L’arte di sapersi adattare

Ciò che è duro si spezza, ciò che è flessibile ritrova presto la propria forma.

Non cercare la perfezione e la forza: sono nemiche del benessere interiore.

Diventa cedevole e romperai anche la pietra!  Liberarsi dalle rigidità mentali è una condizione indispensabile del benessere.

Tutti i dati indicano che negli ultimi due anni le problematiche psicologiche sono aumentate a dismisura: ansia, depressione, insonnia, senso di fallimento, panico…

In questo momento di profonda precarietà, in cui abitudini e credenze un tempo ritenute stabili si mostrano sempre più fragili, cosa ci è utile, cosa ci è davvero di conforto? Non pallide certezze relative al mondo esterno, bensì una vera saldezza interiore.

Ma il mondo interno non ragiona con i canoni consueti: essere saldi e sereni, per l’interiorità, non è il frutto di difese rinforzate, non è l’esito di un processo di indurimento. Tutto il contrario.

Più ci si indurisce e si prova a tener duro, più i fantasmi interiori verranno a trovarci. Perché il mondo interno non ci vuole forti, ci vuole completi, aperti, flessibili, spontanei e in contatto con il nostro “seme”, con ciò che siamo nel profondo.

1. DIVENTA COME L’ACQUA, DOCILE MA INARRESTABILE

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Ci servono abitudini di pensiero che facciano della trasformazione il proprio paradigma, esaltando qualità come la malleabilità, l’apertura, la capacità di essere accoglienti e “porosi” assorbendo le novità senza alzare subito barriere o fare resistenza.

Essere fluidi e adattabili: sembrano queste, più che un’apparente solidità di facciata, le caratteristiche necessarie per mantenere il benessere in tempi incerti.

Spesso si chiama questa somma di caratteristiche con un termine di moda: “resilienza”. Che, tanto per chiarire, non vuol dire resistenza, se questa significa tener duro, stringere i pugni e farsi forza.

Al contrario il sinonimo migliore è “elasticità”: del resto la resilienza altro non è che la capacità di certi materiali di tornare alla forma originaria dopo aver subito una deformazione. È quindi flessibilità, capacità di adattamento.

Non cercare allora di essere forte, perché non fai altro che innescare una guerra interna che ti indebolisce ancora di più. Voler essere più forti significa infatti giudicare sbagliato e inadeguato il proprio modo d’essere naturale e volerlo correggere, cioè colpire proprio la qualità che ci serve per restare saldi: l’armonia interiore.

La vera forza, invece, è imparare a vedere le proprie debolezze, le proprie fragilità, senza dover sempre distogliere lo sguardo, ma accogliendole come parti preziose di sé. È questo che rende coraggiosi, non una recita in cui si finge di non avere paura.

Il mito della durezza è deleterio, perché le sostanze dure si spezzano quando una forza superiore le colpisce, le sostanze flessibili invece si piegano, ma poi tornano alla propria forma originaria.

Ma cos’è la “forma originaria”? Secondo James Hillman, il grande psicanalista, è “la ghianda”, il seme che contiene tutte le nostre caratteristiche. Possiamo chiamarlo mondo interno, anima, carattere o in molti altri modi.

Contiene le tue tendenze, le tue capacità, sai fare senza averle imparate, il modo in cui parli, in cui ami, in cui lavori. Contiene le tue possibilità e ciò che sei destinato a diventare, giorno dopo giorno.

Sì, perché ciò che sei si manifesta poco alla volta, non lo puoi conoscere in modo completo e questo fa della vita un viaggio. Tutto ciò che incontri ne è parte preziosa, niente escluso.

L’importante è che tu non interferisca con i modelli mentali cercando di correggere e di guidare. Stare vicino alla tua ghianda e al suo percorso ti rende aperto al nuovo e all’imprevisto e ti permette di trovare il tuo equilibrio, qualsiasi cosa accada.

2. NON GIUDICARE BUONO O CATTIVO CIÒ CHE ACCADE

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«Non accade mai niente, la mia vita è piatta e io mi sento così apatico e svogliato...».

«È un periodo che mi succede di tutto, vorrei solo un po’ di tranquillità»: due estremi che descrivono situazioni in cui l’imprevisto, assente o troppo presente, rende la vita impossibile.

Situazioni accomunate da una condizione: la persona si è chiusa in un fortino e, in un caso, quel fortino è diventato una prigione, nell’altro una difesa fragile su cui non può fare affidamento.

Ma di cosa è fatto quel fortino? È un fortino mentale, fatto di abitudini, di credenze, di modelli e di ideali irrigiditi e fissi.

Credenze che prescrivono come dev’essere il lavoro giusto, la relazione giusta, gli amici giusti, la casa giusta, il matrimonio giusto, i figli giusti e, di conseguenza, come noi dobbiamo essere per diventare buoni genitori, buoni figli, buoni membri della società e così via.

Adattarsi a questi schemi è rassicurante, in apparenza. Ma chiude lo sguardo al mutamento, che è il nutrimento stesso della vita. Ecco perché, chiusi nelle certezze mentali e senza poter vedere il fiume della vita che ci trasporta, le giornate diventano piatte.

E appena bisogni, desideri, istinti si affacciano e rompono gli schemi, subito la nostra barca fa acqua da tutte le parti e noi ci affanniamo a chiudere le falle che si aprono di continuo. Come se ne esce? Sospendendo il giudizio!

Smettendo cioè di giudicare in automatico ciò che si affaccia, fuori o dentro di te, come buono o cattivo: buono se rispetta i modelli che la società ti ha insegnato, cattivo se li minaccia o mostra altre possibilità che sarebbero alla tua portata.

Sospendere il giudizio significa restare aperti. È una qualità che gli antichi taoisti consideravano fondamentale: ciò che ti accade è una fortuna? Forse. È una sfortuna? Forse.

Un difetto si presenta sempre e ti procura dei guai: e se fosse una qualità che ancora non riesci a vedere? Arriva una crisi al lavoro, nella coppia, in famiglia: e se fosse la necessità di un nuovo assetto, più in linea con la tua crescita?

Paure, ansie, brutti pensieri: invece di combatterli come un nemico per tornare “quello di prima”, pensa che forse ti stanno mostrando che è ora di cambiare e che il “prima” non era poi così piacevole come volevi credere.

Non giudicare subito, fermarsi e aspettare, ti toglie una patina di fatalismo e di pessimismo, spegne i combattimenti mentali e ti apre a nuove possibilità di vita.

3. TIENI A BADA CONTROLLO E PERFEZIONISMO

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Una conseguenza immediata del giudizio, di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti, è l’interventismo.

È un atteggiamento di iperattivismo che non tollera che qualcosa esca dagli schemi: siccome pensi che le cose - dentro di te e con gli altri - debbano andare in un modo prefissato, cerchi subito di intervenire e correggere le deviazioni appena si presentano o di prevenirle tenendo tutto sotto controllo.

Allora ti dai da fare per salvare la tua coppia in crisi, per mettere in riga il figlio che risponde male, per superare certi momenti di tristezza o certi pensieri che ti turbano..

Di solito non è facile vedere gli effetti negativi di questo schema, anzi, spesso è presentato come utile ed efficace. Questa opinione alterata è ben riassunta da termini come “migliorarsi”, “correggere le cose che non vanno”, “lavorare su di sé”.

Chi non pensa che migliorarsi sia una buona cosa? “Lavorare su di sé” assume addirittura una coloritura eroica, come se la persona stesse affrontando mostri terribili. E se invece il mondo interno non tollerasse affatto il nostro intervento?

E se, senza accorgercene, il nostro “essere migliore” volesse dire “più normale in base ai modelli comuni”? E se l’interiorità non volesse che la “lavoriamo”, ma che facciamo silenzio, la smettiamo di interferire, ci facciamo da parte e la ascoltiamo, finalmente?

Gli effetti dell’interventismo sono tre:
- in primo luogo l’irrigidimento mentale e una netta chiusura al cambiamento, vissuto subito a priori come pericoloso, anche quando nasconde invece delle grandi possibilità;
- in secondo luogo uno stress immediato e prolungato, conseguente al timore che le cose su cui fai affidamento stiano per crollare e ai tuoi tentativi di puntellarle; - infine, a lungo andare, un allontanamento netto da ciò che ti caratterizza, dal tuo mondo interno, da ciò che nelle pagine precedenti abbiamo chiamato “seme”, “ghianda”. Non sai più chi sei e cosa vuoi davvero. Con un altro problema: più cerchi di controllare gli altri e te stesso, più gli altri e i tuoi istinti insorgono contro di te.

Il motivo? Voler controllare è sempre un atto di manipolazione, che nasce dalla paura di perdere l’approvazione del mondo se qualcosa nella tua vita non va come “si deve”. Un atto che non può che provocare reazioni negative e ribellioni.

4. NON RIMANERE FISSATO SULLE COSE E SULL’IDENTITÀ

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Stare “seduto” sul mondo interno, sui suoi mutamenti che, come una corrente sotterranea, ti portano sempre di più a far emergere ciò che ti caratterizza, è la chiave del benessere interiore.

Ti permette di accogliere ogni evento esterno e ogni emozione, pensiero, idea come un momento importante del tuo viaggio, senza rifiutare niente, senza giudicare a priori o cercare di intervenire per correggere e quindi senza entrare in un loop di pensieri ossessivi, azioni inutili, lotte interiori senza fine.

Occorre affidarsi al mistero, alla parte oscura di te, perché quel fiume è sotterraneo, non puoi vederlo, ti devi affidare, essere cedevole e abbandonarti senza fare resistenza.

Quale zavorra devi lasciare a terra, per intraprendere un viaggio del genere? Un vero peso massimo: ciò che pensi di essere, l’immagine che hai di te, quello che hai costruito, le tue convinzioni...

«Io sono fatto così»; «Non fa per me, lo so»; «Le persone come lui non le sopporto»; «Non faccio quella cosa perché non voglio che gli altri pensino male di me»: chi non ha pronunciato frasi del genere? Ognuno di noi fa di tutto per cercare di essere inattaccabile e a prova di critica.

Di conseguenza ognuno si cuce addosso un’immagine statica di sé, scansando ciò che può mandarla in frantumi, mostrando sempre il lato migliore, e col tempo quello che era un vestito diventa una seconda pelle, un’identità.

A questo contribuiscono anche le relazioni che costruiamo intorno a noi: amicizie, rapporti di lavoro, amori, matrimoni, carriera, impegni vari. Man mano diventa quasi ovvio descriverti attraverso un elenco di ruoli: il lavoro che svolgi, lo stato civile, i successi ottenuti... Ma tu non sei quei ruoli, né quei risultati.

Tante depressioni di chi va in pensione si spiegano proprio così: se sei solo quello che hai fatto nel passato, ora che hai smesso di darti da fare nulla di nuovo potrà più accadere. Ma se niente di nuovo accade è come se fossi morto: cosa c’è di più naturale che sentirsi depressi?

Attento, non devi mai confonderti: questa mentalità è solo una maschera rigida e superficiale, l’identità è solo una pellicola esterna.

Dentro di te c’è altro, ci sono molti altri volti e spesso essi si affacciano proprio nei disagi, nei momenti di incertezza e di crisi, quando fai o pensi qualcosa che “non è da te”: proprio ciò che in apparenza mette in pericolo l’immagine che hai di te, è ciò che ti salva dalla “morte dell’anima” e ti regala nuova vita.





5. IN TE CI SONO MILLE VOLTI: FALLI BALLARE ASSIEME

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Tutto procedeva bene, poi di colpo è arrivato quel fastidio a guastare la tua serenità.

Può essere un disagio psicofisico, una crisi di coppia, una richiesta esterna che non vuoi accettare, o magari una persona è entrata nella tua vita e ha portato scompiglio, magari fastidio, rabbia, oppure... desiderio!

Insomma, “prima” andava tutto bene, “adesso” è un mezzo inferno. In queste pagine abbiamo imparato a guardare le cose da un altro punto di vista, opposto a quello comune. Forse prima le cose non andavano poi così bene come pensi?

C’era noia, insoddisfazione e, mascherata da tranquillità, si celava la calma piatta? E quel fastidio, quel disagio, non conterrà anche un messaggio prezioso, una spinta che, se assorbita nel modo giusto, ti può far cambiare direzione nella vita? Come rendertene conto?

La tecnica utile! In primo luogo non giudicare l’imprevisto come un male. Molto spesso infatti i problemi esterni sono solo proiezioni, specchi di problemi interni che non riusciamo a vedere. Si manifestano fuori così che possiamo vederli e cambiare atteggiamento interiore.

Prova a chiudere gli occhi e immagina la cosa o la persona che ti sta turbando, che sta creando problemi alla tua vita. Prova a sentire il fastidio, il dolore che ti procura, sganciandolo ora totalmente dalla causa (persona o situazione che sia).

Senti quel turbamento in modo puro, come una cosa tua. Dove lo senti nel corpo? In che punto? Metti lì la mano. Immaginalo ora come un evento atmosferico: è una tempesta o una gelata? Un fiume o un’eruzione? O cos’altro ancora?

Ora inizia a sentire quale parte di te quel fastidio o dolore sta facendo risuonare: la parte rabbiosa, la parte sottomessa, la parte dipendente, la parte irresponsabile?

Quasi sempre c’è una parte di te che non vuoi vedere, che nascondi sotto il tappeto: permettiti di guardarla, di farla accomodare dentro di te, rivolgiti a lei con dolcezza; vuole emergere dalla cantina in cui l’hai chiusa e “la crisi esterna” serve proprio a fartela ritrovare. Solo se la guardi ti completi e lei smetterà di agire a tua insaputa.

Ora lascia in un punto di te quella parte infastidita e prova a immaginare tutti i volti di te che non sono implicati in questa scena: non sei solo “quello con quel problema”, sei anche, ad esempio, quello che ama correre o ballare, quello che ama la montagna o il mare, quello che si diverte facendo certe cose, quello che fa l’amore, quello che adora fare certi lavori, quello che sogna...

Tieni assieme in un cerchio tutte queste immagini (se vuoi puoi anche disegnarle o scriverle su un grande foglio) e fai entrare anche l’immagine “infastidita” di prima, falla accomodare al centro e immagina che tutte le altre le sorridano. Più allarghi la tua coscienza, fuori dall’identità fissa, più diventi flessibile e impari da tutte le situazioni.








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