I dissapori tra quattro fratelli, riunitisi per festeggiare il Natale, sfociano nella decisione comune di far esplodere la propria casa d’origine (e, ahimè, gli anziani genitori), con una stufa a gas manomessa.
È il finale, dal sapore tragicomico, di Parenti serpenti, film di Mario Monicelli del 1992, in cui l’esasperazione per i contrasti famigliari viene portata all’eccesso.
Ma, anche nella realtà, le tensioni che riaffiorano con le tradizionali rimpatriate tra parenti fanno delle festività un periodo delicato. Infatti, che sia per via del fratello egocentrico, del genitore invadente o del cognato pettegolo, è difficile che in queste occasioni non ci sia qualche rospo da mandar giù. Tant’è che uno studio dello psicologo americano Leonard Felder ha concluso che il 75% di noi ha almeno un membro della famiglia che gli dà sui nervi.
Passate le Feste, i piccoli (o grandi) conflitti quotidiani con cui fare i conti di solito continuano. Che gli attriti coinvolgano la famiglia di provenienza, il partner oppure i colleghi, gestire le discussioni e fare pace mette alla prova l’autocontrollo, richiede consapevolezza di sé e buone abilità di comunicazione.
1. ANTICHI RANCORI
Chi ha relazioni familiari litigiose non ha motivo di sentirsi una pecora nera.
Uno studio coordinato dall’Università del Massachusetts, a Boston, ha indagato il rapporto che hanno adulti di mezza età con i propri genitori e figli scoprendo che, tra quelli che avevano contatti più regolari, molti definivano tali legami conflittuali o ambivalenti.
Solo il 27,7% delle relazioni genitore-figlio erano strette, con interazioni piuttosto frequenti, e allo stesso tempo armoniose. E non è raro che anche i fratelli, pur essendo ampiamente cresciuti, sentano ancora gelosie e rivalità, soprattutto se sono dello stesso genere e vicini di età, come è risultato da una ricerca dell’Università di Denver (Usa).
Le famiglie d’origine possono essere bombe a orologeria per i forti sentimenti che sono in ballo e perché gli episodi vissuti dell’infanzia, su cui si è definita la propria identità, sono sempre pronti a riemergere dalla cenere, dando la sensazione di restare incastrati in una specie di “giorno della marmotta” in cui si ripercorrono sempre le stesse cose.
Così, basta lo sguardo sfuggente di un genitore per ricordare le critiche malvissute da piccoli o il presunto favoritismo verso il fratello “preferito”.
E se tra figli c’è stata competizione per guadagnare l’apprezzamento dei grandi o stabilire chi era dominante, anche una breve esclamazione da parte di uno dei fratelli può essere sufficiente per accendere la miccia (“Ancora al centro dell’attenzione!”, “Ecco che si pavoneggia!”, “Ha sempre la verità in tasca!”).
2. DIFFERENZE TRA SIMILI
In più, la vicinanza che sentiamo coi famigliari rende frustrante constatare quanto in realtà si sia diversi, spiega Chris Logan, psicologa alla Southern Methodist University di Dallas: «Quando siamo tutti insieme, mangiamo lo stesso cibo, festeggiamo lo stesso evento, capita di concentrare la nostra attenzione su quelle cose che ci differenziano dagli altri», così per contrasto.
Poi, ci sono i parenti acquisiti, a cui non ci si aspetta di somigliare ma che, talvolta, sono visti come “invasori” di uno spazio intimo, con le loro caratteristiche potenzialmente irritanti.
Suoceri, cognati o compagni vari che, come i consanguinei, potrebbero avere opinioni e valori opposti ed essere portatori di “allergeni sociali”: piccoli comportamenti abituali che fanno uscire dai gangheri, così definiti da Michael Cunningham, psicologo dell’Università di Louisville.
Come parlare con la bocca piena, esprimersi ad alta voce, ridacchiare rumorosamente, schioccare le dita. Qualcuno, per esempio, avrà un parente che guarda regolarmente il telefono mentre gli si parla, uno che ripete sempre lo stesso genere di battute, un altro che pone immancabilmente le stesse domande.
Considerato che per le Feste non si è al meglio di sé (si mangia e si beve di più, si dorme di meno), tutto ciò può dare la sensazione di attraversare un campo minato.
3. ATTENZIONE AI PREGIUDIZI
Quindi, come uscire indenni dalle ricorrenze e, più in generale, dalle tensioni famigliari? Il primo passo è ricalibrare le aspettative, in senso più realistico. Il che significa non raccontarsi che “andrà tutto bene”, quando è probabile che qualcosa vada storto, ma neppure prepararsi a dissotterrare l’ascia di guerra.
«Se in auto, mentre andiamo da mamma e papà, diciamo al nostro coniuge “Guarda, Smedley non aspetterà ad attaccarci per questa cosa”, e due ore dopo Smedley tocca marginalmente la questione, probabilmente reagiremo in modo eccessivo e avremo lo stesso disaccordo che non abbiamo risolto negli ultimi 15 anni», sostiene Chris Logan.
Focalizzandosi sul presente, con apertura mentale, anziché immaginare il peggio, si guadagna in lucidità. Per esempio, si può cogliere se l’affermazione di quel famigliare, che tanto avrebbe potuto infastidire, in realtà era mossa da buone intenzioni.
E, magari, riconoscere la propria dose di responsabilità nel reagire con irritazione ogni volta che proferisce parola. Guardando con meraviglia, anziché disappunto, la varietà degli esseri umani a cui siamo legati. Magari proprio mentre sono lì, tutti assieme, seduti per Natale al nostro stesso tavolo.
In più, si può fare lo sforzo di mettersi nei panni dei propri famigliari, persino di quelli che scatenano gli istinti meno nobili: se facessero del proprio meglio, con le loro difficoltà e possibilità, e risentissero quanto noi della tensione?
«Avere ragione ci fa sentire forti, intelligenti, potenti, superiori o qualcosa di simile ma ciò non fa benealle relazioni. Anche quando abbiamo ragione, raramente è utile sottolinearlo. E in quelle rare occasioni in cui lo è, è molto meglio farlo con gentilezza, premura e rispetto. Dopo tutto, se facessi qualcosa di sbagliato, come preferiresti che ti parlassero?», dice Russ Harris (foto sotto), psicoterapeuta, autore del saggio La trappola della felicità (Erickson).
4. METTIAMOCI IN PAUSA
Secondo i dati raccolti negli Usa dall’American Psychological Association, il 44% delle donne e il 31% degli uomini dichiara livelli di stress più alti nel corso delle festività.
Con un incremento dei contrasti anche nella coppia. Un po’ per il desiderio che tutto fili liscio. Ma anche perché si passa più tempo assieme, il che non lascia scampo dai problemi nascosti sotto il tappeto nella routine quotidiana.
«Secondo uno studio, la coppia media avrà sette discussioni durante questo periodo», fa notare Christina Pay, docente alla Utah State University. Premesso che i conflitti di coppia sono inevitabili e necessari, molto dipende da come vengono affrontati, non solo a Natale.
John Gottman, professore emerito di psicologia all’Università di Washington, e la moglie e collega Julie Schwartz Gottman, che da 40 anni studiano le relazioni di coppia, hanno identificato alcuni dei litigi più comuni e le relative soluzioni. Uno di questi è il “diluvio”, caratterizzato dal sentirsi “inondati”, ovvero psicologicamente sopraffatti dal conflitto in atto. «Si entra in modalità “lotta o fuga”, in cui gli ormoni dello stress scorrono attraverso il corpo.
Non si riesce a pensare lucidamente. È uno stato terribile in cui trovarsi», afferma Julie Schwartz Gottman (foto sotto). In questi casi è consigliabile fare una pausa dal litigio e occuparsi di altro, per il lasso di tempo sufficiente a tornare sulla questione con la mente più distesa.
Capita anche che il confronto arrivi a un punto morto, poiché entrambi i partner restano fermi su posizioni apparentemente inconciliabili. Per affrontare situazioni come questa, i Gottman suggeriscono il “metodo bagel” (dal nome del panino a forma di ciambella): ciascun partner disegna due cerchi concentrici su un foglio, poi scrive nel cerchio interno tutti gli aspetti della questione su cui non può scendere a compromessi e in quello esterno ciò che, invece, è negoziabile.
Il passo successivo è confrontare i propri “bagel”, ponendosi domande a vicenda. In tal modo, si arriva alla comprensione dell’altro e quindi alla flessibilità necessaria a trovare un accordo».
5. EMOZIONI ALLO SCOPERTO
Poi, ci sono i conflitti che iniziano con ciò che i Gottman chiamano “lancio della bomba”: uno dei partner viene improvvisamente attaccato con accuse o critiche. Quando gli scontri partono così duramente, gli esiti non sono promettenti.
Neppure per il futuro della relazione, come risulta dalle ricerche dei due studiosi. L’ideale, per i Gottman, sarebbe rapportarsi all’altro secondo questa formula: “Sento (emozione) riguardo a (situazione/problema) e ho bisogno di (un’azione positiva e specifica che il partner può intraprendere per contribuire a migliorare la situazione)”.
In sostanza, si tratta di esprimere apertamente i propri bisogni, pensieri o sentimenti in modo pacato, rispettoso di sé e, al contempo, dell’altro. È ciò che viene chiamata “comunicazione assertiva”. Si contrappone alla comunicazione aggressiva (“Tu non capisci!”), a quella passiva (“Come vuoi tu”) e, infine, alla “passivo-aggressiva” (si rinuncia a parlare francamente ma, poi, la si fa pagare in qualche modo, per esempio tenendo il muso).
Svariati studi provano che l’assertività è un’abilità comunicativa efficace nell’affrontare i conflitti e riportare la pace, non solo nei rapporti più intimi, come quelli con il partner, ma anche con amici, conoscenti e colleghi. Tutto ciò implica una buona gestione delle proprie emozioni.
«Quando i problemi e le sfide sono di scarsa importanza e le nostre emozioni negative sono lievi, spesso è piuttosto facile evitare, distrarsi, sfuggire o sbarazzarsi di pensieri e sentimenti indesiderati. Ma più grandi sono le nostre sfide e più intense sono le nostre emozioni, minore sarà la nostra capacità di farlo», spiega Harris.
Quindi, se la posta in gioco è alta, tocca fare i conti con ciò che si prova. Per esempio, la rabbia che si avverte durante un diverbio viene spesso vissuta come una palla di fuoco di cui liberarsi prima possibile: così la si scaglia sul malcapitato interlocutore. Come se non si fosse liberi di decidere se, quando e come esprimere le proprie ragioni.
Ma c’è un altro modo con cui trattare questa “scomoda” emozione, per non arrivare a perdere le staffe oppure per deporre le armi, quando il conflitto è già sfuggito di mano: accettare che è del tutto naturale provarla e descrivere a noi stessi cosa si sente (“In quale parte del corpo l’avverto di più?”, “Com’è questa sensazione?”).
Ciò la rende sopportabile, meno dirompente: insomma, per un po’ può restare con noi, permettendoci di trovare una strada più conciliante, suggeriscono gli psicologi. Saperlo può aiutare anche a restare incolumi dai ritrovi famigliari: non si può decidere prima che emozioni provocherà quel parente che proprio non si sopporta.
Conviene metterlo in conto insieme alla consapevolezza che, pur mettendocela tutta, a Natale non sempre ci si sente, realmente, più buoni.