Lapsus freudiani: gli atti mancati dell’inconscio

Quante volte ci siamo ritrovati a scusarci per aver attribuito il nome sbagliato a una persona, nonostante la conoscessimo bene, o per aver pronunciato una parola che è l’esatto opposto di quella che avevamo in mente?

A chi di noi non è mai capitato di cercare disperatamente un oggetto importante non ricordando il luogo in cui lo avevamo riposto?

Si dice che “la casa nasconde ma non ruba”, ecco, questo è proprio ciò che fa il nostro inconscio.

Nasconde, ma prima o poi rivela e lo fa in mille modi diversi, con segni importanti per disagi profondi o semplici avvertimenti momentanei per segnalarci qualcosa di più piccolo.

I lapsus, fanno parte degli avvisi del nostro inconscio che affiorano all’improvviso e senza preavviso alla coscienza.

1. L’INCONSCIO MUST GO ON

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«L’uomo non è padrone in casa propria». Chi lo ha detto? E a cosa si riferiva? Questa affermazione appartiene al padre della psicoanalisi, Sigmund Freud (1856-1939).

L’uomo, cioè il nostro io conscio, non governa da solo nella sua casa, ovvero la “psiche”, poiché vi sono altri due coinquilini che giocano un ruolo importante nella sua esistenza.

Uno dei due appare ogni tanto, invitandoci a “spolverare” le mensole della nostra libreria di ricordi, emozioni e desideri, per poi scomparire nuovamente: è il coinquilino “del ripostiglio” che tira fuori all’occorrenza ciò che ci serve e che sappiamo di avere, magari nascosto lì dentro ma pur sempre a portata di mano.

Freud (foto sotto), nella sua prima topica (1900), in cui teorizza le funzioni dei sistemi della psiche, lo definisce come preconscio.

L’altro coinquilino, invece, anche se vive con noi, non lo abbiamo mai visto. Ogni tanto ci capita di avvertire cose inusuali, strani rumori dal basso e, qualche volta, ci sembra di averlo incontrato nei sogni.

È l’inquilino “della cantina”, in cui sono riposti tutti i nostri oggetti più belli, bizzarri, fantasiosi ma anche terribili, penosi e spaventanti. È un luogo in cui sosta anche il patrimonio di famiglia, la propria storia filogenetica. È il luogo in cui abita il cosiddetto inconscio.

La metafora utilizzata da Freud per descrivere conscio, inconscio e preconscio (o subconscio) è quella dell’iceberg. La punta che emerge in superficie rappresenta l’io conscio, consapevole, a contatto con il mondo esterno, che pensa, interpreta ed esamina la realtà circostante.

Ma esso è solo un 10% di tutto l’iceberg, poiché la parte restante della psiche, ovvero il 90% è nascosta sott’acqua, in cui il preconscio è a filo di superficie e l’inconscio è tutto ciò che è sommerso.

2. L’ICEBERG DELLA MENTE, IO E SUPER IO

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Poiché l’inconscio occupa la maggior parte della nostra psiche, non possiamo non occuparcene. Ma come fare?

Accedere all’inconscio non è semplice, soprattutto quando si attraversano momenti difficili, in cui sintomi, disagi e nei casi più problematici nevrosi e disfunzioni, ostacolano il nostro benessere.

Nell’inconscio inoltre si trova tutto ciò che per difesa abbiamo rimosso dalla memoria. Ogni desiderio, pulsione, fantasia, vive in esso, apparentemente sopito.

Apparentemente, perché in realtà i contenuti dell’inconscio premono con energia verso l’esterno, dominati da una forza che Freud, nella seconda topica (1920) descrive come Es, ovvero una istanza all’interno della psiche, interamente inconscia e dominata dal principio del piacere, che chiede gratificazione immediata e non conosce regole morali.

A censurare e controllare l’Es, trovando un giusto compromesso alle spinte pulsionali, ci pensa l’Io, l’istanza psichica che Freud pone principalmente nel conscio, nonostante l’Io sia generato dall’Es.

L’Io segue il principio di realtà, poiché per sopravvivere e integrarsi nel mondo esterno deve reprimere l’energia ribollente della parte pulsionale, trovando giusti compromessi per un sano equilibrio.

Ma l’Io deve tenere a bada un’altra istanza psichica che interferisce: il Super Io, caratterizzato da rigidi dettami morali ed educativi, fatti di divieti, obblighi e tendenze alla perfezione. L’Io ha dunque un bel da fare per tenere tutto il sistema sotto controllo!

Tra l’Es che direbbe sempre di sì a tutto e il Super Io che invece pronuncia il no per ogni cosa, l’Io opera continuamente scelte tra ciò che è giusto soddisfare e ciò che invece è costretto a rimuovere. Non sempre però ci riesce e non sempre è giusto farlo, e quando non ce la fa possono comparire sintomi di forti disagi.

Ma le pressioni dell’inconscio non emergono solo nelle patologie. Esse trapelano anche tra le persone “sane”.

A tutti noi, nella vita quotidiana, è capitato di barcamenarci alla meglio, nel tentativo di gestire e correggere le eruzioni improvvise dell’inconscio che, attraverso le paraprassie altlimenti dette atti mancati, ci hanno fatto fare particolari “scivoloni” o brutte figure note a tutti con il nome di lapsus.

3. ATTI MANCATI O ATTI RIUSCITI?

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Come abbiamo visto, l’inconscio è come un vulcano attivo nella nostra psiche, i cui contenuti, rimossi e obbligati a retrocedere dal nostro Io, premono verso l’esterno per manifestarsi alla coscienza.

La tensione psichica tra conscio e inconscio riguarda tutti. I conflitti più importanti generano esplosioni fatte di sintomi evidenti e causano disagi che spesso devono essere riconosciuti ed elaborati nella stanza terapeutica.

La psicoanalisi, però, dà valore anche alle inezie, a quei piccoli segnali che potrebbero rivelare un conflitto più lieve ma pur sempre prezioso per comprendere una difficoltà, seppur momentanea.

Freud, nelle sue lezioni di “introduzione alla psicoanalisi” tenute a Vienna nel 1915, dice: «La psicoanalisi, è vero, non può vantarsi di non essersi mai occupata di inezie. Al contrario, la sua materia di osservazione è costituita abitualmente da quei fatti poco appariscenti che le altre scienze mettono da parte come troppo insignificanti: dai rimasugli, per così dire, del mondo dei fenomeni».

Così come, per smascherare un assassino, l’investigatore raccoglie anche gli indizi più piccoli e insignificanti, per la psiche vale lo stesso principio: «Non sottovalutiamo quindi i piccoli indizi; forse, a partire da essi, sarà possibile trovarsi sulle tracce di qualcosa di più grande».

Così Freud inizia le sue lezioni, introducendo quelli che lui definisce “atti mancati” meglio conosciuti sotto il nome di “lapsus”.

Gli atti mancati sono errori di memoria, smarrimenti, gesti, azioni, disattenzioni e sbadataggini a prima vista di poco conto poiché interpretati dalle persone come risultato di semplici distrazioni dovute allo stress, alle circostanze e ad uno stato psicofisico un po’ sotto pressione.

Freud ci insegna invece che quando dimentichiamo un nome o diciamo una parola per un’altra, quando lasciamo a casa le chiavi dell’auto proprio il giorno di un importante colloquio di lavoro, o rovesciamo un bicchiere di vino sulla schiena di un nostro invitato, in realtà ci troviamo di fronte a manifestazioni dell’inconscio che, mascherato, emerge alla coscienza.

Se a livello cosciente questi atti sono “mancati” perché hanno commesso un errore, a livello inconscio invece hanno realizzato il loro intento, sono dunque “riusciti” a far trapelare quel desiderio rimosso.

4. MA QUESTO È UN LAPSUS FREUDIANO!

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Lapsus deriva dal latino labi che significa scivolare.

Il lapsus passa attraverso le feritoie del conscio permettendo al contenuto inconscio, rimosso o censurato, di uscire allo scoperto in maniera imprevedibile e improvvisa.

In Psicopatologia della vita quotidiana (pubblicato nel 1901 ma con una decina di successive ristampe e integrazioni da parte dell’autore sino al 1924) Freud descrive e interpreta tutti i tipi di lapsus da lui studiati e analizzati, così frequenti nella vita quotidiana di ognuno di noi.

- LAPSUS DI MEMORIA: quando proprio non ricordiamo il nome di quella persona che in realtà sappiamo di sapere bene o il titolo di una canzone che conosciamo a memoria, quando quel famoso passo di una poesia proprio non ci viene in mente o quando, per lavoro ad esempio, quel termine in inglese che ci serve per comunicare un messaggio importante, e che mille volte abbiamo utilizzato, resta incagliato nella dimenticanza, ci troviamo senza dubbio di fronte ad un lapsus.
Il perché proprio quel nome, quel titolo o quella parola non ci sovvengano, potrebbe celare un disagio o un ricordo doloroso legato in qualche modo alla riproduzione di quel termine alla memoria.

- LAPSUS DELLA LINGUA: Se a una riunione importante il nostro capo ci dicesse “ bene, ci siamo tutti?
Allora possiamo andare”, anziché dire “possiamo cominciare”, molto probabilmente il suo reale desiderio è proprio quello di terminare in fretta l’incontro, forse perché ciò che dovrà comunicare non gli piace o forse perché in quel momento vorrebbe essere altrove.
Quando ai tempi della scuola abbiamo chiamato “mamma” la maestra sicuramente ci siamo confusi, ma altrettanto certamente avremmo trasposto e trasferito sull’altro sentimenti e desideri inconsci. Cioè lapsus. “Mi sale il passi?”, invece di “Mi passi il sale?”, anche questo è un lapsus.
Invertire parole, esprimere il contrario di ciò che si vuole dire o confondere per assonanza un termine simile e contrapposto a un altro, nasconde o rivela qualcosa che tendiamo ad evitare o che è troppo spiacevole da ammettere.

- LAPSUS DI LETTURA E DI SCRITTURA: anche quando scriviamo o leggiamo siamo vittime di lapsus. Leggere in un messaggio “ci sposiamo” anziché “ci spostiamo” potrebbe generare tra fidanzati cose poco piacevoli! Eppure lapsus di scrittura e di lettura capitano spesso. E in questo esempio i desideri inconsci non sono neppure troppo difficili da interpretare!

- SMARRIMENTO DI OGGETTI E DIMENTICANZA DI PROPOSITI: “ma dove ho messo le chiavi?” oppure “dove sono finiti i biglietti del concerto?” e ancora “come ho fatto a dimenticarmi del nostro anniversario?”
Siamo solo distratti e smemorati o forse, sotto sotto, nascondiamo dispiacere o rifiuto di fare quella determinata cosa? Freud ci spiega ad esempio che per ritrovare un oggetto smarrito, cambiando il nostro pensiero negativo su ciò che ci rimanda quell’oggetto, saremo in grado di ritrovarlo.
Quando infatti non ci pensiamo più (perché abbiamo risolto il conflitto interiore che ci causa quell’oggetto), ecco che magicamente ricompare.

- SBADATAGGINI E ATTI CASUALI: rompere accidentalmente il vaso cinese che ci ha regalato la zia potrebbe non essere causato dalla nostra goffaggine.
E quante volte abbiamo cercato di aprire l’ufficio con le chiavi di casa? E perché abbiamo bruciato l’arrosto?
Guardare l’orologio mentre ascoltiamo qualcuno potrebbe nascondere lo scarso interesse verso le sue argomentazioni? Certo che è così. Chi giocherella continuamente con l’anello nuziale non sempre lo fa per alleviare un fastidio fisico.

- ERRORI: all’imbocco dell’autostrada prendiamo la direzione sbagliata? Navigatore a parte, forse questo errore di direzione non è casuale. Proviamo a rifletterci su.





5. CE L’HO SULLA PUNTA DELLA LINGUA!

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Tra i lapsus della memoria, ce n’è uno che certamente sarà capitato più di una volta a tutti.

Spesso avvertiamo una sensazione di particolare disagio quando, disperatamente, cerchiamo di ricordare quella precisa parola che non ci vuol proprio uscire di bocca. Ci giustifichiamo con i presenti dicendo «ce l’ho sulla punta della lingua!».

Questo fenomeno può essere descritto come una sensazione simile a quella che precede uno starnuto oppure come un tormento ossessivo (vogliamo a tutti i costi ricordarci la parola perché ne percepiamo la presenza); spesso si può con certezza indicarne l’iniziale o la lunghezza sillabica o un suono simile, senza tuttavia ricordare la parola esatta.

È lì per uscire, ma niente, non ci viene in mente! Ne conosciamo il significato e i sinonimi ma lei, non vuole saperne. E quando qualche interlocutore la indovina, dopo tutti gli indizi che gli abbiamo fornito, proviamo appagamento, piacere e soddisfazione.

Nel caso contrario invece continueremo infastiditi a cercarla nella memoria, finché all’improvviso, magari alle due di notte, eccola che si palesa. E saremmo tentati di svegliare tutti per la gioia di averla trovata!

Scherzi a parte, in realtà questo fenomeno, che viene descritto dai neuropsicologi come la “sindrome del ce l’ho sulla punta della lingua”, è stato studiato nel 1966 da due psicologi di Harvard, Roger Brown e David McNeill, che hanno tentato di riprodurre empiricamente, data la difficoltà di rievocarlo in laboratorio, l’evento del TOT, (acronimo inglese che sta per Tip Of the Tongue, ovvero punta della lingua).

In seguito anche la psicolinguistica e la neurologia hanno approfondito il fenomeno, individuandone probabili cause, che potrebbero essere di tipo psicolinguistico o provenire da una sorta di blocco emotivo oppure da un errore nell’immagazzinare e codificare il ricordo nel nostro cervello.

Dunque il nostro inconscio utilizza molte strade per farsi sentire, alcune meno evidenti, altre più incalzanti, ma il lapsus freudiano, in ogni sua forma, è un invito per ognuno di noi a soffermarci su quelle che sono le nostre reali intenzioni, pensieri e desideri.








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