Le orche fanno parte della famiglia dei delfinidi, ma le loro dimensioni sono molto più grandi di quelle dei delfini propriamente detti e superano anche quelle dei globicefali.
Si tratta di mammiferi tozzi, gli unici a far parte del genere Orcinus, molto robusti, forti e imponenti.
Sono anche molto veloci e possono sfiorare in acqua l’impressionante velocità di 60 chilometri orari.
Questi mammiferi marini, presenti in tutti i mari del pianeta, dai Poli all’Equatore, hanno diverse culture e stili di vita. Scopriamoli insieme.
1. I “tipi” di orca
Qualcuno aveva pensato di averne scoperta una nuova già nel 1955, quando una dozzina di animali si erano spiaggiati in Nuova Zelanda; ma si pensò a un’anomalia genetica e la faccenda finì nel dimenticatoio.
Poi, mezzo secolo più tardi, furono riavvistate le stesse “strane” orche vicino alle isole Crozet, nell’Oceano Indiano meridionale.
Ma si è dovuto attendere fino a gennaio di quest’anno per vedere finalmente in video le orche di tipo “D”: più piccole delle “solite”, con la testa arrotondata, la pinna dorsale più appuntita e la chiazza bianca dietro all’occhio ridotta a una striscia.
Sono orche molto diverse, tanto che potrebbero essere una nuova specie, se le analisi del DNA lo confermeranno. Ma perché i ricercatori ci hanno messo così tanto a trovarle?
Innanzitutto, perché frequentano le acque più tempestose del pianeta: sono stati avvistate, infatti, a metà strada tra il Sudamerica e la Penisola Antartica.
Del resto, è in questa regione che si trovano anche gli altri “tipi” di orca: le “A”, fisicamente simili a quelle tipiche del nostro emisfero; le “B”, con parti un po’ giallastre, e le “C”, più piccole, con la chiazza ridotta dietro all’occhio.
Gli esemplari di grandi dimensioni osservati in natura erano maschi. Sembra superassero le 10 tonnellate e sfioravano la decina di metri di lunghezza. Le femmine molto grandi, osservate in natura, si attestavano su misure superiori agli 8 metri e su pesi superiori alle 7 tonnellate.
Più comunemente le dimensioni di questi cetacei si attestano, per gli esemplari maschi, su misure comprese tra i 7 e i 9 metri, mentre per gli esemplari femmina le misure sono comprese tra i 6 e gli 8 metri.
I pesi medi degli esemplari maschi si attestano intorno alle 6-7 tonnellate, mentre quelli degli esemplari femmina sono intorno alle 3-4 tonnellate. I piccoli appena nati pesano poco meno di due quintali e misurano già tra i due metri e i due metri e mezzo di lunghezza.
Quanto all’età, le orche femmine vivono generalmente più dei maschi. La vita media per una femmina si aggira intorno ai 50 anni e le orche più longeve sfiorano i 100 anni (85-90 anni). In un caso eccezionale un orca è vissuta sino a 103 anni.
I maschi vivono molto meno, mediamente circa 25-30 anni. I maschi più longevi hanno raggiunto età poco superiori al mezzo secolo 55-60 anni. Qualche maschio sembra abbia raggiunto i 90 anni circa di età.
2. Un grosso delfino
L’orca (Orcinus orca) è un mammifero marino, un odontocete, cioè un cetaceo con i denti (diversamente da balene e balenottere che hanno i fanoni) ed è, a tutti gli effetti, un grosso delfino.
I maschi sono più grandi delle femmine, ma soprattutto si distinguono dall’enorme pinna dorsale, che può essere alta fino a 1,8 metri.
Le orche più conosciute non sono quelle delle acque antartiche, bensì quelle del Pacifico, a cavallo tra Stati Uniti e Canada.
Anche qui non c’è solo un tipo di orca, ma tre: le “offshore” (di alto mare), le transienti (che vanno e vengono) e le residenti (stabili nella zona costiera).
1) Le orche di alto mare sono più piccole e formano gruppi molto folti, fino a 60-70 individui. Rimasti per molto tempo sconosciuti, i gruppi di alto mare, con dimensioni massime pari a 6,7 metri, “scoperti” ufficialmente nel 1988, sono comunque una parte cospicua delle orche del Pacifico del Nord Est e costituiscono almeno un terzo della popolazione totale in questa zona.
Gran parte di esse sono state osservate in Canada (Vancouver). Queste orche sembrerebbero mediamente più piccole, con le femmine dalle pinne dorsali più arcuate nella parte posteriore e con le punte arrotondate.
Queste orche vivono raggruppate in grandi gruppi, formati da decine di individui (15-85), e talvolta in gruppi enormi, costituiti da qualche centinaio di esemplari, sino a circa 200.
Si cibano prevalentemente di pesci pelagici, soprattutto di giovanili di specie di dimensioni medie riuniti in banchi.
2) Le transienti, invece, sono le tipiche “killer whales” (cioé balene assassine), il cui nome poco rassicurante deriva dal fatto che si cibano di foche, otarie, a volte anche di piccoli di balenottera o megattere.
Queste orche, con dimensioni massime pari a 8 metri, si spostano in un tratto di mare ampio, ma sempre lungo la costa. Per esempio esistono esemplari che dall’Alaska Meridionale sono stati osservati in California.
Gli esemplari formano piccoli gruppetti costituiti da alcuni animali (2-7) e i legami famigliari non sono così marcati come nei gruppi di “residenti”. Nella dieta di questi cetacei finiscono soprattutto mammiferi marini e poche altre specie.
3) Le orche “residenti”, con dimensioni massime pari a 7,2 metri, sono di fatto quelle che si osservano con maggiore facilità e per questo risultano quelle che sono state studiate al meglio.
In questo gruppo le femmine mostrano pinne dorsali con le punte arrotondate e la macchia grigio chiaro sul dorso formata in ogni fianco da due linee sottili.
I Maschi mostrano pinne dorsali imponenti che sembrano rivolte verso l’avanti perché l’angolo formato tra il retro della pinna e il dorso è superiore a 90° e la punta è effettivamente ripiegata verso l’avanti.
Queste orche formano gruppi famigliari e sono solite spostarsi in modo logico, ma sempre all’interno di un certo specchio acqueo. La loro dieta è costituita da pesce e da calamari in parte.
Utilizzano un linguaggio complesso per comunicare tra loro e si possono osservare talvolta vicine ad altri animali, come foche e delfini, che sono invece considerati prede dalle orche transienti.
Le diverse forme sono i cosiddetti “eco-tipi”, dove “eco” sta per ecologia, ovvero il modo di rapportarsi con l’ambiente in cui vivono. In tutto si conoscono almeno 12 eco-tipi diversi nel mondo. Si distinguono fisicamente, ma soprattutto hanno vere e proprie culture diverse.
3. Famiglie numerose
Nell’emisfero australe, le orche "A" cacciano le balenottere minori, le "B" sono specializzate nella caccia ai pinnipedi, le "C", invece, mangiano pesci.
Le differenti abitudini alimentari condizionano molti aspetti dello stile di vita di questi mammiferi marini.
Per esempio, nel Pacifico le orche piscivore chiacchierano allegramente, mentre quelle che cacciano altri mammiferi sono molto più silenziose, per non farsi sentire dalle prede.
Le “D”, studiate con gli idrofoni, hanno confermato la regola, lasciando i ricercatori senza nemmeno la registrazione di un fischio, tipico invece delle orche residenti del Pacifico, studiate ormai da decenni.
Ogni gruppo ha un repertorio di vocalizzazioni particolare, veri e propri dialetti, che riflettono la parte forse più intrigante di questi cetacei, cioè come è organizzata la loro società.
Le orche formano branchi stabili e matriarcali, cioè sia maschi sia femmine vivono tutta la vita nel gruppo della mamma.
Di conseguenza, una famiglia (“pod” in inglese) è composta dalla nonna, o magari bisnonna, e dai suoi figli e nipoti. I membri di ogni branco, quindi, si conoscono letteralmente da una vita.
Le orche residenti tra l’isola di Vancouver e quella di San Juan sono tra i cetacei meglio conosciuti al mondo. Gli individui si distinguono facilmente da vari segni sul corpo, spesso utilizzabili come un’impronta digitale.
Se partecipate a un’uscita di whale watching, la guida vi saprà dire di ogni orca a che pod appartiene, chi sono mamma, figli, fratelli.
Nessun rischio di vederle attaccare brutalmente qualche foca: a differenza delle transienti, mangiano solo salmoni.
4. Anche nel Mediterraneo
Si dice che le orche siano i mammiferi più diffusi sul pianeta, dopo l’uomo.
Non in termini di numero, certo, ma di presenza: dai Poli all’Equatore. E nel Mediterraneo?
Anche se l’orca non è annoverata fra le specie regolari dei nostri mari, dalla fine dell’Ottocento si contano almeno una trentina di avvistamenti: qualcuna, di tanto in tanto, si fa un giro dalle nostre parti.
Con ogni probabilità questi individui provengono dalla popolazione dello Stretto di Gibilterra: ci sono infatti cinque famiglie di orche, per un totale di una quarantina di individui, meno famose delle beniamine americane ma che sono ben più vicine a noi di quanto immaginiamo.
Fanno la spola tra l’Atlantico e le acque dello Stretto dove compaiono all’inizio dell’estate, in coincidenza con la migrazione del tonno rosso, la loro principale preda.
Quest’ultimo, però, è in grave declino perché pescato eccessivamente. E questa è una brutta notizia per le “nostre” orche. Così come non se la passano affatto bene quelle del Pacifico.
Dagli anni Novanta del secolo scorso si sono ridotte da 100 a 75 e per tre anni di fila non è sopravvissuto un solo piccolo. Un guaio non solo per chi ha a cuore il benessere degli animali e la biodiversità del pianeta, ma anche per l’industria del whale watching locale.
Perché accade tutto questo? Perché anche i salmoni sono stati pescati troppo, senza il minimo riguardo per le orche. Risultato: i cetacei non trovano più da mangiare.
5. In pericolo per i veleni
C’è chi ha previsto che la metà delle orche del mondo rischi seriamente di scomparire.
Sono sotto accusa soprattutto i PCB (policlorobifenili), molto usati fino a pochi anni fa nell’industria, per esempio dei lubrificanti e delle vernici.
Si accumulano nei tessuti degli organismi viventi, da cui non vengono mai eliminati, se non attraverso il passaggio ai piccoli con il latte.
I cetacei hanno uno strato di grasso che li protegge dal freddo e sono, quindi, particolarmente colpiti da questo tipo di contaminante.
Anche se oggi i PCB sono stati messi al bando, le orche, che vivono fino a 60-70 anni e più, ne hanno accumulato una gran quantità; se non hanno abbastanza da mangiare, l’organismo “demolisce” le riserve di grasso, mettendo così in circolazione i veleni prima bloccati.
Gli effetti più tipici sono una minore difesa contro le malattie e la riduzione della fertilità. In alcune zone il problema di accumulo eccessivo di queste sostanze si manifesta già nelle foche che vengono predate dalle orche.
In esse provocano problemi di salute e riproduttivi, agendo così due volte sulle orche; oltre ad avvelenare direttamente i cetacei, i PCB, limitando la riproduzione dei pinnipedi, riducono nel tempo anche gli stock di prede delle orche.
In Alaska, i PCB si accumulano nei tessuti dei salmoni e di conseguenza anche nel grasso delle orche. La stessa cosa avviene per le orche della Norvegia.
Il problema esiste soprattutto quando le orche sono costrette per fame a bruciare il grasso immagazzinato sotto la cute, ricco di inquinanti che finiscono nel sangue, ridistribuendosi nell’organismo.
Riusciranno i delfini bianchi e neri a sopravvivere almeno fino a quando avremo capito quante specie e quante forme ne esistono al mondo? È quello che possiamo solo augurarci.