La vita su Venere, il pianeta gemello della Terra

Venere era la dea romana dell’amore e della bellezza. Quindi gli antichi battezzarono in suo onore il pianeta che più splendeva nel cielo.

Non sapevano che invece si trattava di un ambiente infernale, con una temperatura in superficie di 460 °C e una pressione che sulla Terra troviamo solo a 900 metri di profondità negli oceani. Ma non è sempre stato così.

Nel lontano passato, questo pianeta aveva fiumi, laghi, mari e un clima che rimase stabile per miliardi di anni. Circa 700 milioni di anni fa, però, le cose sono cambiate, e Venere si è trasformato nel pianeta rovente dei nostri giorni.

Questo quadro, insieme ad alcune recenti scoperte, come la possibile presenza di una sostanza (la fosfina) che poteva indicare l’esistenza di vita microbica nell’alta atmosfera, e la probabile attività vulcanica tuttora in atto, hanno riacceso l’interesse per Venere.

Saranno quindi ben tre le sonde che nei prossimi anni faranno rotta verso il pianeta infernale: DaVinci+ e Veritas della Nasa, che saranno lanciate tra il 2028 e il 2030, e l’europea EnVision, che sarà inviata verso Venere agli inizi del prossimo decennio.

1. L’ECCESSO DI DEUTERIO

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La consapevolezza che miliardi di anni fa Venere avesse grandi oceani d’acqua è nata da una nuova analisi di dati del passato: le osservazioni effettuate dalle sonde Pioneer Venus della Nasa che studiarono Venere alla fine degli anni Settanta.

La missione si componeva di due navicelle: la prima, Pioneer Venus Orbiter, rimase attorno al pianeta inviando dati dal 1978 al 1992. La seconda, Pioneer Venus Multiprobe, portava a bordo quattro sonde più piccole, che sganciò nell’atmosfera venusiana.

Uno dei risultati più insoliti raccolti fu che su Venere il rapporto tra deuterio e idrogeno normale era 100 volte più grande rispetto a quello sulla Terra.

Un’anomalia chimica inaspettata, poiché i due pianeti nacquero tra loro vicini nel Sistema solare, ed è ragionevole presumere che ai tempi della loro formazione tale rapporto dovesse essere simile.

L’informazione che si ricava da questa analisi è quindi che su Venere, in un lontano passato, ci fosse una grande quantità di idrogeno normale, e questo non poteva che essere intrappolato, inizialmente, nelle molecole d’acqua. Poi, però, per qualche ragione è sfuggito nello spazio esterno.

Molti elementi chimici hanno degli isotopi, cioè nuclei con lo stesso numero di protoni ma un numero diverso di neutroni. L’isotopo più comune dell’idrogeno ha il nucleo composto da un solo protone. Il deuterio, invece, è idrogeno nel cui nucleo oltre al protone c’è anche un neutrone.

In natura esiste un nucleo di deuterio ogni 10.000 atomi di idrogeno. Poiché in una molecola d’acqua (H2O) vi sono due atomi di idrogeno, in una molecola ogni 5.000 dovrebbe comparire un atomo di deuterio.

Tutta l’acqua della Terra, dalle sorgenti montane agli oceani, ha lo stesso rapporto tra deuterio e idrogeno; anche su Venere il rapporto è costante, ma molto più elevato di quello terrestre.

Qua sotto, una veduta artistica della superficie di Venere, con nubi di acido solforico che oscurano il Sole. Al suolo vi sono circa 460 °C.

2. L’EFFETTO DEL VENTO SOLARE

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Secondo le ipotesi nate negli ultimi anni, è possibile che sia stato il vento solare a strappare grandi quantità di idrogeno normale, che è più leggero del deuterio, quando raggiungeva l’alta atmosfera.

Ma che cosa ci faceva tanto idrogeno nell’alta atmosfera se era legato all’ossigeno nelle molecole dell’acqua?

Gli scienziati ritengono che Venere non abbia mai avuto uno strato di ozono (che ha una molecola formata da tre atomi di ossigeno), che la Terra invece ha da quando sono apparsi organismi fotosintetici che producevano ossigeno.

Senza l’ozono, i raggi ultravioletti provenienti dal Sole colpivano i mari di Venere, con un’energia tale da rompere le molecole d’acqua nei loro costituenti: gli atomi di idrogeno leggero salivano fino alla sommità dell’atmosfera esponendosi al vento solare, mentre il deuterio, più pesante, rimaneva nei pressi della superficie.

Con il tempo, dunque, il rapporto iniziale tra deuterio e idrogeno è aumentato fino ai livelli rilevati dalle Pioneer Venus. Sulla Terra, questo fenomeno non si è verificato perché il nostro pianeta, a differenza di Venere, già ai suoi primordi aveva un campo magnetico che deviava il vento solare, il quale non poteva strappare l’idrogeno dall’atmosfera.

Ma la discussione sui mari venusiani è ancora aperta: un recentissimo studio franco-svizzero pubblicato su Nature afferma che su Venere non ci sono mai state le condizioni perché vi fosse acqua in superficie.

I planetologi hanno realizzato un modello climatico secondo il quale le temperature venusiane non sarebbero mai state sufficientemente basse – nemmeno ai primordi del Sistema solare, quando il Sole emetteva una quantità di energia di circa il 30% inferiore rispetto a oggi – da consentire al vapore acqueo di condensarsi in pioggia per dar vita agli oceani. Insomma, ci sarebbe stata acqua sotto forma di vapore ma non allo stato liquido.

3. QUELLA TEMPERATURA INFERNALE

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Se in origine, come detto, Terra e Venere dovevano essere piuttosto simili, la loro evoluzione ha portato però a differenze sostanziali.

Oltre alla scomparsa dei mari, Venere è caratterizzato da una temperatura superficiale altissima, neanche paragonabile a quella terrestre, prodotta per effetto serra dalla sua densissima atmosfera di anidride carbonica.

Come si è arrivati a questa situazione? L’ipotesi più condivisa ci porta, ancora una volta, indietro nel tempo, a circa 4,3 miliardi di anni fa, poco dopo la nascita del pianeta.

Come per la Terra anche su Venere dovevano esserci oceani, nella cui acqua era disciolta anidride carbonica (CO2) che proveniva dalle eruzioni vulcaniche. Una parte di questa anidride carbonica si depositava sul fondo degli oceani attraverso vari processi chimico-fisici, dando vita a rocce carbonatiche.

Allo stesso tempo, però, il calore che vi era all’interno del pianeta guidava una possibile tettonica a zolle simile a quella terrestre, e gli scontri tra le placche portavano verso l’interno anche una parte delle rocce ricche di carbonio.

I vulcani che si formavano da quegli scontri, però, lo “riciclavano”, ributtandolo nell’atmosfera. Ma Venere è leggermente più piccolo della Terra, e il suo interno si è raffreddato prima di quello del nostro pianeta (che è ancora molto caldo); così circa 700-1.000 milioni di anni fa non vi fu più abbastanza energia per alimentare la tettonica.

A quel punto l’anidride carbonica – che prima, almeno in parte, finiva all’interno del pianeta durante gli scontri tra le placche – rimase nel mare e per le elevate temperature (Venere era più vicino al Sole di quanto fosse la Terra) iniziò a evaporare.

A quel punto il gioco era fatto: l’aumento di CO2 innescò un intenso effetto serra, i mari si riscaldarono, anidride carbonica e vapore acqueo (anch’esso un gas serra) nell’atmosfera aumentarono, i mari alla fine evaporarono e si arrivò alla esasperata situazione attuale.

Qua sotto, diversi scienziati ritengono che in un lontano passato Venere si presentasse così, con grandi oceani di acqua liquida (quasi Terra).

4. VITA SU VENERE? FOSFINA E VULCANI

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Questo processo richiese tempi lunghissimi, durante i quali non è da escludere che possa essersi formata qualche semplice forma di vita.

La quale, quando la superficie è diventata invivibile, potrebbe aver cercato scampo negli strati alti dell’atmosfera, più freschi.

Una ipotesi che sembrava confermata dall’annuncio giunto nel settembre 2020 riguardo alla scoperta nell’alta atmosfera del pianeta di un’elevata quantità di fosfina, una molecola composta da fosforo e idrogeno (PH3).

Era stata rilevata da Jane Greaves della Cardiff University (Uk), che aveva studiato l’atmosfera di Venere con il James Clerk Maxwell Telescope alle Hawaii e con i radiotelescopi di Alma, in Cile.

La fosfina è un gas dal vago odore di aglio, fortemente tossico (lo si usa a volte come antiparassitario) e tendenzialmente esplosivo. Ma è molto interessante dal punto di vista biologico, perché sulla Terra la pochissima fosfina presente nell’aria è prodotta da batteri che vivono in zone povere di ossigeno, come le paludi.

In realtà, la fosfina venusiana poteva essere prodotta anche da fonti non biologiche, come scariche elettriche da fulmini, emissioni vulcaniche, decomposizione di fosfati e fosfiti o, addirittura, portata da meteoriti.

Ma i calcoli indicavano che tali fenomeni non erano in grado di produrne la quantità trovata. In altre parole, per qualche tempo si fece strada l’idea che anche su Venere la fosfina fosse di origine batterica.

La speranza di aver trovato la vita al di fuori della Terra (anche se solo a livello di batteri) fu accantonata dopo alcuni mesi, quando una revisione dei dati da parte di Victoria Meadows, un’astrobiologa dell’Università di Washington a Seattle, e da Ignas Snellen, dell’Università di Leida (Paesi Bassi), portò alla conclusione che su Venere la fosfina non c’era: ciò che aveva osservato Greaves era anidride solforosa, che avrebbe tratto in inganno la ricercatrice.

Nel duello a distanza si inserì an- che una ricerca secondo la quale, se la fosfina c’è realmente, potrebbe essere l’indizio di un’attività vulcanica esplosiva e non di attività microbica.

«Ci sono molti indizi, come scariche elettriche in atmosfera e la presenza di gas vulcanici, che fanno pensare che su Venere sia presente un vulcanismo esplosivo ancora attivo ai nostri giorni», ha spiegato Jonathan Lunine, a capo del dipartimento di astronomia della Cornell University.

In un lavoro pubblicato su Proceedings of the National Academy of Science, Lunine sostiene che Venere è soggetto a episodi di vulcanismo attivo originato da magmi che salgono dal mantello profondo.

I vulcani emetterebbero fosfuri (composti del fosforo), che reagendo con l’acido solforico presente nell’atmosfera formerebbero fosfina. «La fosfina non ci sta parlando della biologia di Venere, ci parla invece della geologia del pianeta».

Rimane il fatto, come sottolinea Janusz Petkowski del Mit, membro del gruppo che ha scoperto la fosfina, che le emissioni vulcaniche non produrrebbero abbastanza solfuri da giustificare tutta la fosfina trovata.





5. LE MISSIONI DEI PROSSIMI ANNI

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Come si capisce, Venere ha ancora molto da svelare. E alcune risposte arriveranno forse dopo che le tre sonde della Nasa e dell’Esa raggiungeranno Venere.

DaVinci+ porterà strumenti per studiare l’atmosfera del pianeta e capire come si è formata, e per stabilire se su Venere vi siano stati davvero degli oceani.

Una parte della sonda si tufferà nell’atmosfera, per capire come sia arrivata ad avere una quantità di gas serra così elevata.

La sonda otterrà anche immagini ad alta risoluzione di aree molto particolari, chiamate “tessere”, che possono essere paragonate ai continenti sulla Terra, per capire se il pianeta ebbe o meno un’attività tettonica.

Veritas, invece, mapperà la superficie di Venere per ricostruirne la storia geologica. Avrà a bordo un radar che permetterà di modellare la superficie in 3D e verificare se esiste ancora vulcanismo attivo.

Anche la sonda EnVision realizzerà mappe radar ad alta risoluzione e misure nell’atmosfera, per comprendere le relazioni tra attività geologica ed evoluzione dell’atmosfera stessa.

Qua sotto, la missione DaVinci+ prevede un lander che scenderà sulla superficie. Il record di “resistenza” su Venere è di 127 minuti, della sonda sovietica Venera 13. Risale al 1982.

Il contributo italiano a Envision. Quando intorno al 2031 la missione dell’Agenzia Spaziale Europea EnVision partirà verso Venere, porterà a bordo anche un importante strumento voluto dall’Agenzia Spaziale Italiana, il Subsurface Radar Sounder (Srs).

Si tratta di un radar che invia onde radio a bassa frequenza in grado di viaggiare nel sottosuolo, che vengono riflesse con intensità differenti quando incontrano strati diversi. L’Srs avrà il compito di realizzare una specie di “ecografia” di Venere fino alla profondità di alcune centinaia di metri.

Si spera di mettere in luce crateri sepolti, tubi di lava (caverne lasciate libere dalla lava che scorreva in profondità una volta esaurita l’eruzione), e altre caratteristiche geologiche che al momento potrebbero sfuggire.

Uno strumento importante perché aiuterà a comprendere come si è evoluta la geologia del pianeta, che sicuramente ha contribuito a trasformarlo nel luogo infernale dei nostri giorni.

Qua sotto, la sonda americana Veritas studierà la superficie di Venere grazie al suo radar e potrà farne un modello tridimensionale con una risoluzione di qualche decina di metri.








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