L’arte di scambiarsi regali: un’abitudine che arriva da lontano

Compleanni, anniversari, feste comandate e celebrazioni d’ogni sorta…

Nel mondo contemporaneo tutte le occasioni sono buone per regalare qualcosa, da costosi gioielli a economici souvenir, passando per capi d’abbigliamento e manufatti di qualsiasi foggia e prezzo.

L’usanza di scambiarsi doni è vecchia quanto l’uomo. Ma nel corso dei secoli ha mutato significato.

Ma quando è nata l’abitudine di scambiarsi dei doni? E quali sono stati, nelle epoche passate, i regali più ambiti e le occasioni di scambio più frequenti? Scopriamolo insieme.

1. ANTICA ABITUDINE

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L’usanza del dono ha origini antichissime ed era conosciuta persino dai nostri antenati preistorici, che solevano offrire ai capitribù rudimentali “souvenir” come denti di animali, cortecce e pietre, adatti a essere intagliati per costruire armi o adornare collane o gioielli.

«Nelle popolazioni dedite alla caccia e alla raccolta, per loro natura egalitarie, il concetto di dono era tuttavia limitato, ma tutto cambiò con la diffusione dell’agricoltura e dell’allevamento, intorno al X secolo a.C., quando le società diventarono più complesse e opulente introducendo importanti differenze di classe di cui i regali divennero il simbolo tangibile», spiega Davide Torsello, professore di antropologia alla Central European University di Vienna.

L’antico Egitto fu una delle prime civiltà che vide una grande diffusione del dono. Nel giorno della loro incoronazione, considerata come una sorta di rinascita, i faraoni ricevevano, tra le altre cose, raffinati monili, vesti, oro, armi e parti del raccolto.

Oltre a offerte votive agli dèi, i regali accompagnavano inoltre i defunti nel loro viaggio verso l’aldilà, rendendo più confortevole la loro vita ultraterrena: accanto ad amuleti benauguranti, cibi e suppellettili, i morti erano spesso accompagnati dai cosiddetti ushabti, statuette dalla forma umana che avrebbero “servito” il defunto come fedeli domestici anche nel mondo dei morti.

Qua sotto, il faraone Horemheb (che regnò fino al 1292 a.C.) mentre offre dei doni alla divinità Hathor. Per il loro viaggio verso l’aldilà, i defunti ricevevano numerosi regali.

2. OSPITALITÀ E BUONA SORTE

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Lo scambio di doni continuò a essere comune sia nell’antica Grecia sia a Roma, dove le occasioni per farsi regali non mancavano.

«I matrimoni sono stati, fin dall’antichità, una circostanza in cui le famiglie si scambiavano doni che suggellavano un nuovo legame sociale e di parentela», precisa l’esperto.

«Nelle società guerriere, tra i beni più ambiti c’erano le armi, il cui scambio tra i combattenti assumeva la valenza di rituale, come testimoniato da episodi raccontati nell’Iliade e nell’Odissea di Omero (VIII secolo a.C.)».

Il tipo di regali era spesso legato al sesso del ricevente: gli oggetti “durevoli” come armi e manufatti metallici erano riservati agli uomini, mentre per le donne si preferivano stoffe, tessuti, gioielli e unguenti.

Tra i Greci, una delle usanze più osservate era quella di onorare il viandante concedendogli vitto, alloggio e regalandogli cibi e provviste utili a continuare il viaggio, nella convinzione che sotto le vesti del pellegrino potessero celarsi divinità sotto mentite spoglie che era meglio non offendere.

Sotto, una miniatura tedesca del XII secolo con i Magi che portano in dono a Gesù bambino oro, incenso e mirra.

Incredibilmente simili alle abitudini natalizie moderne furono poi le festività romane dei Saturnali, che si tenevano dal 17 al 23 dicembre di ogni anno in onore del dio Saturno.

In quei giorni, tra eventi pubblici, abbondanti banchetti e chiassose riunioni familiari, i Romani dimenticavano le differenze sociali regalandosi un’ampia varietà di doni.

Da alcuni epigrammi di Marziale scopriamo che in queste occasioni si scambiavano regali economici come dadi, candele di cera colorata, abiti, libri, una moneta, piccoli animali domestici. Per la gioia dei più piccini c’erano variegati giocattoli di terracotta.

Tra gli adulti, a spopolare erano invece i cosiddetti sigilla, statuette di ogni foggia e prezzo raffiguranti spesso divinità (dai più economici di creta o coccio a quelli di bronzo o oro) scambiate in segno di buon augurio e vendute nelle affollate baracche del Campo Marzio.

«L’elemento scaramantico presente nella cultura romana è rimasto in molte usanze popolari, tanto che certi oggetti, se donati, acquisiscono un potere simbolico molto forte sia in negativo sia in positivo», chiosa Torsello.

«Un esempio è quello dei fazzoletti di stoffa, che secondo la tradizione popolare italiana sarebbero forieri di lacrime, ma che in Paesi lontani da noi, come il Giappone, sono al contrario dei regali molto graditi».

Nella foto sotto, uno scambio di regali tra donne giapponesi nel 1890.

3. LIBRI, CAVALLI ED... ELEFANTI

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Nel Medioevo e nel Rinascimento la cultura del dono divenne centrale in molti aspetti della vita sociale, stimolata dall’esempio del cristianesimo, che incoraggiava a elargire gratuitamente ai poveri denaro, cibo e vestiti per alleviare le loro sofferenze.

Negli ambienti aristocratici, invece, i regali divennero sempre più raffinati, rimanendo un mezzo per assicurarsi il favore personale del re o del signore o per dimostrare la propria ricchezza di fronte ai propri pari rango: dalle monete ai metalli preziosi, nel novero degli omaggi più ambiti dalla nobiltà rientravano raffinate armature o cavalli e cani di razza da utilizzare a caccia o in guerra.

A ciò si aggiunse un nuovo manufatto costosissimo: il libro. Bibbie e preziosi manoscritti intarsiati erano all’epoca delle autentiche opere d’arte di cui gli aristocratici amavano fare sfoggio.

Sotto, Francesco d’Assisi dona il suo mantello a un povero.

Eventi come fidanzamenti, matrimoni o nascite rimasero invece le principali occasioni in cui le dame ricevevano regali decorati con temi che celebravano un’unione fertile ed esaltavano qualità come la purezza e la fedeltà coniugale, tra i quali spiccavano oggetti da toeletta, cofanetti e specchi intarsiati o cassoni dipinti in cui riporre il corredo nuziale.

Non mancavano peraltro sfarzosi omaggi diplomatici pensati per instaurare proficue relazioni tra Stati o sovrani.

«È interessante notare come nelle culture dove il dono è più importante, spesso si manifestino anche regalie non proprio legali e i fenomeni di corruttela siano più diffusi», precisa Torsello.

Alcuni doni rinascimentali sono rimasti celebri, come quello scelto nel 1514 da re Manuele I del Portogallo per papa Leone X in occasione della sua incoronazione.

Si trattava di un elefante bianco, trasportato dalla penisola iberica a Roma e a cui fu dato il nome di Annone (dall’omonimo generale cartaginese), diventato presto l’emblema della ricca corte papalina agli occhi del popolo romano.

Nella foto sotto, Cristoforo Colombo dona campanelle agli indigeni americani.

4. BUSINESS CONSUMISTICO

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Stravaganze a parte, con l’avvento della moderna rivoluzione industriale e lo sviluppo della società consumistica l’usanza del dono ha perso la “solennità” dei secoli passati diventando un business diffuso in tutti gli strati sociali.

A inaugurarlo fu la nascita dello shopping, stimolata a partire dalla metà del XIX secolo dalla costruzione dei primi grandi magazzini e, in seguito, dei centri commerciali, immense aree colme di merci pronte a essere comprate da una borghesia sempre più benestante.

Per stimolare l’acquisto dei propri prodotti, le grandi aziende hanno così trasformato festività tradizionali come Natale o San Valentino in celebrazioni incentrate sullo scambio di regali, trasformandoli in parte integrante della nostra quotidianità.

«In molti casi le aziende hanno preso spunto da racconti o personaggi folcloristici tradizionali rendendoli testimonial d’eccezione per i loro prodotti, come avvenuto a Santa Claus (Babbo Natale), già conosciuto nelle saghe popolari ma reso un’icona dalla Coca-Cola a partire dagli anni ’30», spiega l’esperto.

«La forza che hanno acquisito tali simboli consumistici non è stata tanto merito dei ricchi quanto della classe media, destinataria principale delle moderne campagne pubblicitarie e di marketing».

Le cose non sono cambiate con l’avvento del nuovo millennio, caratterizzato dallo shopping online e dalle sempre più pervasive piattaforme di e-commerce, dove per regalare qualcosa basta un semplice click. Grazie alla tecnologia, un’usanza vecchia di millenni è più viva che mai.

 Sotto, Babbo Natale all’entrata della catena di grandi magazzini Macy’s. La figura di Santa Claus si diffuse negli Usa a partire dall’800.





5. UN REGALO COLOSSALE

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Per commemorare la propria amicizia con il popolo americano e celebrare il primo centenario dalla Dichiarazione di indipendenza, nel 1876 la Francia decise di donare agli Stati Uniti una statua colossale divenuta in seguito il simbolo stesso della nazione statunitense e che ancora oggi svetta maestosa sull’isolotto di Liberty Island, nella baia di New York.

Parliamo della “Libertà che illumina il mondo”, meglio nota come “statua della Libertà”, capolavoro di arte e ingegneria realizzato dallo scultore francese Frédéric Auguste Bartholdi con la collaborazione dell’ingegnere Gustave Eiffel, lo stesso dell’omonima torre.

Con un peso di 156 tonnellate e un’altezza di 46 metri (a cui si aggiungono altri 47 metri di basamento, costruito dagli americani), il gigantesco regalo fu inaugurato nel 1886 e raffigura in stile neoclassico la dea della Ragione, che ha in testa una corona a sette punte (simbolo dei sette mari) e impugna in una mano una fiaccola (emblema della libertà) e nell’altra una tavola sui cui è scritta la data dell’indipendenza: 4 luglio 1776.

Di che colore era? La statua della Libertà quando venne regalata era color rame (marrone). Il caratteristico verde con cui la conosciamo, dovuto all’ossidazione, non emerse fino al 1900.








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