Se alle prossime Olimpiadi di Tokyo 2021 scendessero in gara anche gli animali persino un super atleta come Usain Bolt farebbe una magra figura!
Il velocista giamaicano, il nuovo “figlio del vento”, che detiene i record mondiali sui 100 e 200 metri piani, arrancherebbe dietro a un comune gatto domestico.
Occorre fare però qualche precisazione. In realtà, gli animali-atleti sono capaci di grandi prestazioni, ma le loro specialità, le ragioni che li muovono e i premi stessi che ottengono sono molto diversi da quelli che normalmente si danno ai concorrenti di una gara sportiva.
Anche le regole del gioco sono differenti rispetto a quelle umane. Gli animali operano in diversi scenari e può capitare che gli stessi possano praticare più specialità nel medesimo contesto ambientale. Il premio non consiste in medaglie ma in beni, servizi, risorse, spazio e tempo.
Per prede e predatori a tutte le latitudini l’importante non è partecipare ma vincere. Non serve superare il record precedente, basta essere il migliore, o tra i migliori, e tutti i giorni. Per loro le Olimpiadi non finiscono mai.
E allora proviamo a immaginare, per il solo gusto del raffronto, un evento paradossale ma anche divertente: portiamo il mondo animale a Tokyo e vediamo che cosa succede.
1. Chi va più veloce?
Usain Bolt ha stabilito, il 16 agosto 2009 a Berlino, il record dei 100 metri correndo in 9,58 secondi a una media di 37,57 km/h, mentre la velocità media nel corso del record di 19,19 secondi sui 200 metri è stata di poco inferiore (37, 52 km/h).
Se valutiamo la fase di maggiore spinta (gli ultimi 50 metri di gara dei 100 piani) Bolt ha raggiunto una velocità massima di 45 km/h.
Un super record per la nostra specie, ma che vale nemmeno la metà dell’accelerazione di cui è capace un ghepardo (Acinonyx jubatus) che rincorre una gazzella.
Il carnivoro, grazie alla sua spina dorsale flessibile che permette falcate di 7-8 metri a ogni balzo, sprinta fino a 115,5 km/h: le ampie narici e i grandi polmoni, inoltre, gli permettono di prendere fiato velocemente, la coda agisce come bilanciere, favorendo l’equilibrio durante la corsa, mentre gli artigli semi-retrattili agevolano la presa sul terreno.
Senza considerare che la sua potenza muscolare è pari a quattrovolte quella dello sprinter giamaicano. Nel 2012, nello zoo di Cincinnati (Usa), una femmina di ghepardo in cattività di 11 anni, Sarah, è stata cronometrata su una pista certificata: ha corso i 100 metri in 5,95 secondi, alla velocità di 98 km/h.
Tra i mammiferi, meglio di Bolt farebbe anche l’antilocapra (Antilocapra americana), seconda solo al super felino africano, capace di toccare punte di 98 km/h, ma in grado di mantenere velocità costanti di 48 km/h.
Terza è la gazzella di Thompson che corre a 85 km/h. Quarti, a pari merito, taglierebbero il traguardo l’impala (Aepyceros melampus) e il leone (Panthera leo) a 80 km/h. A seguire ci sarebbero il levriero inglese greyhound, a 72,42 km/h, e il cavallo (Equus caballus) a 70,76 km/h.
Quindi giungerebbero la zebra (Equus quagga) e l’asino selvatico onagro (Equus hemionus) a 64 km/h; poi il cervo (Cervus elaphus) a 57 km/h, a un’incollatura la giraffa (Giraffa camelopardalis) che galoppa a 56 km/h.
A pari merito arriverebbero poi il gatto (Felis catus) e il facocero (Phacochoerus aethiopicus), che scattano a 48 km/h. E finalmente Homo sapiens a 45 km/h.
La spunterebbe, però, sull’elefante africano (Loxodonta africana), che quando attacca raggiunge i 40 km/h. Distaccato rispetto all’uomo ci sarebbe anche il maiale (Sus scrofa), che arriva a 18 km/h.
Ma ci sono anche animali che arriverebbero fuori tempo massimo e per misurare la loro corsa bisognerebbe ricorrere a un’unità di misura più appropriata, quella dei metri compiuti in un’ora di tempo: la gigantesca testuggine delle Galapagos (Geochelone elephantopus) va a 270 m/h, il bradipo tridattilo (Bradypus tridactylus) si muove a 240 m/h e infine la lentissima chiocciola (Helix pomatia) che arriva a 50 m/h.
2. 1, 2, 3... Jump!
Rimaniamo nel campo dell’Atletica leggera e passiamo a chi fa i balzi più straordinari.
Il re del salto in alto per noi umani è il cubano Javier Sotomayor, che nel 1993 ha superato 2,45 metri.
Meglio di un canguro rosso (Macropus rufus), il più grande marsupiale della Terra che tocca i due metri, ma nulla in confronto a un puma (Puma concolor), detto anche leone di montagna, che riesce a fare salti da sette metri e senza rincorsa.
Però il vero fuoriclasse della disciplina è un esserino comunissimo: la pulce del gatto (foto sotto). Ctenocephalides felis, saltando, può raggiungere altezze “record” di 33 centimetri: sembrerebbe poca cosa, ma è circa 165 volte la sua lunghezza (2 millimetri circa).
Per noi equivarrebbe a compiere un salto di oltre 300 metri. La sua capacità è data dalla resilina, una proteina elastica presente nei suoi arti.
Non riusciremmo a portare a casa una medaglia nemmeno nel salto in lungo. Il primatista mondiale è l’americano Mike Powell con 8,95 metri stabiliti a Tokyo nel 1991.
Una misura 4,7 volte l’altezza del “folletto di Filadelfia” (è il nomignolo di Powell), alto 1,88 metri, comparabile con quella di cui è capace un canguro rosso (9 metri), ma meno delle prestazioni dell’antilope saltante o springbok (Antidorcas marsupialis), che arriva a 10 metri e del leopardo delle nevi (Panthera uncia, foto sotto) che spicca balzi di oltre 13 metri.
Eppure non arriverebbero neppure loro sul podio: anche in questa disciplina sono i più piccoli a farla da padrone. Antilopi, leopardi e uomini rimangono di stucco di fronte al balzo di una cavalletta o a quello di una raganella (foto sotto), che misura 20 volte la lunghezza del loro corpo.
Medaglia d’argento sarebbe il ragno saltatore, che salta 50 volte la sua lunghezza, e al primo posto c’è ancora la pulce del gatto, 35 centimetri di jump, ma 175 volte la misura del suo corpicino: per un uomo l’impresa varrebbe 320 metri circa.
3. Chi è il più forte?
Passiamo al sollevamento pesi. Il record del mondo maschile (strappo più slancio) nella “categoria oltre i 105 kg” è di 473 chilogrammi, ottenuti dal georgiano Lasha Talakhadze, un omone alto 1,97 metri e pesante 157 chilogrammi, alle olimpiadi di Rio 2016. Tre volte il suo peso.
Ma ne deve mangiare di bistecche al sangue per raggiungere l’exploit di una formica tagliafoglie (Atta cephalotes), che può issare pesi 50 volte superiori al proprio, ma che, a sua volta, è niente di fronte alle prestazioni dell’inarrivabile scarabeo rinoceronte (Oryctes nasicornis, foto sotto), chiamato così per il corno sulla testa del maschio, che solleva 850 volte il peso del suo corpo.
Un uomo di 80 chilogrammi se avesse la stessa forza dovrebbe sollevare 68 tonnellate: l’equivalente di due grandi autoarticolati a pieno carico.
Nelle arti marziali campione assoluto di Taekwondo potrebbe essere il canguro rosso (Macropus rufus, foto sotto). Nessuno dà calci e pugni come fanno i maschi negli scontri per il diritto di accoppiamento con le femmine.
È il loro sistema di combattimento preferito: lo fanno anche da seduti, comodamente bilanciati sulla possente coda.
Nella nobile arte della boxe, invece, per la categoria pesi massimi regna incontrastato l’orso polare (Ursus maritimus, foto sotto). Femmine e cibo sono i motivi che spingono i maschi a fronteggiarsi come due wrestler.
Gli orsi sono super allenati, combattono fin da cuccioli, lo fanno per gioco e anche come preliminare prima dell’accoppiamento: alti più di tre metri, con una stazza tra i 400 e gli 800 chili, terrorizzerebbero chiunque, anche l’ex campione dei pesi massimi Mike Tyson diventato famoso per il morso all’orecchio di un rivale.
Nella categoria “pesi piuma”, il primato spetta alla canocchia pavone (Odontodactylus scyllarus), l’incontro peggiore che si possa fare sott’acqua se sei un piccolo crostaceo. Al posto dei guantoni ha due arti raptatori che sferrano colpi di forza pari a 500 Newton alla velocità di 23 metri al secondo: quanto basta per rompere il guscio della propria preda.
Per la categoria “pesi medi” c’è la lepre europea (Lepus europaeus, foto sotto): attenzione, perché i pugni volano anche dalle zampe delle femmine, se importunate e non sono disposte ad accoppiarsi.
4. Campioni di immersione
Infine, ecco gli sport acquatici.
Nel nuoto i pesci non hanno proprio rivali. Rispetto a loro Michael Phelps di Baltimora (considerato il più forte nuotatore della storia, vincitore di 66 ori tra olimpiadi, mondiali e giochi PanPacifici), il nostro Gregorio Paltrinieri (campione olimpico e mondiale in carica dei 1500 stile libero) o il francese Florent Manaudou (primatista mondiale sui 50 metri stile libero in vasca corta con 20,26 secondi) non hanno molto da vantarsi: non supererebbero la velocità di 8,88 chilometri orari, il record di sempre per la nostra specie.
Un tonno qualsiasi dell’Atlantico, con i suoi 90 chilometri all’ora, se li lascerebbe dietro in un battibaleno. E non è nemmeno il più veloce. Il pesce vela (gen. Istiophorus, foto sotto) è un vero siluro e le migliori prestazioni le ottiene quando caccia i banchi di sardine. Diffuso sia nell’Atlantico sia nell’Indopacifico, è stato visto guizzare fuori dall’acqua a una velocità di 110 chilometri orari.
Passiamo ora all’apnea. Se il record umano in assetto costante senza pinne è di 101 metri di profondità (William Trubridge, 2010) quello del capodoglio (Physeter catodon), un mammifero come noi, non è ben definito: alcuni esemplari sono stati osservati a duemila metri di profondità.
Le immersioni possono durare più di un’ora: a favorire la capacità di scendere in profondità è una concavità esterna del suo cranio che contiene un liquido grasso e ceroso, chiamato spermaceti, che ha una funzione idrostatica.
Ma il vero campione, secondo una recente ricerca, è lo zifio (foto sotto) che tocca i i 2.992 metri stando 137,5 minuti in apnea. Un record che ha strappato al leone marino (2.000-2.400 metri, mantenendo il fiato per circa 120 minuti).
E se volessimo goderci un po’ di nuoto sincronizzato basterebbe osservare le geometrie meravigliose di cui sono capaci i banchi dei pesci. Fluttuano nel mare come dense nuvole brulicanti di vita. Nembi, sfere giganti, addensamenti compatti di ogni forma, colore e dimensione si muovono nelle limpide acque in un sincronismo stupefacente.
Ora a destra. Ora a sinistra. Ora spezzandosi in più tronconi, ora aprendosi circolarmente per sfuggire squali, delfini, uccelli marini o subacquei molto invadenti.
Per poi tornare a stringersi in un gigantesco groviglio vivente. I banchi dei pesci sono l’organizzazione di squadra di sardine, sgombri, aringhe, salmoni, anguille, tonni, razze, barracuda. Qui lo spirito gregario è vincente.
La metà delle specie ittiche conosciute lo adotta durante l’infanzia e un quarto lo mette in pratica per tutta la vita. In campo c’è un principio fisico fondamentale. Nel mare vale la legge della sfera. Più il suo volume è grande, meno i singoli pesci sono esposti. Perché stare vicini e compatti riduce la loro esposizione ai pericoli esterni.
È un modo per difendersi? Certo. Ci sono anche motivazioni sociali. Stare insieme dà più opportunità sia per difendersi sia per procurarsi il cibo. Cento o mille occhi vedono meglio di due, per questo la tecnica del banco è usata anche da cacciatori come i barracuda.
Gli animali sono sempre in allerta e per cominciare usano il più veloce dei linguaggi: quello emozionale. Se un pesce si spaventa, la risposta è immediata. Tutti scappano via. Si muovono all’unisono grazie alla vista e al loro sistema sensoriale.
Come le formiche nel formicaio, ogni pesce costruisce il suo spazio nel gruppo individuando la concentrazione di feromoni dei compagni che ‘assapora’ con le papille gustative presenti su tutto il corpo. Per questo non collide mai con il compagno vicino anche in caso di fuga.
I banchi possono arrivare fino a tre miliardi di individui. I pesci si muovono come un solo gigantesco corpo animato a forma sferica. In questa maniera il predatore, delfino o squalo che sia, non riesce a individuare una singola preda e rimane disorientato. Una strategia vincente messa in atto da veri atleti.
5. Chi è agile e chi preciso
E arriviamo, infine, ai ginnasti. Piazzando un orango del Borneo (Pongo pygmaeus) tra le parallele asimmetriche ne vedremmo delle belle, ma il campionissimo delle specialità è il lemure sifaka (Propithecus, foto a sinistra) del Madagascar, in grado di lanciarsi da un ramo all’altro a dispetto di distanze superiori ai quattro metri, di camminare sui rami come su un’asse di equilibrio e di muoversi con bizzarre e artistiche movenze una volta a terra a causa della conformazione delle sue zampe.
Avremmo delle incredibili sorprese anche nel tiro con l’arco. Tra i tanti Chi sputa più in alto? Tra i campioni c’è il pesce arciere che è in grado di colpire un insetto a due metri di distanza animali che lanciano sul bersaglio veleni, gas o la stessa loro lingua appiccicosa, si distingue il pesce arciere (Toxotes chatareus, foto sotto), un cecchino in grado di colpire un insetto con uno sputo (un potente getto d’acqua emesso dalla bocca) a due metri di distanza, in modo da farlo cadere e mangiarlo. Certo, una gara di sputi tra esseri umani alle Olimpiadi è inimmaginabile, ma provate voi a fare altrettanto sott’acqua!
Insomma, non c’è dubbio che se potessimo assistere davvero alle Olimpiadi degli animali ne usciremo a dir poco entusiasti.
Ecco i 10 animali più veloci:
1. FALCO PELLEGRINO 324 km/h
In volo può mantenere senza sforzo un'andatura di 100-110 km/h
2. GHEPARDO 120 km/h
E' in grado di accelerare da 0 a 100 km/h in soli tre secondi
3. MARLIN (PESCE VELA) 110km/h
Nello scatto raggiunge la sua massima velocità
4. LIBELLULA DARNER 100 km/h
Le due paia di ali, allungate e membranose, le consentono un volo rapido e sicuro
5. ANTILOCAPRA 98 km/h
Ha polmoni e cuore grandi che l’aiutano ad andare veloce
6. GAZZELLA DI THOMSON 85 km/h
Un'altra caratteristica della specie è quella di fare grandi salti
7. IMPALA 80 km/h
Riesce a fare salti che raggiungono i 3 metri di altezza e i 10 metri di lunghezza
8. LEONE 80 km/h
Durante la caccia alterna gli agguati a scatti esplosivi di velocità
9. LEVRIERO INGLESE 72 km/h
In passato veniva utilizzato per la caccia, oggi corre nel cinodromi dietro lepri meccaniche
10. CAVALLO 70 km/h
Eccelle in particolar modo negli sprint sulle brevi distanze.