“Son tutte belle le mamme del mondo” recitava la canzone con cui Gino Latilla, in coppia con Giorgio Consolini, vinse il Festival di Sanremo nel 1954.
Ma sono tutte belle e buone davvero?
Le cattive madri prosperano nelle fiabe, nei miti e nella letteratura, per non parlare dei film e delle fiction odierne: sta uscendo proprio ora nelle nostre sale il film americano Bad moms, presentato con il sottotitolo italiano di Mamme molto cattive.
E nella realtà? Esistono davvero le mamme cattive o molto cattive? Sì. Sono le madri fredde, egocentriche e anaffettive che ignorano i figli o non rispondono ai loro bisogni, causando ferite psicologiche profonde.
Fragili e a volte anche violente, non sanno amare perché a loro volta non sono state amate. Alcune sono capaci di compiere sui propri figli azioni delittuose, dai maltrattamenti all’omicidio.
Oggi sta scomparendo la “mistica della maternità” che esaltava la madre pronta a immolarsi per il bene di marito e figli: il mestiere di mamma è dannatamente difficile e si sbaglia spesso.
Nessuna è perfetta, tantomeno santa e non è sempre necessario sacrificare se stesse per essere buone madri, tanto più che non è affatto detto che una madre sacrificale e devota abbia un buon figlio: Klara, la mamma di Adolf Hitler, per esempio, era una donna dolce e affettuosa che viveva solo per i figli.
Dobbiamo invece fare i conti con il fatto che non sempre una mamma impara ad amare i propri figli. La Storia ci narra di madri distratte, gelide, egoiste o decisamente cattive e ci ricorda che gli errori più gravi consistono nel considerare i propri figli un dovere sociale, un’estensione di sé o una fonte di gratificazione personale.
Mamme non si nasce: si diventa. Si tende a credere che esista l’istinto materno, ma non è così. Il fatto di procreare di per sé non implica la capacità di essere un buon genitore; procreazione e accudimento sono due cose ben distinte.
Esistono però tante mamme assenti: donne che delegano ad altri la cura dei figli e che non hanno tempo o energie per ascoltarli e comprenderne i bisogni. Oggi questa forma di assenza è socialmente accettata, ma può creare adolescenti fragili e adulti con difficoltà a trovare un partner.
I bambini hanno bisogno di sentire che la loro mamma è presente psicologicamente e fisicamente, e una “buona” mamma è la donna che cura non solo la qualità ma anche la quantità dell’accudimento materno. Una “buona” mamma è quella che c’è.
Le madri non sono sempre angeli: alcune infatti si rivelano egoiste, indifferenti e addirittura crudeli. Perché generare figli non significa essere capaci di amarli e di accudirli. Ecco alcuni esempi famosi..
1. Medea e Annamaria Franzoni
- Medea fu la prima: uccise i figli per far soffrire il padre
Ci sono mamme che uccidono i propri figli per vendicarsi o arrecare danno e dolore al marito: gli esperti parlano di Sindrome di Medea, ispirandosi alle vicende di una delle più tragiche figure dell’antica mitologia greca.
Medea, figlia di Eete, re della Colchide, s’innamora perdutamente di Giasone, a capo della spedizione degli Argonauti, alla ricerca del Vello d’oro.
In cambio dell’aiuto che riceve da lei, Giasone le promette di sposarla.
Passano 10 anni. Il re di Corinto, Creonte, decide di dare la figlia Glauce in sposa a Giasone, regalandogli insieme la successione al trono. Giasone accetta e abbandona Medea.
La donna, disperata, medita vendetta. Uccide con il veleno sia la giovane Glauce sia il padre Creonte; poi, piena d’odio, uccide i due figli avuti da Giasone il quale, per la disperazione, si suicida. - Annamaria Franzoni, la mamma di Cogne
Ha diviso l’Italia tra innocentisti e colpevolisti: nel 2002 Annamaria Franzoni, 30 anni, partecipa a molte trasmissioni televisive e piange in pubblico.
Non è una star, ma la prima sospettata, poi l’unica indiziata dell’omicidio del suo bambino di 3 anni, Samuele, massacrato il 30 gennaio 2002 a Montroz, frazione di Cogne. Viene giudicata colpevole e condannata in primo grado nel 2004; la condanna di colpevolezza è poi definitivamente confermata dalla Cassazione nel 2008 e gli italiani sono costretti a fare i conti con un ribaltamento degli stereotipi tradizionali.
Annamaria Franzoni non ha l’aspetto di un mostro né di una strega, non proviene da una realtà degradata e non è stata dichiarata incapace di intendere e di volere; è una moglie, una mamma e una donna come milioni di altre.
È una persona in difficoltà: evidentemente avere due bambini sani, una graziosa villetta, un marito affettuoso e un certo benessere economico non basta, né protegge dalla disperazione e dal buio della mente.
Il suo movente? Resterà sempre incomprensibile. La Cassazione rileva che mancano «sicure fonti di prova» e tra le ipotesi spicca quella per cui la donna «abbia agito in preda a uno stato passionale momentaneo», esasperata dall’ennesimo capriccio del bambino.
«L’impossibilità di individuare con certezza la causale o l’occasione che originò il gesto», osserva ancora la Suprema Corte, «non impedisce peraltro, data la concludenza del quadro indiziario, di ascriverne la responsabilità all’imputata»
2. Rose Fitzgerald Kennedy: ebbe 9 bambini ma non ne amò nessuno
Rose Elizabeth Kennedy nata Fitzgerald, sposò a 24 anni Joseph Patrick Kennedy da cui ebbe 9 figli, tra cui JFK, il futuro 35° Presidente degli Usa.
Il mondo la celebrò come “una madre esemplare”, ma la sua storia è ricca più di ombre che di luci.
Il marito fu un padre padrone, ambizioso ed esigente nei confronti dei figli, ma a suo modo presente; lei, invece, fu una madre distaccata, spesso assente, e una donna gelida che non abbracciò, non baciò né toccò mai i propri figli.
Animata da un cattolicesimo rigido e nevrotico, Rose (1890-1995) chiamava la sua famiglia my enterprise, la mia azienda: occuparsi di bambini piccoli era per lei un lavoro obbligato e frustrante e, quando poteva, cercava sollievo in lunghi viaggi lontano da casa.
Proprio perché psicologicamente e fisicamente distante dai figli, ci mise molto ad accettare il leggero deficit cognitivo della terzogenita Rosemary, causato da un’anossia al momento del parto.
Nonostante i limiti intellettuali, Rosemary crebbe come una bambina serena e sorridente, docile come la volevano entrambi i genitori.
Con l’adolescenza però le cose cambiarono: la ragazza, che nel frattempo era diventata bella e vivace, iniziò non solo ad avere sbalzi di umore, ma a ribellarsi e a sottrarsi alle rigide richieste dei genitori, che non era in grado di sostenere.
Nel 1941, il padre, timoroso che il comportamento della figlia potesse diventare un motivo di imbarazzo e di ostacolo nella sua carriera politica, decise di sottoporla a una lobotomia.
Senza avvisare la moglie Rose, il patriarca trascinò la figlia 23enne in ospedale e la fece operare d’autorità: l’intervento lasciò la ragazza completamente inebetita, con un’età mentale di due anni, incapace di parlare e camminare e del tutto incontinente.
La madre, anziché prendersene cura, la fece chiudere in un ospedale psichiatrico e si rifiutò di andarla a trovare per oltre 20 anni. Rosemary morì in una clinica privata nel 2005, senza aver mai recuperato un briciolo della sua vita rubata.
3. Per la contessa Castiglione il figlio le inviava troppe lettere
Virginia Oldoini (1837-1899) divenne celebre sia per la sfolgorante bellezza sia per il delicato incarico avuto da Cavour, in pieno Risorgimento: spiare il re di Francia Napoleone III, divenendone l’amante, e servire gli interessi del Regno favorendo l’Unità d’Italia.
Aristocratica, bionda e bellissima, fu definita “la più bella creatura che Dio ha messo al mondo”.
Alta, slanciata, aveva un corpo statuario e un viso perfetto, due grandi occhi color pervinca, il nasino all’insù, la bocca ben disegnata. Le donne la invidiavano, gli uomini non riuscivano a guardare altrove e lei, altera e vanitosa, non amò altri che se stessa.
Fu una “figlia ribelle e scoglionata” (come lei stessa si definì), si sposò giovanissima con il conte piemontese Francesco Verasis di Castiglione, fu una pessima moglie e una madre ancora peggiore.
Dal marito ebbe un solo figlio, Giorgio. Quando nel 1854 scoprì di essere incinta, pianse: la gravidanza l’avrebbe imbruttita e tenuta lontano da feste e salotti. Dopo il parto, mollò il bambino e riprese la vita mondana e le tresche amorose che amava così tanto.
Qualche anno dopo, il marito annotò sul proprio diario: «Ha poco amore per il figlio di cui si occupa solo nelle ore d’ozio, quasi fosse un giocattolo, lasciandolo sempre in mani mercenarie».
Quando Giorgio era piccolo, Virginia lo usò come un ornamento della propria bellezza: gli fece crescere i capelli biondi fino alla vita, lo vestì con trine e pizzi e lo presentò in società come una sorta di bambola preziosa.
Quando Giorgio raggiunse l’età scolare, lo parcheggiò in un collegio e se ne disinteressò. Un giorno, giunse persino a scrivere all’abate Maurette, padre spirituale del ragazzo: «Non posso passare la mie giornate a leggere le lettere di quel ragazzo. Fate in modo che mi scriva di meno».
Raggiunta la maggiore età, il figlio tentò di derubarla. Non sorprende, vero? Il ragazzo morì giovane, a 24 anni.
Neppure Virginia ebbe una bella fine: quando la sua bellezza svanì, si chiuse in un grande appartamento a Parigi da cui usciva solo di notte accompagnata dalle uniche creature che le riuscirono a stare accanto sino alla fine. Due cagnolini.
4. La mamma di Giacomo Leopardi e la mamma di Irène Némirovsky
- La mamma di Giacomo Leopardi invidiava chi perdeva i propri bambini
Adelaide Antici (1778-1857), madre di Giacomo Leopardi, il più importante poeta italiano dell’Ottocento, fu una donna arcigna, rigidissima, anaffettiva.
Nobile di nascita, si sposò giovane con il conte recanatese Monaldo Leopardi ed ebbe altri figli dopo Giacomo, il primogenito; pochi sopravvissero, ma lei non se ne rammaricò.
È lo stesso Giacomo a raccontarcelo: «Ho conosciuto intimamente una madre di famiglia che non solamente non compiangeva i genitori che perdevano i loro figli bambini, ma gl’invidiava intimamente e sinceramente, perché questi eran volati al paradiso senza pericoli, e avevan liberato i genitori dall’incomodo di mantenerli».
Religiosissima, bacchettona e ligia alle convenzioni della propria classe sociale, Adelaide Antici crebbe i figli con distacco, gravità e freddezza: Giacomo e i suoi fratelli non ricevettero mai alcun gesto d’affetto o tenerezza.
Donna dispotica e avara (il marito aveva sperperato gran parte del patrimonio familiare), sorvegliò i figli in tutte le loro attività, imponendo regole di vita austere e mortificanti.
«Lo sguardo di nostra madre ci accompagnava sempre, era l’unica sua carezza», ricorderà in seguito il secondogenito Carlo, mentre la figlia Paolina passerà tutta la vita a sentirsi oppressa.
La marchesa Adelaide si spense nel 1857: Giacomo era morto da 20 anni, il figlio Carlo s’era già allontanato e Paolina rinacque, sentendosi infine libera. - La mamma di Irène Némirovsky sbatté la porta in faccia alle nipoti sopravvissute ad Auschwitz
Irène Némirovsky è una celebrata scrittrice francese di origine ebraica, morta a 39 anni nel lager di Auschwitz.
Come ha scritto Benedetta Tobagi, «è stata l’angelo vendicatore dei bambini defraudati della propria infanzia da madri terribili».
In effetti, nei suoi racconti e romanzi la scrittrice crea personaggi di mamme crudeli, sempre incapaci di amare i propri bimbi. Traeva ispirazione dalla propria vita; la sua mamma, Anna Margulis detta “Fanny”, era una donna bella, egoista, capricciosa, ossessionata dai soldi, dalla vita mondana e dalla smania di sedurre. Non amò mai la figlia, né se ne prese cura e la fece crescere con il personale di servizio.
Irène e suo marito morirono ad Auschwitz dove furono deportati in tempi diversi; le loro due bambine si salvarono grazie all’aiuto offerto dagli editori parigini della scrittrice.
La madre di Irène, che era sopravvissuta, non le volle né le aiutò perché, così disse, «esistono degli istituti per bambini bisognosi».
5. Sissi, Joan Crawford e Joan Collins
- Sissi pensava a viaggiare mentre il suo figlio era lasciato al gelo per ore
Elisabetta d’Austria (1837-1898) è stata una donna complessa e irrequieta. Le 4 gravidanze le pesarono e con i bebé non ebbe quasi rapporti.
Sola, nervosa e insoddisfatta, cominciò a fumare, ad avere attacchi di panico e a essere ossessionata dalla bellezza: mangiava pochissimo, si pesava tre volte al giorno e seguiva un massacrante programma sportivo pur di non ingrassare.
A Rodolfo, il primogenito che si suiciderà a 31 anni, il padre volle impartire una rigidissima educazione militare: fin da piccolo veniva lasciato sotto la pioggia e al freddo per ore, svegliato di notte con colpi di pistola, abbandonato nei boschi di Linz perché imparasse ad arrangiarsi.
Quando Elisabetta lo scoprì, fece pressione perché le cose cambiassero, pur lasciando che crescesse tra i domestici e non facendosi alcun problema a passare gran parte della vita lontano da corte.
Per i biografi era egocentrica e anaffettiva; forse fu semplicemente una donna che non avrebbe dovuto sposarsi e avere figli, destino cui all’epoca nessuna poteva sottrarsi.
- Joan Crawford & Joan Collins, le cattive madri di Hollywood
Donne bellissime, bravissime, buonissime: così vogliono apparire le star di Hollywood, ma la realtà, a volte, assomiglia a un brutto film.
Nel novembre del 1978, Christina Crawford, figlia adottiva della diva Joan Crawford, pubblicò un libro autobiografico in cui svelava le nevrosi della madre e gli abusi subiti da lei e dal fratello Christopher durante l’infanzia.
Nel libro, intitolato Mammina cara, la star appare una donna instabile, ossessionata dal proprio inarrestabile declino, alcolizzata e capace di punire duramente i figli per ogni minima trasgressione.
Sacha Newley, unico figlio maschio dell’attrice inglese Joan Collins, nella sua biografia scrive che la madre era una donna narcisista, interessata solo alla carriera, capace di dormire tutto il giorno per brillare la sera.
«Volevo solo che mia madre mi amasse», ha scritto Sacha, ormai cinquantenne, «ma lei non mi ha mai abbracciato, nemmeno quando piangevo, e mi ha tenuto sempre a distanza».