“Se un giorno le api dovessero scomparire, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”.
Questa celebre frase attribuita ad Albert Einstein fotografa l’allarme suscitato in tutto il mondo dal cosiddetto “spopolamento degli alveari”.
Si tratta di un fenomeno ancora poco conosciuto per il quale le colonie di questi insetti, appartenenti alla specie Apis mellifera, periscono bruscamente.
Questa strage di api mette in pericolo l’intero sistema agroalimentare. Secondo i dati della Fao, 71 delle 100 specie di colture che forniscono il 90% di prodotti alimentari si riproducono grazie agli insetti, gran parte dei quali sono api.
Solo in Europa, quattromila varietà agricole sono legate all’attività delle api, una colonia delle quali può impollinare fino a 300 milioni di fiori al giorno. Nel mondo si stima che il loro “servizio di fecondazione naturale” abbia un valore economico di circa 265 miliardi di euro l’anno.
Se venisse a mancare l’impollinazione a opera delle api, perderemmo di colpo mele, arance, pomodori e altri 4.000 prodotti alimentari. È questa la più temibile conseguenza dello spopolamento degli alveari, in atto in tutto il mondo.
Un metodo per sterminare l’acaro che li minaccia ci deve essere, ma la scienza non l’ha ancora trovato. Ma vediamo un po’ più dettagliatamente questo grave problema!
1. Una società matriarcale
Quella delle api è una società matriarcale, formata da individui appartenenti a tre caste, tutte alate.
Domina anche per dimensioni la regina, unica femmina fertile, alla quale fanno corona le operaie, femmine sterili destinate al sostentamento e alla difesa della colonia, e i fuchi, maschi destinati esclusivamente alla fecondazione della regina.
Quest’ultima, a differenza delle operaie, è priva dell’apparato per la raccolta del polline. Straordinariamente prolifica, ha il compito di deporre le uova (fino a duemila al giorno) e di assicurare la coesione della colonia.
Le api domestiche sono tra i pochi animali in grado di comunicare fra loro in modo simbolico, per esempio attraverso la danza, con la quale segnalano alle compagne la presenza di cibo.
Sono abilissimi architetti: i loro favi, che possono ospitare fino a 100mila individui, sono frutto di una perfetta organizzazione.
Una volta scelto il luogo adatto, le api si raggruppano in un ammasso, mantenendo a una temperatura di 35 °C la cera che costituirà le singole celle, cioè l’arredamento e la dispensa della futura casa.
La costruzione inizia con alcune api che dall’addome secernono scaglie di cera, costituita da una miscela di oltre 300 sostanze fra le quali predominano gli idrocarburi.
Ogni scaglia viene afferrata tra le mandibole, rielaborata con enzimi prodotti dalle ghiandole e depositata in modo da formare il reticolo esagonale delle celle.
I favi naturali, spessi ciascuno circa 25 millimetri, possono contenere, oltre alla grande “sala” che ospita la regina, fino a 415 celle da operaia e 350 da fuco.
2. Un acaro per nemico
Di colore rossastro e forma leggermente ovale, è poco più grande di una capocchia di spillo, ma i suoi effetti sono devastanti.
Si tratta di un acaro, la Varroa destructor, la cui presenza sull’ape domestica è stata segnalata per la prima volta nel 1958 in Cina. D
a quel momento il parassita ha iniziato la sua corsa verso l’Europa centrale e gli Stati Uniti. In Italia c’è dal 1981 e oggi è diffuso in tutto il mondo, tranne l’Australia. Prima del suo arrivo non c’era prato senza api.
Ora la Varroa non lascia loro scampo: si attacca all’ape come una zecca, succhiandone l’emolinfa, il fluido che svolge negli insetti funzioni analoghe a quelle del nostro sangue, e indebolendo il sistema immunitario.
A questo punto, in un ambiente caldo e umido com’è quello dell’alveare, funghi e batteri hanno via libera per aggredire la colonia indebolita e finiscono con lo sterminarla. Gli apicoltori non hanno ancora trovato un mezzo efficace per combattere il parassita.
Gli acaricidi hanno peggiorato la situazione, portando in pochi anni la Varroa a diventare resistente ai loro principi attivi. A mettere in difficoltà le api non è comunque solo la Varroa.
Un’altra causa di disturbo sembra essere l’esposizione ai campi elettromagnetici di rete mobile che possono interferire con i sistemi interni di orientamento delle api impedendone il ritorno alle arnie.
Secondo due studi effettuati all’Università di Newcastle e del Trinity College di Dublino, i pesticidi più subdoli e pericolosi sono quelli che appartengono alla famiglia dei neonicotinoidi perché rendono il consumo degli alimenti che li contengono più gratificante rispetto a quello di alimenti che ne sono privi, con gli stessi meccanismi innescati dalla nicotina nel cervello umano.
Queste sostanze agiscono sul sistema nervoso dell’insetto e si accumulano nelle colonie, contaminando anche il miele che le api usano per sfamare le larve appena nate. Gli individui che non muoiono immediatamente subiscono difetti nello sviluppo, debolezza e perdita dell’orientamento.
3. Alla ricerca della super ape
Secondo i biologi la migliore strategia per il futuro consisterà nell’indurre questi insetti a difendersi da soli.
Così un gruppo di ricercatori dell’Università di Washington sta organizzando quella che sarà la più piccola banca dello sperma al mondo: un magazzino di genomi delle api che saranno usati per creare un insetto domestico più resistente alle malattie. A
d aver successo nel contrastare la Verroa potrebbe essere il “comportamento igienico” delle api, che consiste nell’eliminazione da parte degli insetti adulti delle larve infestate, in modo da interrompere il ciclo produttivo dell’acaro.
Anche la capacità delle operaie di ripulire se stesse e le compagne passando le zampe sul corpo sembra efficace per eliminare parte dei parassiti.
Molti studiosi suggeriscono, dunque, che una selezione attiva, da parte degli apicoltori, delle famiglie di insetti che mostrano un più marcato senso della pulizia possa aiutare a mantenete più sani gli alveari.
La Monsanto, una multinazionale nel campo delle biotecnologie di Saint Louis, Missouri (Usa) sta invece studiando un sistema molto più aggressivo: una tecnologia basata sull’Rna, la molecola che porta l’informazione dai geni alla “macchina cellulare” che assembla le proteine, i mattoni chimici della vita.
Le api verrebbero nutrite con acqua zuccherina contenente una sostanza che disabilita l’Rna degli acari.
In questo modo, quando un’ape nutrice inserisce quest’acqua zuccherata, in ognuna delle celle nelle quali la regina ha deposto un uovo, le larve la assorbono, trasmettendo agli acari un vero e proprio segnale di autodistruzione.
Il problema è che nessuno può dire se un simile trattamento non sia alla lunga nocivo per le api stesse.
Due nuovi insetti “killer”
- Fra i più temuti nemici delle api spicca l’Aethina tumida, un coleottero originario del Sudafrica in grado di volare per lunghe distanze, contaminando zone sempre più ampie. Questo parassita lungo 5 centimetri, che si nutre di polline e miele e ne causa la fermentazione rendendolo invendibile, può saccheggiare e distruggere interi alveari in tempi brevissimi.
- Di recente è comparsa in Europa la Vespa velutina, un calabrone asiatico che fa nidi enormi attaccati agli alberi ed è un attivo predatore di api operaie, soprattutto bottinatrici di ritorno all’alveare.
4. Le api danzano per comunicare
Per facilitare l’individuazione della zona di raccolta, le api hanno sviluppato un linguaggio che dà loro la possibilità di comunicare tra loro la posizione dei fiori più ricchi di polline o nettare.
Lo ha scoperto nel 1945 lo zoologo viennese e premio Nobel Karl von Frisch.
La comunicazione, effettuata da un’ape esploratrice, si riferisce al tipo di cibo e alla distanza e alla direzione in cui esso si trova e viene espressa attraverso movimenti specifici e precisi, comprensibili alle consorelle.
La sequenza di movimenti inizia con una danza circolare dal diametro uguale al corpo dell’ape stessa. Lo stretto contatto con la danzatrice stimola le altre bottinatrici a lasciare l’alveare.
Se la fonte di cibo è vicina, l’esibizione si conclude così, ma se la fonte di cibo si trova a oltre 100 metri di distanza, l’esploratrice si produce nella cosiddetta danza della coda, eseguita dimenando l’addome, cioè “scodinzolando”.
L’informazione relativa all’aumento della distanza viene trasmessa anche dal proporzionale aumento di un ronzio non percepibile dall’udito umano.
Ecco, infine, tutti i segreti del più antico dolcificante della storia: il miele
- I primi contatti certi dell’uomo con le api risalgono a 15mila anni avanti Cristo come testimoniano alcune pitture murali rinvenute nella Spagna orientale e in Africa, che raffigurano la raccolta del miele. Questo dono della natura è stato per millenni l’unica sostanza dolcificante conosciuta.
- Nel miele sono presenti vari tipi di zuccheri, primo fra tutti il fruttosio, un buon numero di oligoelementi come rame, ferro, iodio, manganese e cromo, enzimi e vitamine, A, E, K, C, complesso B.
- Non mancano sostanze battericide e antibiotiche, che permettono al miele di essere conservato a lungo e ne giustificano l’utilizzo come disinfettante naturale.
5. Identikit di un’ape bottinatrice
Ape bottinatrice: così si chiama l’addetta alla raccolta di nettare, polline, propoli e acqua: ha il corpo rivestito da uno strato protettivo, provvisto di setole e peli ed è formato di tre parti: la testa, il torace e l’addome.
- La testa, di forma triangolare, è dotata di occhi compositi che le consentono una visione vicina ai 360° e di tre ocelli disposti sulla fronte che funzionano come celle fotoelettriche.
- Le antenne sono dotate di migliaia di sensilli, recettori sensibili agli odori, al calore, all’umidità.
- Le mandibole disposte ai lati della bocca modellano la cera che fuoriesce dalle ghiandole mandibolari e con essa costruiscono i favi.
- La proboscide, che fa parte del labbro inferiore, serve a raccogliere il nettare dei ori.
- Le zampe, costituite da una serie di segmenti articolati ricoperti di peli e setole, servono sia per la deambulazione sia per la raccolta del polline e per la pulizia del corpo da eventuali particelle estranee.
- Le ali sono membranose e sono formate da due sottili lamine sovrapposte e ravvicinate.
In Italia c’è un milione e mezzo di alveari
Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale del miele, nel nostro Paese ci sono poco più di 1 milione e 157 mila alveari censiti (con i non censiti si supera 1,5 milioni di arnie) condotti da circa 12mila produttori apistici e 40mila contadini apicoltori per autoconsumo.
Si producono 30 varietà diverse di miele monoflora, alle quali si affiancano sette “millefiori”. L’Italia è anche considerata tra i più importanti allevatori di api regine.