Rozza e brutale. Così è sempre descritta Sparta, la rivale di Atene. Ma era più democratica e civile di quanto si creda!
Persino per i visitatori giunti da Roma, gente abituata agli spettacoli truculenti del Colosseo, quella era un’attrazione speciale.
Il pubblico era così numeroso che, intorno all’anno 200 della nostra era, fu autorizzata la costruzione di un apposito anfiteatro, affinché gli spettatori potessero seguire ogni dettaglio del rito: un adolescente nudo che tentava di prendere del formaggio lasciato sopra l’altare della dea Artemide, mentre uno dei sacerdoti lo frustava a sangue.
Il giovane che conquistava più formaggio veniva acclamato campione (sempre che fosse sopravvissuto alla cerimonia) e gli stranieri lasciavano l’anfiteatro soddisfatti: avevano assistito a un autentico rito della leggendaria città-Stato di Sparta, dal 146 a. C. uno dei tanti domini del l’Impero romano.
Nella mitologia greca, l’arrivo dei Dori nel Peloponneso intorno al XIII-XII secolo a. C. è chiamato “il ritorno dei figli di Eracle”.
Per la leggenda, infatti, gli Spartani non erano altro che i discendenti di questo eroe (il latino Ercole), banditi dal Peloponneso e tornati, armi e bagagli, a reclamare la loro eredità.
Solo fantasie? Forse non del tutto.
1. Miti da sfatare
Intanto, è vero che i Laconidi (cioè gli abitanti della Laconia, la regione storica intorno a Sparta) erano discendenti dei Dori.
Ed è vero che i Dori erano una popolazione etnicamente omogenea.
Lo dimostra la loro lingua, un dialetto greco chiamato dorico, le cui tracce portano a nord fino alle valli del Danubio e della Macedonia.
Giunti nel Peloponneso, però, i futuri Spartani lo trovarono già occupato. L’invasione - la storia della riconquista è solo “propaganda” - travolse una civiltà millenaria.
Sparta sorse infatti sulle rovine dell’antica Lacedemone, la capitale micenea della Laconia, sulla quale avevano regnato i sovrani che ispirarono a Omero, nell’Iliade, i personaggi di Menelao e della bella Elena. E gli iloti non erano altro che i Messeni, i Micenei che abitavano la regione confinante della Messenia.
Per molti, oggi, quest’immagine di violenza riassume alla perfezione il significato di Sparta nella Storia. A scuola non si studia forse che, tra le città greche di 2.500 anni fa, Atene era la culla della democrazia, della filosofia e dell’arte, mentre gli Spartani vivevano sotto un regime militarizzato e totalitario?
Se fosse stato davvero così, passare da superpotenza greca a parco tematico sadomaso sarebbe stato per Sparta un destino più che meritato. Ma questa visione è solo un luogo comune, proprio come l’idea di un’Atene perfetta.
Per quanto possa sembrare strano. Sparta fu la principale garante della libertà greca e tra le prime città a darsi una forma di governo in cui ogni cittadino era uguale di fronte alla legge.
Mito e archeologia concordano su un punto: Sparta fu figlia del primo grande disastro della storia greca. Fino al 1200 a. C. circa il Peloponneso (la regione all ’estremo sud della Grecia) era spezzettato in tanti piccoli regni.
I loro abitanti appartenevano alla civiltà micenea, parlavano una forma arcaica di greco e prosperavano commerciando ceramica, metalli preziosi e avorio con l’Egitto, la Palestina e l’attuale Turchia.
Un’ondata di invasioni, però, pose fine all’idillio. Gran parte dei palazzi del Peloponneso fu bruciata e l’orologio della Storia sembrò fermarsi. Fu allora che giunsero i Dori, i futuri Spartani.
Alcuni dei nuovi arrivati occuparono la Laconia, la fertile valle del fiume Eurota, e fondarono 4 villaggi. Un secolo dopo, i 4 villaggi si erano uniti: era nata Sparta. Nel corso dell’VIII secolo a. C.tutta la Laconia cadde nelle sue mani.
Chi si opponeva finiva a ingrossare le file degli schiavi, gli iloti; coloro che riconoscevano la sovranità di Sparta mantenevano invece una certa autonomia e si guadagnavano lo status di perieci (“quelli che abitano intorno”).
Sotto, una straordinaria ricostruzione computerizzata della grande acropoli spartana!
2. Democratici
Tante conquiste portarono ricchezza.
Ben lontani dall’essere i rozzi guerrieri dipinti dalla propaganda ateniese, gli Spartani dell’alta società conducevano una vita di lussi, allietata da poeti e musicisti rinomati in tutta la Grecia.
Ma dove c’è un'élite aristocratica ci sono anche poveri e sfruttati, e quindi ribellioni.
Secondo la tradizione, la soluzione alle tensioni sociali fu escogitata dal saggio Licurgo, zio e tutore di uno dei due re della città (i diarchi, discendenti delle due principali dinastie cittadine, che insieme governavano e comandavano l’esercito).
Questo riformista ante litteram stabilì che tutti gli uomini liberi di Sparta eleggessero i 28 membri della gerousìa, il consiglio degli anziani incaricato di fare le leggi.
Ai re sarebbero rimasti alcuni privilegi (per esempio quello di tenersi la pelle e le parti migliori di tutti gli animali sacrificati agli dèi) mentre il vero potere sarebbe passato nelle mani del damos (il “popolo” nel dialetto dei Dori).
Riuniti in assemblea, gli uomini di Sparta approvavano o respingevano le proposte della gerousìa con un metodo che ricorda certi nostri talk-show: vinceva chi gridava più forte.
Licurgo garantì a ogni spartano un lotto di terra sufficiente a sostenere la propria famiglia, e in seguito 5 magistrati (gli èfori), eletti annualmente da tutti gli Spartani, costituirono una sorta di “esecutivo” che governava la città.
Erano novità rivoluzionarie. Il Medio Oriente, a quel tempo, era dominato da monarchi assoluti considerati semidei. E Atene, futuro simbolo della democrazia, era ancora nelle mani di un piccolo gruppo di famiglie nobili, come le altre città greche.
Fu Sparta a concepire per prima l’idea che tutti i cittadini liberi avessero il diritto di eleggere i propri rappresentanti e di essere eletti, e che nessuno, nemmeno il re in persona, fosse al di sopra della legge: i sovrani che sbagliavano venivano arrestati o esiliati. Iloti e perieci, certo, non avevano diritti politici.
Ma lo stesso accadeva in tutte le altre città della Grecia. Qua sotto, Licurgo di Sparta (M. J. Blondel, 1828).
3. Arruolati
A Sparta nacque anche l’idea di un “esercito di popolo”.
Fin verso il VII secolo a. C., in Grecia, solo i nobili e la guardia personale dei re scendevano in battaglia.
I combattimenti non erano molto più che razzie per rubare il bestiame o le donne dei villaggi vicini.
Ma ben presto popolazione e ricchezza crebbero, e i ladri di bestiame si trasformarono in veri eserciti. Ci fu una rivoluzione nella tecnica bellica. I guerrieri, che prima si lanciavano in furiosi corpo a corpo, adesso avanzavano compatti, protetti dalle armature di bronzo e dagli scudi.
Per rendere efficace questo schieramento di battaglia servivano però grandi masse. Sparta, che aveva ben chiara l’importanza dell’esercito, mobilitò tutti i suoi cittadini, “motivati” dalla difesa dei diritti e delle terre acquisite.
L’addestramento cominciava da bambini e si chiamava semplicemente agoghè: “educazione”. «L’unica descrizione di agoghè giunta fino a noi è dell’ateniese Senofonte» spiega lo storico Paul Cartledge dell’Università di Cambridge (Inghilterra).
«Purtroppo, però, egli scrisse intorno all’anno 400 a. C., molto tempo dopo l’apogeo di Sparta». Secondo Senofonte, le selezioni iniziavano alla nascita: i neonati venivano lavati con il vino e portati agli anziani del proprio clan per l’ispezione.
Venivano poi esposti sul monte Taigeto al freddo e al pericolo dei lupi, come facevano molti altri Greci a quel tempo. I piccoli spartani sopravvissuti rimanevano fino a 6 anni con la madre.
A quell’età lasciavano la famiglia per essere allevati in piccoli gruppi da un supervisore (il “mandriano”)dormendo in grandi baracche, imparando a cantare, a ballare (la danza simulava le movenze del combattimento), a leggere e a scrivere.
E a parlare il meno possibile, cioè a essere, come si dice ancora oggi, laconici (dal nome della Laconia). “Sarebbe più facile udire la voce delle statue di pietra che quella di quei ragazzi” scrisse Senofonte.
Con l’adolescenza, i giovani venivano rapati a zero e obbligati a usare soltanto un mantello leggero e a camminare scalzi tutto il tempo. Tenuti a stecchetto, potevano integrare la loro dieta rubando il cibo (ciò stimolava l’astuzia) ma se venivano “pizzicati” erano duramente puniti (non erano stati abbastanza furbi).
A queste punizioni risalirebbero i rituali “ alla spartana” che piacevano tanto ai turisti della Roma imperiale.
4. Vanitosi
Dopo questo trattamento, a 19 anni, ogni cittadino diventava un vero soldato e si lasciava crescere i capelli.
Tutt’altro che “spartani”, gli adulti abbellivano con fiori le loro lunghe chiome.
Intorno ai trent’anni conquistavano finalmente il diritto di voto e quello di passare la notte con le mogli (più emancipate di quelle di Atene) ma avrebbero continuato a mangiare ogni giorno con i 15 compagni della propria unità di combattimento.
Il rancio tipo? Zuppa nera di orzo integrale, carne e sangue di porco. Gli antichi amavano dire che i soldati spartani non si arrendevano e non si ritiravano mai.
È un altro mito da sfatare: quando il re ordinava di abbassare le armi, tutti obbedivano senza vergogna. Abbandonare i compagni, questo sì, era intollerabile: uno scudo in meno nello schieramento poteva significare la morte di tutti.
E anche se non c’era gloria più grande di cadere in prima linea, gli Spartani agivano come kamikaze solo se non avevano scelta. Lo storico greco Tucidide narra che a uno di loro, catturato dai nemici, fu chiesto se i commilitoni morti fossero stati più coraggiosi di lui.
“Le frecce sarebbero molto intelligenti se riuscissero a distinguere ì codardi dai coraggiosi” rispose il guerriero. «Questo episodio, riportato anche nel film 300, mostra lo spirito disincantato con il quale gli Spartani affrontavano la guerra» dice Cartledge.
Nonostante l’esercito spartano fosse più forte che mai, intorno al VI secolo a. C. l’espansione della città subì uno stop. «Sparta temeva che le città del Peloponneso appoggiassero le rivolte degli schiavi e cercò una forma di convivenza pacifica con i vicini» spiega Robin Osbome, dell’Università di Cambridge.
Gli Spartani furono ancora una volta innovativi. Invece di cercare di sottomettere i vicini, strinsero con loro un’alleanza che avrebbe finito per inglobare tutto il Peloponneso.
Anche se era Sparta a dettare l’agenda della politica estera, le altre città-Stato partecipavano alle decisioni. Una (relativa) democrazia che si rivelò provvidenziale per tutti gli ellenici.
5. Diplomatici e liberatori
Intorno al 490 a. C., infatti, dopo aver conquistato le città greche dell’Asia, l’Impero persiano stava puntando al cuore della Grecia.
Nelle prime battaglie i Persiani furono respinti. Ma l’imperatore Serse mise insieme l’esercito più grande che il mondo avesse mai visto (forse 120 mila soldati) e una flotta immensa (circa 10 mila navi).
Atene e Sparta erano in cima alla lista nera del sovrano. Nella primavera del 480 a. C., di fronte alla nuova invasione persiana, poche città greche vollero saperne di allearsi per combattere.
«Di 700 città-Stato che avrebbero potuto unirsi alla resistenza, solo una trentina lo fecero» dice Paul Cartledge. Oltre la metà di queste erano “lacedemoni” cioè alleate di Sparta (la “lega del Peloponneso” ).
«Senza di loro la resistenza non ci sarebbe stata» conclude lo storico. «Il punto di forza dell’alleanza era la fanteria pesante spartana, la meglio addestrata di tutta la Grecia e, per la verità, l'unica fanteria professionale di cui i Greci disponessero» spiega Peter Green dell’Università del Texas (Usa), uno dei principali esperti delle guerre fra Greci e Persiani.
I 300 semileggendari eroi comandati da Leonida facevano parte di questa élite militare. La loro missione disperata fu, a fianco di circa 7 mila alleati greci, quella di fermare l’avanzata dell’esercito persiano presso il passo delle Termòpili.
Per tre giorni Leonida e i suoi - che furono visti pettinarsi i lunghi capelli in tutta calma quando apparirono i primi Persiani- trattennero forze immensamente superiori. Ma la retroguardia greca non era ben organizzata.
Leonida finì per essere accerchiato e lottò fino alla morte con i suoi uomini e con altri mille alleati, permettendo al resto dell'esercito greco di ritirarsi. La fortuna cambiò circa un mese dopo, quando la flotta greca distrusse le triremi persiane presso l ’isola di Salamina.
Serse decise allora di rientrare in Asia e, l'anno successivo, le sue forze terrestri furono distrutte dal nipote di Leonida a Platea. I Persiani non avrebbero più messo piede in Europa. Sotto, statua di re Leonida di Sparta.
Se furono proprio gli Spartani a guidare la resistenza delle città greche, fu anche perché i discendenti di Licurgo non potevano accettare l’idea di un governo assolutista, con un solo uomo al di sopra della legge.
E solo grazie alla fermezza di Sparta la Grecia potè raggiungere il suo splendore. Ad Atene, un anno dopo che i Persiani se ne erano andati, nacque il filosofo Socrate. E nel 438 a. C., al posto di un tempio distrutto dalle armate imperiali, sorse il Partenone.
Atene, ormai al sicuro, si trasformò in una superpotenza a democrazia limitata. Molte città chiesero a Sparta - vista ancora come paladina della libertà - di opporsi allo strapotere ateniese.
Sparta rispose vincendo, nel 404 a. C., la lunga guerra del Peloponneso. Tra continui scontri e “ribaltoni” di alleanze, però, nel 371 a. C. si arrivò alla resa dei conti di Leuttra. La sconfitta di Sparta, questa volta contro Tebe, fu completa e definitiva.
La città, del resto, aveva già il suo epitaffio, firmato Erodoto. Lo storico greco (484-425 a. C.) narra che Serse, alle Termòpili, era accompagnato da Demarato, un re di Sparta in esilio. L’imperatore persiano gli avrebbe chiesto se gli Spartani, essendo così pochi, avrebbero osato affrontarlo.
“Re” rispose Demarato “nonostante siano liberi, essi non sono del tutto liberi. Sopra di loro c’è la legge, un signore che essi temono molto più di quanto i tuoi schiavi abbiano paura di te. Loro fanno ciò che la legge gli ordina, e il suo ordine è: non fuggire davanti a nessuna moltitudine di uomini, ma rimanere al proprio posto”.