Dalla pianta selvatica alle moderne varietà, il melo ha accompagnato la storia dell’uomo sia come frutto fresco, sia grazie ad alcuni suoi derivati come, per esempio, il sidro e la «apple pie», che è la classica torta di mele americana.
Tutti mangiamo mele, ma cosa sappiamo delle loro origini? Scopriamole insieme!
1. Il melo selvatico e antiche forme di conservazione
- Il melo selvatico europeo
Il melo selvatico europeo (Malus sylvestris) è un alberello, spesso cespuglioso, diffuso in tutta Europa, che vegeta ai margini dei boschi e nelle siepi campestri in singoli individui o in piccoli gruppi.
Solo raramente riesce a svilupparsi pienamente nella forma arborea: in questi casi può raggiungere una dimensione considerevole, con un’altezza anche superiore ai 10 metri e una longevità di oltre 100 anni.
Durante la fioritura, tra aprile e maggio, è facile individuarlo per i grandi fiori bianchi molto appariscenti, ma dopo è più difficile intravvederlo nella vegetazione.
Produce frutti relativamente piccoli (3-4 cm) che a maturità, tra luglio e settembre, sono di colore verde giallastro, duri, aspri e astringenti.
Però, se si lasciano sovrammaturare, specie dopo i primi geli autunnali, la loro polpa perde parte dell'astringenza e dell'acidità e diviene dolce e succosa.
Tutte queste caratteristiche non sfuggirono ai nostri più lontani antenati e così, dai tempi preistorici, il melo ha accompagnato la storia dell’uomo dando vita a diverse usanze e a forti tradizioni nel campo alimentare.
- Antiche forme di conservazione
Le antiche popolazioni europee, dapprima di cacciatori e raccoglitori poi, nel Neolitico (in Europa circa 8-9.000 anni fa), quelle dei primi agricoltori, raccoglievano e consumavano i frutti del melo selvatico insieme a tanti altri frutti polposi, quali quelli di sorbo, corniolo, sambuco e rovo.
I frutti polposi, però, sono difficili da conservare: pertanto o si consumano rapidamente o rischiano di essere guastati e resi tossici dalle muffe.
Per conservarli è possibile essiccarli al sole o nei forni, oppure trasformarli in bevande alcoliche, tramite la fermentazione operata dai lieviti, tra i quali il più «abile» è il lievito di birra (Saccharomyces cerevisiae).
2. Quando i frutti fermentano e la tradizione del cidro
- Quando i frutti fermentano
I lieviti che presiedono alla fermentazione alcolica, che è un processo del tutto spontaneo, svolgono il loro ciclo vitale alimentandosi di succhi vegetali zuccherini.
Quando vi è poca disponibilità di ossigeno, essi attivano un metabolismo «fermentativo» utilizzando gli zuccheri semplici presenti in frutti come la mela, dai quali traggono energia trasformandoli in alcol etilico e anidride carbonica.
Il processo di fermentazione da parte dei lieviti può essere favorito dall'uomo attraverso l’ammostamento, cioè dalla spremitura della polpa della frutta: in questo modo il succo che fuoriesce può essere più facilmente popolato dai lieviti e trasformato in una bevanda fermentata.
E verosimile che le prime fermentazioni siano avvenute spontaneamente entro otri di pelle nelle quali i nostri progenitori del Neolitico insaccavano la frutta raccolta nei boschi.
Però, una volta capito che con l'ammostatura e la fermentazione si manteneva buona parte del valore alimentare della frutta, grazie al potere conservante dell’alcol etilico, e si produceva una bevanda in grado di rendere la vita più piacevole per il suo potere inebriante, la vinificazione dei frutti e il consumo del fermentato entrarono a far parte delle usanze primarie delle antiche comunità neolitiche.
- La tradizione del sidro
La raccolta della frutta polposa ai fini della fermentazione innescò gradualmente il processo di coltivazione e di domesticazione di molte piante da frutto.
Nel caso del melo selvatico europeo, le ricerche archeologiche hanno rilevato come popolazioni del Nord Italia ne raccogliessero e consumassero i frutti spontanei già nel Neolitico antico (VII millennio a.C.).
Poi, pian piano, l’uomo favorì la crescita delle piante di melo selvatico e formò dei piccoli frutteti «semidomestici».
La disponibilità di mele, anche se ancora selvatiche, indusse a usare i frutti in vari modi, comportando la nascita della melicoltura da sidro.
Il termine «sidro», che è il nome con cui chiamiamo il vino ottenuto con le mele, deriva dal latino sicera, che era già utilizzato per distinguerlo dagli altri fermentati di frutta, denominati genericamente pomorum.
A sua volta sicera è correlato al greco sikera, cioè «bevanda intossicante», nel nostro caso «inebriante».
Come constatò anche Giulio Cesare nel corso delle sue campagne militari nella Gallia e in Britannia nella seconda metà del I secolo a.C., le popolazioni celtiche, che abitavano l'Europa centrale fin dal III millennio a.C., erano già grandi produttrici di sidro.
3. Melo Europeo, melo Asiatico e dall'antipasto al dolce
- Melo Europeo e melo Asiatico
Mentre le popolazioni europee utilizzavano ancora mele selvatiche per produrre il sidro, gli abitanti dell’Asia centrale selezionavano le migliori piante del melo selvatico locale (Malus sieversi).
A differenza del melo europeo, molto uniforme per le caratteristiche dei frutti sempre relativamente piccoli, duri, aspri e astringenti, i frutti del melo asiatico si distinguono per l'ampia variabilità nella pezzatura (da piccoli a molto grossi), nel colore (da verdi a giallastri e striati di rosso), nell'epoca di maturazione (da luglio a dicembre), nella consistenza della polpa (da succosa a carnosa) e nel sapore, che comunque, rispetto al melo europeo, risulta sempre molto più dolce a maturità.
Quello che ora coltiviamo come melo domestico è proprio il risultato della selezione iniziata nella preistoria a partire dai migliori meli selvatici dell’Asia centrale dai frutti dolci e molto polposi.
- Dall'antipasto al dolce
Il «significato biologico» dei frutti polposi è quello di favorire la dispersione dei semi in esso contenuti sfruttando l’ingestione da parte degli animali i quali, mangiando il frutto, ne diffondono i semi con le feci.
Una ricerca di biologia evolutiva ha recentemente evidenziato come il melo centroasiatico sia co-evoluto con l’orso, quando invece l’evoluzione del melo europeo era avvenuta con il concorso degli ungulati.
Gli orsi, a differenza di cervi, daini e caprioli, amano infatti il sapore dolce e non hanno difficoltà a ingerire frutti di grosse dimensioni, che anzi prediligono, mentre gli ungulati consumano regolarmente frutti aspri e piccoli, inadatti all’uomo.
Queste differenze nella storia evolutiva del melo europeo, che pertanto è restato allo stato selvatico, e di quello centroasiatico, dal quale sono derivati meli dai frutti buoni, possono spiegare perché nel tempo si sono selezionati quelli con mele grosse e dolci.
Dall’Asia centrale il melo domestico si è poi diffuso verso Oriente e verso Occidente e arrivò in Persia nel IIΙ secolo a.C., da dove raggiunse la Grecia e quindi l’Italia.
L’adozione della mela a fine pasto è stigmatizzata dall’espressione latina usata nella Roma imperiale, che poi rappresentava gran parte del mondo allora conosciuto: «ab ovo usque ad mala», ossia «dall’uovo fino alle mele». Oggi diremmo: «dall’antipasto al dolce».
4. Nel cuore dell'Europa e mele e cidro conquistano l'America
- Nel cuore dell'Europa
Quando, attraverso la mediazione romana, le mele domestiche centroasiatiche giunsero in Gallia e in Britannia sul volgere del I secolo a.C., vennero rapidamente introdotte in coltivazione dai contadini di queste regioni celtiche sia per la produzione di frutta da mensa che per la produzione del sidro.
Rispetto alle mele selvatiche europee, infatti, quelle domestiche centroasiatiche consentivano la produzione di un sidro migliore, tanto per la più elevata pezzatura dei frutti, quanto per la qualità superiore grazie al loro maggiore contenuto in zuccheri e la minore astringenza della polpa.
I Romani non solo introdussero le mele domestiche nel cuore dell’Europa, ma avviarono anche la coltivazione del melo secondo le tecniche proprie di una frutticoltura molto progredita, in particolare la propagazione per innesto e la potatura, sia di allevamento che di produzione, che loro stessi avevano acquisito in precedenza in Grecia, Siria e Persia.
La produzione di sidro si consolidò nel Medioevo e soprattutto nei secoli del Rinascimento in un’ampia regione dell’attuale Francia nord-occidentale, in particolare in Normandia, e nel Sud dell'Inghilterra.
Si trattava per lo più di produzioni artigianali operate dalle famiglie contadine per l'autoconsumo, al massimo per il mercato locale, ma a volte anche di grandi produzioni realizzate da aziende nobiliari o monastiche e destinate spesso verso mercati lontani.
In queste aziende venivano testate e selezionate le varietà di melo più adatte alla produzione di sidro, sia introducendo varietà da altre zone di produzione, sia selezionando nuove varietà da pian te locali nate da seme.
- Mele e cidro conquistano l'America
La maggior parte delle varietà di melo che troviamo oggi sul mercato sono state costituite nel Nuovo Mondo, specialmente in America e in Nuova Zelanda.
Il ruolo del Nord America in particolare è stato fondamentale; infatti, non appena i coloni nordeuropei, nel XVI secolo, vi si insediarono, introdussero le migliori varietà di melo che erano state selezionate in Europa.
Scoprirono però che le condizioni climatiche del Nord-Est americano non consentivano alle varietà europee un'adeguata produttività a causa dei freddi invernali e primaverili e della stagione vegetativa troppo breve.
Così i frutti venivano destinati soprattutto alla produzione di sidro e di aceto, anche se in parte erano utilizzati per il consumo fresco e per la cucina: al riguardo non possiamo non ricordare la apple pie, la classica torta di mele americana, tra le quali spicca nella nostra memoria quella preparata da nonna Papera di Walt Disney, ma piatto forte di ogni brava massaia della più profonda America rurale.
5. L'opera dei coloni Americani
Per facilitare rimpianto dei meleti da sidro, i coloni americani fecero ricorso alla propagazione per seme.
Scoprirono così, come già sapevano i contadini dell’Asia centrale, che i meli hanno una grande variabilità genetica e quindi, tra le piante propagate, numerose avevano frutti buoni, talvolta di qualità superiore alle varietà europee da poco introdotte; alcune, invece, davano frutti più cattivi, piccoli e aspri.
Una figura di spicco nella melicoltura americana è quella di John Chapman (1774-1847), detto appleseed «seme di melo»), un pioniere la cui «missione» consisteva proprio nel realizzare meleti con piante ottenute da seme quali avamposti della conquista del West, in particolare Ohio, Indiana e Illinois.
Grazie alla riproduzione per seme, nelle migliaia di ettari piantati da Chapman si manifestò l’enorme variabilità del melo che in Europa non si era mai espressa.
Come Chapman, vi furono altri coloni che piantarono meli da seme e che selezionarono le piante più adatte alle condizioni climatiche locali, realizzando un lavoro di miglioramento genetico del melo straordinario.
Le nuove mele americane giunsero presto anche in Europa, dove furono protagoniste dello sviluppo della frutticoltura nel Dopoguerra.
Golden Delicious e Red Delicious (con le sue innumerevoli variazioni clonali: Red Chief, Richared, Starking, Starkrimson, Starkspur, ecc.) furono presto tra le varietà più coltivate anche nelle nostre campagne e così le mele, grazie alla loro versatilità, continuano ad arricchire le tradizioni alimentari soprattutto delle cucine contadine.