Erano sette: due monumenti funerari, un tempio, due statue gigantesche, un giardino pensile e un faro.
Vennero descritte da Filone di Bisanzio, un ingegnere vissuto alla fine del III secolo a.C., ma c’è chi pensa che si tratti di un falso.
Il catalogo delle sette meraviglie avrebbe potuto essere redatto fra 280 e 214, quando esistevano ancora tutte.
Oggi ne è rimasta una, la più antica: la grande piramide di Cheope.
1. Il colosso di Rodi e il giardino pensile di Babilonia
- Il colosso di Rodi
La statua del dio Helios, protettore di Rodi, fu eretta nel 280 a.C. dall’architetto e scultore Carete di Lindos, allievo di Lisippo, che era l’artista preferito di Alessandro Magno.
Fu usato il bronzo ricavato dalle macchine da guerra abbandonate da Demetrio Poliorcete dopo il suo assedio alla città e per i secoli sarebbe stata chiamata il Colosso di Rodi, nome che significava appunto “statua”, in lingua dorica.
Fu necessaria una rampa attorno al monumento che fu innalzato a segmenti, fissati l’uno sull’altro con grappe di ferro, cavi e travature. A lavoro terminato, il colosso aveva raggiunto l’incredibile altezza di 33,6 metri.
Carete aveva voluto surclassare Lisippo, che aveva costruito a Taranto uno Zeus alto 13 metri. Di certo i piedi non dovevano essere poggiati sui due moli del porto.
La statua doveva avere le gambe unite, invece, e trovarsi all’imbocco del porto o in un luogo elevato al centro della città. Purtroppo un terremoto catastrofico la abbatté solo 66 anni dopo il suo completamento.
Una leggenda dice che Carete si accorse, subito dopo averla costruita, di aver commesso un fatale errore e si suicidò. Forse l’errore ci fu davvero e consistette nel riempire di pietre le gambe, creando una linea di rigidità all’altezza del ginocchio.
Proprio lì infatti il colosso si spezzò durante un terremoto, crollando al suolo. Rimase coricato per quasi nove secoli, fino a quando un mercante di Edessa lo comprò e lo fece a pezzi, caricandoli su novecento cammelli.
- Il giardino pensile di Babilonia
Sarebbe stato costruito nel VII secolo a.C. da Nabucodonosor per una delle sue mogli, principessa elamita che aveva nostalgia per le montagne native, coperte di boschi e di fiori.
Variamente interpretato dagli studiosi, avrebbe avuto una struttura di tipo piramidale con vasconi per le piante ricavate nelle terrazze o sarebbe consistito in una serie di pilastri, che reggevano pavimenti e parapetti pieni di terra.
L’archeologo tedesco Robert Koldeway, che scavò Babilonia agli inizi del secolo scorso, credette di averlo individuato, ma oggi molti ne dubitano.
Recentemente, invece, una assiriologa inglese, Stephanie Dalley, ha ipotizzato che sia esistito realmente, sulla base di disegni che riproducevano bassorilievi assiri dell’epoca di Sennacherib oggi perduti.
2. La grande piramide
La grande piramide è l’unica fra le sette meraviglie che esiste ancora oggi.
Su questo grandioso monumento dell’antico Egitto, costruito intorno al 2500 a.C., si sono versati fiumi di inchiostro, ma molti interrogativi restano senza risposta.
La piramide ha tre camere sepolcrali: una più in basso del piano di campagna con un corridoio in prosecuzione che però finisce dopo pochi metri senza una comprensibile ragione; una seconda, più alta, detta “della Regina”, situata all’incirca sotto il vertice, e una terza più in alto ancora, che contiene un sarcofago in parte rotto e privo di coperchio.
Pochi dubbi che fosse quello del re: questa camera sepolcrale è l’unica sormontata da tre camere di scarico e da uno spiovente e dentro una delle camere di scarico è stato trovato un geroglifico, probabilmente eseguito dai muratori, che si legge Khufu, cioè Cheope.
Un altro dei problemi interpretativi è dato dal calcolo dei blocchi di calcare che compongono la piramide: il numero oscilla fra 1.200.000 e 1.600.000.
Se dividiamo questi numeri per i trent’anni richiesti dalla costruzione, risulta che sarebbe stato posato un blocco ogni 15-20 minuti, il che è impossibile. Né si può invocare, come fanno molti disinvolti “egittologi alternativi”, l’intervento di civiltà aliene giunte dallo spazio.
Una spiegazione potrebbe essere che la costruzione sia durata anche dopo la morte del faraone e che la mummia avrebbe avuto una collocazione provvisoria prima della sepoltura definitiva.
La piramide fu saccheggiata già in età antica e tutto il rivestimento di calcare bianco, pregiato e lucidato a specchio, fu rimosso nel Medioevo per costruire le mura e la grande moschea del Cairo.
È scomparso anche il pyramidion, cioè la sommità dorata. Contro il monumento si sono poi accaniti i ladri e i cercatori di tesori dei secoli successivi.
3. L’Artemision di Efeso
Quando Alessandro, dopo la battaglia del Granico (334 a.C.) giunse a Efeso, in Anatolia (odierna Turchia), trovò il più grande tempio dell’antichità in fase di ricostruzione.
Era stato incendiato nel 356 a.C. da Erostrato, un pastore che voleva “passare alla storia”.
Il sovrano macedone si offrì di sponsorizzare i lavori di ricostruzione ma il governo della città declinò l’offerta, pur acconsentendo a che fosse collocato nel santuario un dipinto di Apelle che rappresentava Alessandro nell’atto di scagliare una folgore come Zeus.
Tempio imponente, si ergeva su un monumentale podio a gradini, con una peristasi di 136 colonne, alte 18 metri, ognuna delle quali poggiava su un tamburo scolpito con figure a grandezza naturale.
All’interno c’era la statua di culto: un idolo di ebano, rivestito di ricche e pesanti vesti intessute d’oro e adorno di gioielli preziosi. Sul petto aveva un grappolo di strane protuberanze, scambiate in un primo tempo per mammelle, simbolo di fertilità. In realtà, erano gli scroti dei tori che gli venivano immolati.
Doveva trattarsi di un’antichissima divinità asiatica, che i coloni greci avevano identificato con Artemide.
San Paolo, in visita alla comunità cristiana della città nel I secolo d.C., si scagliò con veemenza contro quel culto pagano, provocando la vivace reazione dei fabbricanti di souvenir d’argento, che riproducevano il tempio e l’idolo e si ritenevano danneggiati dalla predicazione dell’apostolo.
Dell’Artemision di Efeso oggi non rimane che una colonna ricostruita dagli archeologi inglesi. Prima fu saccheggiato dai Goti, poi venne demolito in seguito agli editti contro i pagani e i loro culti emanati da Teodosio I e da Teodosio II (IV-V secolo). La statue e i fregi furono distrutti e i marmi bruciati per farne calce.
4. Zeus di Olimpia
Opera di Fidia, massimo scultore dell’antichità, era una statua alta tredici metri in oro (le vesti, i capelli, la barba, i sandali e gli accessori) e avorio (le superfici nude del corpo), volutamente sproporzionata per il tempio in cui era collocata, e dove in parte fu creata, verso la metà del V secolo a.C.
La base era un manichino di legno, con dentro tiranti, travi e funi per compensare eventuali movimenti di espansione e contrazione, sul quale vennero applicate le parti in oro e rivettate le placche in avorio.
Ispezionato da Luciano di Samosata, questo manichino fu considerato un nido di topi. Noi diremmo piuttosto un retroscena teatrale, con stracci, colla rappresa e altri rifiuti, forse lasciati dagli operai del cantiere.
Fatto sta che esso doveva essere fatto di pezzi montabili e smontabili, forse a incastro e legati fra loro da caviglie a pressione di vario diametro. Le parti in oro furono fuse a parte in stampi e poi fissate sul legno con chiodi sempre in oro.
Il gigante sopravvisse per quasi otto secoli e in una data che non siamo in grado di determinare fu smontato e trasportato per mare a Costantinopoli.
Una testimonianza di Giorgio Cebreno dice che si trovava nella galleria personale di un alto funzionario del palazzo imperiale al quale incredibilmente era concesso di conservare e collezionare capolavori dell’arte antica considerati per le loro nudità immagini seducenti del demonio.
Il palazzo che li conteneva bruciò però nel grande incendio che verso la fine del V secolo devastò gran parte della città.
5. Il Mausoleo di Alicarnasso e il faro di Alessandria
- Il Mausoleo di Alicarnasso
Furono sempre i terremoti a demolire un’altra delle sette meraviglie: Il Mausoleo di Alicarnasso, l’attuale Bodrum (Turchia).
Oggi la parola mausoleo indica una tomba monumentale, ma in realtà il grandioso monumento prende il nome da Mausolo, signore della città.
Costruito a metà del IV secolo, era costituito da un pilone in mattoni e blocchi di pietra che reggeva una monumentale peristasi (un colonnato porticato, la maggior parte delle volte di forma quadrangolare) di colonne ioniche da cui si elevava una piramide a gradoni.
Qui svettava la quadriga del sovrano e della sua sposa e sorella Artemisia. Le quattro pareti del pilastro furono decorate dai più grandi scultori del tempo: Leochares, Timoteo, Skopas e Briaxis.
Pur danneggiato dai terremoti, il Mausoleo era ancora in gran parte conservato alla fine del Medioevo, ma nel XV secolo fu utilizzato come cava di materiali dai cavalieri di San Giovanni per costruire il castello di Selçiuk.
Nel XIX secolo gli archeologi inglesi riuscirono a recuperare parte del fregio (alcune delle lastre erano state addirittura reimpiegate a copertura di una fogna) e le due statue colossali di Mausolo e Artemide che si trovano ora al British Museum: sono quello che ci rimane di un monumento di incredibile bellezza e imponenza che è stato imitato molte volte nei secoli, sia dai sovrani Tolemei in Egitto sia in tempi moderni. Il mausoleo di Lenin nella Piazza Rossa di Mosca, infatti, in parte lo richiama, anche se in forma austera.
- Il faro di Alessandria
Conquistata l’Anatolia e la Siro-Palestina, Alessandro entrò in Egitto e si diresse al santuario di Amon nel cuore del deserto libico.
Prima però si fermò sul braccio canopico del Nilo (uno dei sette rami del delta del fiume) e fondò la città che avrebbe portato il suo nome: Alessandria.
Non vi fece più ritorno e non la vide mai finita, ma ciò non impedì che la dinastia tolemaica, fondata da uno dei generali del suo esercito, la facesse diventare la più splendida capitale del Mediterraneo.
Qui, sull’isola di Faro, proprio davanti all’imbocco del porto e al promontorio Lochias, sede del Palazzo Reale, fu eretta tra 300 e 280 a.C. la settima meraviglia: una torre alta più di 130 metri sulla cui sommità c’era un corpo cilindrico che conteneva il fuoco di segnalazione per i naviganti.
Secondo le testimonianze, il faro proiettava un raggio luminoso visibile da 50 chilometri di distanza, il che comporterebbe che includesse uno specchio parabolico in grado di riflettere la luce adeguatamente. Da allora tutte le torri di segnalazione si chiamano “fari”.
Ibn Battuta, il grande viaggiatore arabo, lo vide in rovina agli inizi del XIV secolo a causa dei terremoti e in seguito andò completamente distrutto.
Solo di recente l’archeologo francese Jean-Yves Empereur ha recuperato dal fondo del mare alcuni pezzi in stile egizio di grande interesse, che facevano parte del suo ornato esteriore.