, mentre nell’adiacente sito dei test nucleari il terreno appare costellato dai crateri creati dalle bombe.
Purtroppo quelle immagini non mostrano cosa si nasconda nel sottosuolo. Secondo alcune testimonianze anonime ciò che vediamo in superficie non è che la punta di un iceberg.
Si parla di 90 piani sotto terra, dove il livello di segretezza aumenta in modo proporzionale alla profondità. O, ancora, di decine di gallerie che si estendono per chilometri scavate, secondo l’ufologo Michael Schratt, da una “talpa” alimentata da un motore nucleare capace di avanzare di quasi 5 km al giorno.
Quei tunnel porterebbero, mediante un treno sotterraneo, ai bunker e ad altre installazioni militari allestiti per accogliere le massime autorità del governo in caso di guerra nucleare. Verità o fantasie, il mistero continua.
Nella foto sotto, deserto gruviera. Centinaia di crateri aperti dalle esplosioni nucleari di superficie costellano la porzione di deserto del Nevada test site.
4. Gli “alieni” ideati da Stalin
- Secondo Edward Lovick, ingegnere addetto ai radar nell’Area 51 ora in pensione, negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale i sovietici avrebbero catturato un cacciabombardiere nazista con una sola ala capace di raggiungere i 1.000 km orari.
Stalin avrebbe allora avuto l’idea di farne costruire alcuni esemplari per usarli in una specie di “guerra psicologica”.
Lo scopo era di confondere le difese aeree americane, per approfittarne nel caso in cui fosse scoppiato un conflitto tra le due superpotenze.
- Qualcosa andò storto e nel 1947 l’aereo in volo sugli Usa si schiantò presso Roswell. Secondo Lovick, l’apparecchio doveva essere telecomandato, perché a bordo c’erano sì delle persone, ma incapaci di pilotarlo: si trattava di ragazzini alti meno di un metro e mezzo, che erano stati ulteriormente truccati e probabilmente sottoposti a esperimenti medico-chirurgici.
Avevano la testa sproporzionatamente grande, membra deformi e gracili, occhi enormi. Due di loro sarebbero stati ancora vivi, ma in uno stato comatoso e sarebbero morti poco dopo.
- A quanto pare, la messinscena era così realistica che gli americani in un primo tempo credettero davvero di trovarsi di fronte a degli alieni. Quando si resero conto dello stato delle cose, cercarono di approfittarne: conservarono il segreto e provarono a loro volta a realizzare, nell’Area 51, dei falsi Ufo e dei falsi extraterrestri.
- Curiosità: Perché l’hanno chiamata Area 51?
Esistono varie teorie sul motivo per cui l’Area 51 è conosciuta con questo nome. La ragione più probabile è che si trova ai confini del Nevada test site. L’area in cui erano condotti i test nucleari è suddivisa in una serie di griglie numerate da 1 a 30.
L’Area 51, che non fa parte di tali griglie, confina con l’Area 15 e deve forse il nome all’inversione delle due cifre: una sigla anonima che non avrebbe dovuto attirare l’attenzione.
Questa super segreta installazione non si è però sempre chiamata così. Kelly Johnson, l’ingegnere americano che era stato incaricato dalla Cia di crearla, l’aveva soprannominata Paradise ranch per invogliare il personale e le loro famiglie a trasferirsi nell’inospitale deserto del Nevada.
Nella foto sotto, un alieno. Al museo di Roswell è stato ricostruito il corpo di uno degli occupanti del disco volante precipitato presso la cittadina.
5. La nube uccise l’attore John Wayne?
- La causa della morte di uno degli attori più amati di Hollywood è un argomento che le forze armate americane hanno sempre cercato di non affrontare.
Ma l’indiziato numero uno è la pioggia radioattiva proveniente dal Nevada test site dell’Area 51.
È il 1954 quando John Wayne e la troupe del film Il conquistatore, ricostruzione della vita di Gengis Khan, si installano per tre mesi nella cittadina di St George, nello Utah.
Tutte le scene sono girate nel deserto vicino, 200 km sottovento al Nevada test site dove due anni prima era stata fatta esplodere “Dirty Harry”, un’atomica che aveva prodotto una immensa nube di pioggia radioattiva dispersa dal vento per un raggio di 300 km.
- Per rendere più realistiche le scene, enormi ventilatori alzano per settimane grandi quantità di sabbia del deserto che di notte brilla nel buio con strani riflessi rossicci.
Nel cast, oltre a John Wayne, ci sono Susan Hayward, Agnes Moorehead e Pedro Armendáriz. Il regista è Dick Powell. Nessuno di loro avrà scampo, ucciso da varie forme di cancro.
Appena pochi mesi dopo l’uscita del film il compositore della colonna sonora, Victor Young, muore a 56 anni per una emorragia causata da un tumore cerebrale.
Nel 1963 scompaiono il regista Dick Powell, ucciso da un linfoma, e Pedro Armendáriz, che a soli 51 anni si uccide con un colpo di pistola dopo aver scoperto di avere un cancro al rene in fase terminale.
Nel 1974 muore Agnes Moorehead per un tumore al polmone, seguita l’anno successivo da Susan Hayward, colpita da un tumore cerebrale. Wayne resiste fino al 1979, quando deve arrendersi a un cancro che ha invaso polmoni, gola e stomaco.
Delle 220 persone del cast, 91 sono state colpite da tumori, metà delle quali è morta entro il 1980. Entro la stessa data, uno ogni due abitanti di St. George, aveva contratto un cancro, in qualsiasi delle sue forme.
Curiosità: in Nevada negli anni fra il 1950 e il 1962 le esplosioni nucleari erano considerate un’attrazione turistica e attiravano folle di curiosi a osservarle dalle terrazze degli alberghi di Las Vegas, distante 100 km dal Nuclear test site.
Non essendo noti e temuti i pericoli relativi alla ricaduta delle sostanze radioattive prodotte dalle detonazioni, il fungo atomico divenne l’icona di Las Vegas finendo su cartoline e manifesti.
Nella foto sotto, in prima fila per la bomba. Le più alte autorità militari assistono l’8 maggio 1953 all’esplosione dell’atomica “Encore” nel Nevada test site confinante con l’Area 51. Sul posto erano presenti anche 3.500 soldati destinati a sperimentarne gli effetti sul loro equipaggiamento.