Le pandemie colpiscono anche gli animali: ecco le specie a rischio

Tutti gli animali sono possibili bersagli di virus e batteri che hanno già causato l’estinzione di diverse specie.

Le previsioni non sono buone: complici il surriscaldamento globale e la riduzione degli habitat, le epidemie sono in espansione in tutto il pianeta!

I virus non uccidono solo gli uomini ma anche gli animali. Alcuni uccelli, per esempio, sono flagellati da continue causate da questi killer, come il gravissimo virus del Nilo occidentale che provoca un’encefalite mortale, cioè un’infiammazione del sistema cerebrale i cui sintomi sono simili a quelli dell’influenza.

Ci sono poi i virus che colpiscono anfibi, rettili, pesci e mammiferi. Alcuni di essi, come il virus del Nilo, non fanno differenza tra specie e colpiscono anche l’uomo. Quanti di voi ne hanno sentito già parlare? Pochi, immaginiamo.

Eppure, alcuni di questi pericolosi patogeni potrebbero in futuro attaccarci come è accaduto per il Coronavirus, le cui sorgenti naturali sono i pipistrelli, anche se non solo. Per ora questi virus hanno decimato popolazioni fragili di animali a rischio.

 

Secondo uno studio della IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura), infatti, il 4 per cento delle oltre 700 estinzioni di specie animali e vegetali che si sono verificate nel secolo scorso erano collegate a pandemie.

Ma il dato non è confortante: nel nuovo millennio le epidemie sono già state riconosciute come un fattore importante nel declino di molti animali.

Alcune di esse sono vecchie conoscenze (come la peste, che ora colpisce il furetto dai piedi neri), altre sono totalmente nuove (come la chitridiomicosi, una malattia scoperta poco più di vent’anni fa e associata all’azione di un fungo che provoca morie di tritoni e salamandre in tutto il mondo). Occorre dunque tenerle in attenta considerazione.

Nella fotos sotto, il furetto dai piedi neri (Mustela nigripes) è tra le principali vittime della peste selvatica, causata dal batterio Gram-negativo Yersinia pestis. I sintomi che annunciano questa grave malattia sono disturbi respiratori e digestivi spesso seguiti dalla morte. È probabile che il batterio non colpisca direttamente i furetti, ma piuttosto i cani della prateria, di cui essi si alimentano.

 

1. I virus arrivano anche sulle Alpi

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«Non esiste una specie animale che non possa essere colpita dai virus. La loro funzione primaria, d’altra parte, è proprio quella di controllare la consistenza numerica delle popolazioni che si stanno espandendo e aumentano la pressione sull’ambiente», spiega Mauro Delogu, virologo e direttore del laboratorio di ecologia dei patogeni dell’Università di Bologna.

«Di recente, alcuni di questi virus naturali sono stati favoriti dal cambiamento delle condizioni climatiche. Un caso esemplare in Italia riguarda il gipeto, il più grande avvoltoio europeo.
È stato reintrodotto sulle Alpi all’inizio del Duemila, dopo essere del tutto scomparso dalle nostre montagne ai primi del Novecento. Le quote dove viveva questo uccello in passato erano proibitive per molti insetti come per esempio la comune zanzara Culex pipiens, che è il vettore del virus del Nilo occidentale. 

Oggi invece, con il riscaldamento globale, questi animaletti che pungono anche noi si sono adattati perfettamente a stare in montagna e sono diventati una fonte di infezione anche per il minacciato gipeto.
Il virus del Nilo occidentale è infatti in grado di moltiplicarsi nell’apparato digerente della zanzara, che funziona come una sorta di “cassaforte biologica” dove niente disturba la riproduzione».

Nella foto sotto, il gipeto è vittima del virus del Nilo occidentale, che provoca un’encefalite mortale.

 

Questi virus sono molto eclettici perché sfruttano a loro favore anche una minima variazione dell’ambiente. Un altro caso riguarda il virus della rabbia. A luglio dell’anno scorso, ad Arezzo in Toscana, un gatto manifesta i primi sintomi della malattia: aggredisce e graffia la padrona e si comporta come se fosse impazzito.

Dopo qualche giorno, muore. L’autopsia veterinaria rivela che l’animale aveva contratto il Lyssavirus, responsabile della malattia della rabbia.

Le indagini epidemiologiche hanno poi messo in luce che vicino al giardino dove il gatto viveva, c’era in passato un canale a cielo aperto, successivamente ricoperto da una strada.

Ma nel sottosuolo erano rimaste delle piccole grotte che hanno creato l’ambiente ideale per una colonia di piccoli pipistrelli migratori del Caucaso in grado di trasmettere la rabbia anche con un semplice morso.

La vicenda ha dimostrato come nemmeno gli animali domestici siano al riparo da questi virus vecchi come il mondo.

 

2. L’influenza e il vaiolo aviari

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Le variazioni dell’ambiente, spesso provocate dall’uomo, e la riduzione degli habitat riservati alla fauna selvatica sono all’origine anche dell’influenza aviaria, una malattia infettiva in grado di contagiare quasi tutte le specie di uccelli.

«Ci siamo chiesti come sia stato possibile che un virus partito da Hong Kong sia potuto arrivare in Europa, cioè come abbia fatto a viaggiare per migliaia di chilometri», dice ancora il virologo dell’Università di Bologna che ha partecipato all’indagine internazionale su questa infezione.

«La risposta è che questo virus si aggrappa al piumaggio degli uccelli, compresi quelli migratori, e così si diffonde nelle zone dove questi animali sostano nei loro spostamenti stagionali, creando focolai difficilmente controllabili».

 

Un altro virus infame è quello del vaiolo aviario che ha portato all’estinzione di molti uccelli hawaiani, come l’akialoa dell’isola di Kuai (Akialoa stejnegeri, foto sotto), un passero molto colorato con un becco a sciabola che non è stato più osservato in natura dal 1969.

Ha sintomi simili a quelli della varicella degli esseri umani: provoca escoriazioni e piccole ferite sulle parti della pelle dove non ci sono piume, come per esempio le zampe o la parte anteriore del cranio.

Può essere mortale se raggiunge anche le aree più esterne del sistema respiratorio, cioè bocca e gola.

 

3. I pesci vanno fuori di testa

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Anche i pesci non se la passano bene. Sia la trota arcobaleno, una specie in via di estinzione, sia il salmone americano sono colpiti dal Novirhabdovirus, un patogeno che provoca la cosiddetta NEI, acronimo per Necrosi Ematopoietica Infettiva.

È una sorta di schizofrenia (con un tasso di mortalità compreso tra il 90 e il 95 per cento) che porta l’animale ad alternare fasi di letargia ad altre di iperattività, in cui nuota per ore a velocità sostenuta in senso circolare.

La malattia è presente negli allevamenti e colpisce soprattutto gli esemplari più giovani, chiamati avannotti, mentre i pesci che vivono in natura sono di solito asintomatici ma possono trasmettere il virus.

Qua sotto, una trota arcobaleno. La specie è vittima del Novirhabdovirus, che provoca la NEI: una sorta di schizofrenia.

 

E gli anfibi? Nemmeno gli anfibi sono esenti dalle epidemie. I Ranavirus, per esempio, sono patogeni emergenti a livello globale e hanno decimato specie già minacciate come la rana rossa della California e la salamandra tigre di Sonora.

Questi virus causano una morte lenta dei tessuti cellulari, con i quali sono fatti gli organi dell’animale.

Quando l’infezione avanza si verifica un’emorragia interna che di solito non lascia scampo. I Ranavirus tendono ad aggredire le larve piuttosto degli adulti.

Qua sotto, la rana rossa è vittima del Ranavirus che attacca i tessuti cellulari degli organi vitali portando l’animale a morte.

 

4. Nipah: è tra gli 8 più pericolosi

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Un virus che ha fatto drizzare le antenne a mezzo mondo è il Nipah: scoperto nel 1999 in Malesia e a Singapore, è stato inserito dall’Organizzazione mondiale della sanità tra gli otto virus più pericolosi in assoluto, al pari dello zika o dell’ebola.

Il Nipah provoca un’infezione del sistema respiratorio con sintomi simili a quelli di un’influenza.

La malattia interessa sia gli animali sia l’uomo: per il momento è rara, ma in grado di contagiare specie molto diverse tra loro.

Gli ospiti naturali e i vettori principali del Nipah sono i pipistrelli della frutta, che vivono in un’area molto vasta del pianeta comprendente Australia, Malesia, Indonesia, Filippine ed alcune isole del Pacifico.

Non è ancora ben chiaro come avvenga la trasmissione, ma per contagiare l’uomo è necessario un contatto con i tessuti o con le secrezioni degli animali infetti.

 





5. Cani, gatti e maiali possono trasmetterci il coronavirus

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Si allunga la lista dei Coronavirus naturali in grado di contagiarci.

Di recente lo studio e la sorveglianza di virologi e microbiologi hanno portato all’identificazione di altri due Coronavirus capaci di colpire l’essere umano, ma non ancora in grado di trasmettersi da uomo a uomo.

Isolato in otto bambini malesi, è una chimera di quattro Coronavirus, due dei quali finora identificati nei cani, uno nei gatti e l’ultimo nei maiali.

 

Ora il Coronavirus può attaccare i gorilla! Gorilla e scimpanzé africani sono i possibili nuovi bersagli del Coronavirus.

Sono geneticamente talmente simili all’uomo che sarebbe sufficiente un contatto ravvicinato con un turista infetto, senza mascherina, per esserne contagiati.

Un po’ come è accaduto in Danimarca con i visoni, che hanno già nel loro organismo i recettori del coronavirus e che sono stati infettati con ogni probabilità da una o più persone positive all’infezione.

 








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