Certo non può venire in mente ai bambini che dispongono le statuine nel presepe, o agli adulti tornati bambini che li aiutano, che dietro quei piccoli gesti, quelle ingenue figurine in gesso (oggi più spesso in plastica) ci sono secoli di studi biblici, astronomici, iconografici ed etnologici che hanno cercato di ricostruire la verità storica degli eventi lì rappresentati.
Dalla stella cometa che brilla sulla capanna della Natività, all’identità dei Magi, ai loro doni, ogni particolare nei secoli è stato minuziosamente esaminato da legioni di studiosi, mentre la scena veniva raffigurata in migliaia di affreschi, quadri, opere d’arte, libri che hanno tramandato un’immagine forse lontana dalla realtà ma certamente suggestiva.
E se il primo scoglio nel contesto della tradizione cristiana è rappresentato dal momento stesso della nascita di Gesù, avvenuta secondo alcuni addirittura a Pasqua e secondo altri ben prima dell’anno 1, qui ci limiteremo ad osservare più da vicino quei tre personaggi riccamente abbigliati che si avvicinano alla mangiatoia con i loro preziosi scrigni, come vuole la tradizione.
Ma chi erano veramente i Magi che entrano trionfalmente in ogni presepe il 6 gennaio, giorno dell’Epifania? Quanti erano, da dove venivano e perché portarono proprio quei doni a Gesù Bambino? E come trovarono la capanna che ospitava la Sacra Famiglia?
Secoli di studi non hanno chiarito il mistero delle loro origini, che ha dato vita, però, a meravigliose opere d’arte.
1. IL VANGELO DI MATTEO
Ha dell’incredibile il successo bimillenario di personaggi entrati nell’immaginario collettivo grazie a soli dodici versetti del secondo capitolo del Vangelo di Matteo, che è l’unica fonte cristiana canonica a citare l’episodio.
«Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e dicevano: – Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».
Sotto, un'incisione rinvenuta in una catacomba paleocristiana con l’adorazione dei Magi. La scritta con il nome della defunta, recita in latino: "Severa, che tu possa vivere in Dio”.
Erode, re della Giudea romana, apparentemente ignaro dell’accaduto, sorpreso e turbato, li ricevette e «si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella» quindi li inviò a cercare il Bambino. Ma, ingannandoli, chiese loro di tornare a dirgli dove trovarlo, «affinché anche lui potesse adorarlo».
Partirono: «Ed ecco la stella (o astér), che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra».
In seguito, però, i Magi, avvertiti in sogno di non tornare da Erode, presero un’altra strada per il ritorno, prima che il re inferocito ordinasse la Strage degli Innocenti. Tutto qui ciò che dice Matteo: «alcuni Magi giunsero da oriente».
Ma perché usò proprio quel termine, Magi? La parola “magi” era ben conosciuta nell’antichità. Quasi cinquecento anni prima che Matteo scrivesse il suo Vangelo, lo storico greco Erodoto li descriveva come appartenenti a una delle sei tribù dei Medi, un popolo iranico stanziato nell’odierno Iran.
Erano una casta sacerdotale dedita al Mazdeismo, un antico culto che venerava il dio unico Ahura Mazda, il Saggio Signore, creatore del mondo e dell’uomo, che avrebbe giudicato alla fine dei tempi. Il culto, riformato nel VI secolo a.C. da Zarathustra (o Zoroastro), prevedeva l’avvento di un Saoshyant o Salvatore, nato da una vergine discendente del profeta.
I sacerdoti zoroastriani erano esperti astronomi-astrologi, studiosi di testi antichi, interpreti di sogni: plausibile quindi che si fossero messi in viaggio per raggiungere quel Salvatore atteso, e di cui avevano “visto” i segni premonitori.
Il racconto potrebbe avere, insomma, un fondo di verità e Matteo l’avrebbe riferito, anche se si trattava di un episodio – per così dire – scomodo: l’Antico Testamento condannava ogni pratica magica, i Persiani erano nemici dei Romani, Gesù non avrebbe guadagnato nulla da un simile “omaggio”, quindi l’evangelista non avrebbe avuto alcun motivo per inventarsi la storia.
Sotto, i tre Magi in viaggio scolpiti sulla facciata del Duomo di Fidenza..
2. PERCHÉ PROPRIO RE?
Sono alcuni passi profetici dell’Antico Testamento ma soprattutto i Vangeli apocrifi, molto diffusi anticamente, a fornire con qualche forzatura i dettagli che trasformeranno i Magi da sacerdoti-astronomi a veri e propri Re, con tanto di dromedari e seguito.
Alcuni studiosi hanno rintracciato le loro insegne regali nel Salmo LXXI: «i re di Tharsis e le isole porteranno doni, i re degli arabi e Saba offriranno doni» mentre per il profeta Isaia: «Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere».
E nelle parole del cupo profeta si possono trovare non solo riferimenti ai celebri doni ma persino al bue e all’asinello, mai menzionati da Matteo: «Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende». Sotto, il corteo dei Magi, raffigurati con l'aureola, in un dipinto del Sassetta (metà XV sec.).
Le più antiche rappresentazioni dei Magi si trovano nelle catacombe romane di Priscilla (II-III secolo), lungo la via Salaria. Qui sono raffigurati come Persiani, con il loro abito tradizionale: una tunica corta, pantaloni aderenti e berretto frigio.
Infatti, nel 614, quando la Palestina fu occupata dall’esercito del re Cosroe II, quasi tutte le chiese cristiane furono distrutte, ma non la Basilica della Natività di Betlemme: si narra che fu risparmiata proprio perché sulla sua facciata un mosaico raffigurava i Magi in abiti persiani.
Sotto, Adorazione dei Magi, II secolo, affresco, Catacombe di Priscilla, Roma.
Nell’arte bizantina verranno poi rappresentati come nobili della corte imperiale e così, dal Medioevo in poi, saranno raffigurati dall’iconografia cristiana d’Occidente: come nei mosaici di Pietro Cavallini a Santa Maria in Trastevere, a Roma.
E perché proprio tre? Il numero tre – da sempre considerato fortemente simbolico, anche nelle Scritture – starebbe a indicare che tutti e tre i continenti, cioè tutto il mondo allora conosciuto, avesse reso omaggio al Salvatore.
Ipotesi confermata dalla presenza di un uomo di carnagione scura, in rappresentanza dei popoli d’Africa.
Sotto, Adorazione dei Magi nel sarcofago infantile a fregio continuo (o frammento di attico di sarcofago), IV secolo, Museo Pio Cristiano dei Musei Vaticani.
Per altri, il numero tre si ricava da quello dei doni citati – oro, incenso e mirra – mentre una tradizione bizantina fa riferimento alle tre età dell’uomo: giovinezza, maturità, vecchiaia. Per gli Ortodossi d’oriente, invece, i Magi erano dodici.
Altrettanto difficile capire da dove vengano i loro nomi. Baldassarre potrebbe avere un’origine babilonese-caldea, Gaspare iranica, Melchiorre una provenienza fenicia.
Per altri Melchior era re d’Arabia, Balthazar d’Etiopia mentre Caspar era re di Tarso. Ma qui le interpretazioni e le leggende dei vari popoli sono tanto diverse, che ci si perde.
Sotto, Adorazione dei Magi, inizio VI secolo, mosaico, Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.
3. I DONI: ORO E RESINE PREZIOSE
I doni elencati da Matteo hanno un preciso significato simbolico e intendono rendere omaggio alla duplice natura di Gesù, umana e divina.
L’oro, il re dei metalli, lucente e incorruttibile, allude alla potestà regale di Cristo, Re dei Re; l’incenso testimonia l’adorazione per la sua maestà divina mentre la mirra allude al suo destino di uomo mortale, ma anche alla possibilità di redimere i peccati attraverso la morte e, forse, al Suo sacrificio.
Infatti, mescolata al vino, secondo l’uso greco, viene offerta a Gesù prima della crocifissione (Mc 15,23).
Incenso e mirra erano resine pregiate, utilizzate fin dai tempi più antichi. La mirra in particolare è originaria della penisola arabica, dell’Africa orientale, della Mesopotamia e dell’India, dove è presente anche la pianta della Boswellia da cui si ricava l’incenso.
Mescolata con oli, era utilizzata per preparare balsami medicinali (come antinfiammatorio), cosmetici, profumi (è citata sette volte nel Cantico dei Cantici) e a fini rituali. In Egitto, entrava nella composizione del Kyphi, il famoso incenso divino, e se ne faceva largo uso nelle imbalsamazioni e nei templi.
Era anche un ingrediente dell’olio santo che Dio indicò a Mosè, tuttora usato nella religione cattolica per amministrare i sacramenti. Come l’incenso, il profumo di mirra favorisce l’accesso alla parte spirituale dell’uomo e l’incontro con il divino.
Qua sotto, L’adorazione dei Magi in un dipinto di Maerten de Vos (1532-1603).
4. LA STELLA INDICA IL CAMMINO
C’è poi un altro elemento che ha sempre colpito la fantasia popolare: la cometa che guida i Magi. Matteo cita semplicemente una “stella”: ma quando le spuntò la coda?
Di comete, infatti, non c’è traccia nei vangeli di Marco, Luca e Giovanni, che ne avrebbero certamente parlato se avessero avuto notizia di un fatto tanto eccezionale.
Molti archeoastronomi si sono cimentati nello studio dei cieli di duemila anni fa, perché i movimenti della volta celeste sono regolari e non mentono.
Oggi gli studiosi ritengono che l’origine della trasformazione iconica da stella fissa a cometa errante, che tanto successo ha avuto nell’arte e nella tradizione, stia nell’Adorazione dei Magi affrescata da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova (sotto).
Giotto vide la cometa di Halley nel 1301 e ne fu tanto colpito da inserirla nel suo capolavoro: insomma, una licenza poetica. Ma il transito della cometa di Halley più prossimo alla Natività risale al 12 a.C., come documentano cronache cinesi e romane: dunque, troppo presto per spingere i Magi a intraprendere il loro viaggio.
Un viaggio che, dal vicino Oriente mesopotamico a Gerusalemme, avrebbe dovuto coprire tra gli 800 e i 2000 chilometri; a una media carovaniera di 30-50 chilometri al giorno, con i dromedari, avrebbe richiesto al massimo un paio di mesi.
Studi recenti puntano su fenomeni astronomici diversi, avvenuti nella “finestra temporale” fra il 7 e il 4 a.C., ritenuta la più probabile per la nascita del Gesù storico.
Alcuni ricercatori inglesi, negli anni Settanta, scommisero su un oggetto brillante, probabilmente una supernova, che rimase visibile per quasi 70 giorni nel 5 a.C.: lo segnalavano annali astronomici cinesi e coreani.
Invece, fin dal 1614 Keplero era convinto che si trattasse della triplice congiunzione di Giove, Saturno e Marte nella costellazione dei Pesci, avvenuta nel 7 a.C. e prevista un anno prima dagli astronomi caldei. Forse fu proprio quella luce, straordinariamente brillante, a guidare i Magi: e questa, oggi, sembra l’ipotesi più accreditata.
Del resto, secondo una tradizione esoterica, Gesù si identifica con Giove, pianeta della regalità: e così lo chiama anche Dante, nel VI canto del Purgatorio. Ma forse, secondo altri studiosi, è inutile scrutare le mappe celesti, perché quella stella non era altro che pura luce spirituale: un angelo, praticamente.
Sotto, L’Adorazione dei Magi, di Rubens (XVII secolo).
5. OSSA SENZA PACE
Il destino errante dei Magi non si sarebbe esaurito con il loro ritorno a casa: sarebbe proseguito ben dopo la loro morte, avvenuta, secondo una leggenda, a Gerusalemme dove essi sarebbero tornati per testimoniare la fede e finire la loro vita come martiri (anche se, in mancanza di notizie certe, non furono mai proclamati santi).
“Ossa senza pace”, le definì James Bentley in un libro dedicato alle reliquie. Ma anche qui le opinioni sono diverse.
Secondo una tradizione italiana, le loro spoglie furono rinvenute da Sant’Elena, madre di Costantino, che nel 324, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa, riuscì a recuperarle insieme a un frammento della Vera Croce.
Le spoglie, dapprima sistemate nella basilica di Santa Sofia a Costantinopoli, furono in seguito donate a Sant’Eustorgio, vescovo di Milano, che voleva essere sepolto insieme a loro. Per questo, nel 344, fece edificare a Milano una basilica, proprio nel luogo in cui i due buoi che trainavano il pesante carro erano stramazzati nel fango.
Lì le reliquie rimasero fino al 1164, quando l’imperatore Federico Barba- rossa, dopo aver devastato la città ribelle, le fece trasferire a Colonia. Il nuovo viaggio, documentato dallo storico Giovanni di Hildesheim, richiese 42 tappe, celebrate da locande e insegne dedicate ai Tre Re, Le tre corone o alla Stella: da Milano a Pavia, poi Svizzera, Borgogna e Renania, fino al Duomo di Colonia, dove ancora oggi sono conservate in un prezioso reliquiario (foto sotto).
Nel 1864, aperto e ispezionato, rivelò i resti di tre uomini: un giovane, uno di mezza età, un anziano. Ai milanesi rimasero solo un enorme sarcofago vuoto di epoca romana e una medaglia contenente, si dice, un poco dell’oro donato al Bambino Gesù, che veniva esposta ogni Epifania in Sant’Eustorgio.
In seguito, Milano chiese più volte la restituzione delle reliquie. Da Ludovico il Moro a papa Alessandro VI, da Filippo II di Spagna al cardinal Borromeo, nessuno riuscì a farle tornare in Italia.
Solo nel 1904 l’arcivescovo Ferrari ottenne alcuni frammenti ossei (due fibule, una tibia e una vertebra) che furono posti in un’urna accanto al sarcofago, sul cui coperchio figurano una stella e la scritta settecentesca Sepulcrum trium Magorum. Da allora sono onorati nelle processioni cittadine.
Una delle testimonianze più sorprendenti sul destino delle spoglie dei Magi erranti si trova nel Milione di Marco Polo, che afferma di avere visitato le loro tombe intorno al 1270:
«In Persia è la città ch’è chiamata Saba, da la quale si partiro li tre re ch’andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co’ capegli: l’uno ebbe nome Beltasar, l’altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer Marco dimandò più volte in quella cittade di quegli III re: niuno gliene seppe dire nulla, se non che erano III re soppelliti anticamente» (Marco Polo, Il Milione, cap. 30.)
Al di là di tutte le leggende che in due millenni di storia li hanno rivestiti con abiti splendenti, questi tre “saggi erranti” rimangono comunque un simbolo per chiunque abbia il desiderio e il coraggio di partire in cerca di un nuovo mondo, reale o spirituale. Citando San Giovanni Crisostomo, papa Francesco ha ricordato che essi «non si misero in cammino perché avevano visto la stella, ma videro la stella perché si erano messi in cammino», mentre, per papa Benedetto XVI: «Questi uomini sono dei precursori, dei ricercatori della verità, che riguardano tutti i tempi!».
Qua sotto, Marco Polo in un mosaico di Palazzo Doria-Tursi a Genova.