“Nacque un mio nipote, figliolo di ser Piero mio figliolo a dì 15 aprile in sabato a ore 3 di notte.
Ebbe nome Lionardo. Battizzollo prete Piero di Bartolomeo da Vinci, in presenza di Papino di Nanni, Meo di Tonino, Pier di Malvolto,
Nanni di Venzo, Arigo di Giovanni Tedesco, monna Lisa di Domenico di Brettone, monna Antonia di Giuliano, monna Niccolosa del Barna, monna Maria, figlia di Nanni di Venzo, monna Pippa di Previcone”.
Con queste righe, vergate dal nonno su un antico libro notarile trecentesco usato come raccolta di “ricordanze”, veniva sommessamente annunciato l’ingresso in famiglia del primogenito illegittimo di un ricco notaio fiorentino.
Quel bambino, che il padre – pur occupandosi di lui – non riconobbe mai, si sarebbe rivelato una delle figure più straordinarie di tutti i tempi: quella di Leonardo da Vinci, un genio la cui unicità continua ad affascinare a distanza di 500 anni dalla sua morte.
Scriveva di sé: «Il pittore deve essere solitario» e così alimentava le dicerie sulla sua vita privata, sulla presunta omosessualità, sul gusto del grottesco, persino sui suoi gusti in fatto di cibo: pare che non amasse la carne e si nutrisse solo di riso e latte.
A 500 anni dalla sua morte, il mondo celebra l’uomo che dominò il Rinascimento. Scopriamo insieme i segreti (che pochi conoscono) del più grande genio di tuti i tempi: Leonardo da Vinci.
1. Pagine da tenere segrete
Pittore, ingegnere, geologo, filosofo, studioso di anatomia, scrittore, ma anche provetto cantante, buon ballerino e cuoco esperto, Leonardo riassume in sé tutte le qualità e i talenti di un uomo universale, ma soprattutto è la massima espressione della fusione tra cultura scientifica e umanistica.
Eppure di lui non ci sono rimaste che una trentina di opere pittoriche dall’attribuzione spesso controversa e migliaia di pagine di appunti, schizzi, trattati tecnici, note di diario, annotazioni scientifiche, favole e allegorie: il risultato di un’attività disordinata e febbrile, alimentata da un perenne desiderio di analizzare e studiare i più disparati campi dell’arte e della conoscenza.
Di quelle pagine Leonardo era estremamente geloso, non permettendo né agli amici né ai discepoli di consultarle. Per renderle di difficile lettura, a ogni buon conto, si serviva di alcuni stratagemmi, come anagrammare le parole sulle quali voleva conservare il massimo riserbo e scrivere da sinistra verso destra.
Evidentemente neppure ai posteri dovevano essere destinate, visto che Leonardo, dopo essersi tanto affaccendato in così vari campi dello scibile umano, non decise mai di sistematizzare in modo organico e pubblicare i suoi studi.
Forse perché la sua era una personalissima ricerca senza fine, un processo di continua rimessa in discussione delle conclusioni via via stabilite. La ragione di tanto geniale disordine va forse ricercata negli anni della sua infanzia.
Come figlio illegittimo, Leonardo non aveva trovato posto nella casa fiorentina del padre, ma era rimasto in campagna presso i nonni paterni, ricevendo un’educazione piuttosto discontinua grazie soprattutto allo zio Francesco e al prete Piero che l’aveva battezzato.
Nessuno di loro, per esempio, si era curato del fatto che fosse mancino, abitudine che all’epoca doveva essere corretta perché la mano sinistra era quella del Diavolo, per impedirgli di scrivere a rovescio in maniera speculare rispetto al normale.
Nessuno aveva provveduto a incanalare la sua insaziabile curiosità che lo portava ad applicarsi a cento cose diverse allo stesso tempo per poi abbandonarle.
L’unica scuola che il padre aveva deciso di fargli frequentare, ormai quindicenne, era quella detta “dell’abaco”, una specie di istituto commerciale dove si insegnava geometria e aritmetica ma nessuna lingua classica.
Leonardo, come lui stesso si definiva, era insomma un “omo sanza lettere”, perché era digiuno di greco e conosceva poco il latino, che aveva imparato da autodidatta a quarant’anni.
Anche se all’epoca la conoscenza della lingua dei dotti era un requisito fondamentale per attirarsi la considerazione del mondo accademico, lui non la considerava necessaria perché, diceva, il volgare riesce a esprimere ogni concetto.
E a chi lo criticava ribatteva: «Gente stolta! Non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienza, la quale è maestra vera».
Nella foto sotto, panoramica dall'alto di Vinci, luogo di nascita di Leonardo.
2. Un mago del disegno
Molte delle invenzioni di Leonardo sono diventate realtà solo secoli dopo la sua morte.
Ma l’aeroplano, l’elicottero, la calcolatrice, la mitragliatrice, l’auto a carica, il carro armato sono già tutti presenti nelle pagine dei suoi taccuini: tracciarne con la matita i meccanismi gli consentiva di immaginare in che modo avrebbero funzionato.
Disegnare infatti era la sua vera passione, nata fin da bambino, quando tutto ciò che vedeva o immaginava nelle sue scorribande campestri doveva essere riportato su un foglio: il corso delle acque, i fiori, gli uccelli.
La sua straordinaria abilità avrebbe finalmente indotto il padre ad accorgersi di lui e a introdurlo nella più celebrata bottega artistica dell’epoca: quella del pittore e scultore fiorentino Andrea di Cione detto il Verrocchio.
Lì imparò metodi e tecnica della pittura, sopravanzando ben presto in bravura il suo maestro, ma non cessò mai di disegnare tutto ciò che gli passava per la testa.
I suoi disegni, espressione diretta e spontanea dei suoi pensieri, delle sue meditazioni e dei suoi ragionamenti, rappresentavano per lui il principale strumento di indagine e riflessione sul mondo, una forma scientifica di conoscenza.
Leonardo fu per esempio uno dei primi a studiare l’anatomia con un metodo “sperimentale”. Per farlo giunse a sezionare cadaveri, conferendo un impressionante realismo ai corpi rappresentati nei suoi manoscritti.
La pittura stessa, da lui considerata «sola imitatrice di tutte le opere evidenti in natura», lo impegnò allo spasimo per tutta la vita. Forse per questo, perennemente insoddisfatto del proprio lavoro, i dipinti che completò sono così pochi.
La loro perfezione tecnica, l’armonia della composizione sono però tali da renderli eterni capolavori.
Nella foto sotto, L’ultima cena. Capolavoro di Leonardo e del Rinascimento italiano, è un affresco di 4,60 m per 8,80 conservato nell’ex refettorio del convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano. Fu eseguito dal 1495 al 1498.
3. Un volto misterioso
Della vita privata di Leonardo sappiamo ben poco. Nonostante abbia riempito migliaia di pagine di appunti, di sé non scrisse quasi nulla.
Le cronache del tempo dicono fosse un uomo affascinante. “Meravigliosamente dotato di bellezza, grazia e talento in abbondanza”, lo definisce il Vasari.
Quale fosse il giovane volto che tutti ammiravano non è dato sapere. Un ritrovamento recente gli attribuisce quello dell’Arcangelo Gabriele, ritratto su una piastrella di terracotta invetriata, ritenuta la più antica opera pittorica di Leonardo (nella foto a sinistra).
Quel profilo angelico incorniciato da una cascata di riccioli sarebbe il primo autoritratto dell’allora diciottenne allievo del Verrocchio, già intenzionato a mostrare la propria abilità di artista.
Lo sostengono lo studioso leonardesco Ernesto Solari e la grafologa Ivana Rosa Bonfantino, i quali avrebbero individuato, mimetizzate nella mandibola, la firma “da Vinci Lionardo” vergata da sinistra a destra e la sigla LDV ib che ricorre nelle sue opere.
Sull’aspetto di Leonardo in età giovanile o matura sono comunque state avanzate varie ipotesi che lo identificano nei lavori di alcuni artisti suoi contemporanei.
Verrocchio, per esempio, lo avrebbe scolpito nel suo David, raffigurandolo come un giovane senza barba, con i capelli ricci mossi dal vento, sorridente e sicuro di sé.
Raffaello lo avrebbe invece ritratto nell’affresco La Scuola di Atene delle Stanze Vaticane nelle vesti di un Platone in età ormai matura (foto sotto).
L’unica certezza sembra essere la celebre immagine (foto sotto) databile intorno al 1515 e oggi custodita nella Biblioteca Reale di Torino: il disegno a sanguigna di sua mano raffigurante un maestoso vecchio dallo sguardo pensoso, con un cranio liscio e calvo e una barba fluente che si mischia ai capelli.
4. Una sessualità ambigua
Anche sulla vita sentimentale di Leonardo abbiamo poche informazioni.
Sappiamo solo che non si sposò mai, non ebbe figli né relazioni accertate con donne.
L’assoluta mancanza di rapporti di convivenza con un’altra persona sarebbe dovuta a un suo preciso convincimento: l’inconciliabilità con l’attività di artista.
«Acciocché la prosperità del corpo non guasti quella dell’ingegno», scriveva infatti Leonardo nel suo Trattato della Pittura, «il pittore, ovvero disegnatore deve essere solitario. E se tu sarai solo, sarai tutto tuo, e se sarai accompagnato da un solo compagno, sarai mezzo tuo, e tanto meno quanto sarà maggiore la indiscrezione della sua pratica».
I soli indizi sulla sua vita sessuale risalgono al 1476, quando Leonardo venne arrestato in seguito a una denuncia anonima che lo accusava con altri tre fiorentini di una relazione carnale con Iacopo Saltarelli, un modello 17enne.
Le accuse di sodomia all’epoca erano gravi, ma poiché uno dei tre giovani coinvolti era imparentato con Lorenzo de Medici, tutti gli imputati furono rilasciati e il caso archiviato.
L’ombra di quello scandalo ha indotto molti a pensare che Leonardo fosse omosessuale e avesse una relazione con il suo allievo Salai, al quale comprava vestiti e regali costosi annotandone il prezzo nei suoi taccuini. Certo è che di tali voci Leonardo non si curava.
Salai, abbreviazione di Sala[d]ino, ossia “diavolo”, era il soprannome dato da Leonardo a Gian Giacomo Caprotti, entrato come garzone nel suo studio milanese ad appena 10 anni.
Di lui sappiamo che fu il solo a seguirlo in ogni spostamento e il solo a restargli fedele compagno per quasi tutta la vita. Malgrado nei suoi appunti lo avesse definito “ladro, bugiardo, ostinato, ghiotto”, Leonardo ne era affascinato e lo assecondava in ogni capriccio.
Salai posò come modello per alcune celebri figure leonardesche: per esempio quella di San Giovanni Battista (1505-1515), i cui tratti delicati e lo sguardo malizioso sotto una cascata di ricci sono quasi sicuramente i suoi (foto sotto).
Secondo alcuni, le sembianze quasi femminee del Salai sarebbero addirittura riconducibili allo sguardo e all’enigmatico sorriso della Gioconda, il quadro dal quale Leonardo non si separò mai.
La bottega di Leonardo, come quella di ogni pittore rinascimentale, era spesso frequentata da apprendisti adolescenti che fungevano anche da modelli. Lui stesso amava abbigliarsi come loro.
Come riportato in un anonimo manoscritto dell’epoca, invece delle vesti severe degli uomini maturi, «portava uno pitocco rosato corto sino al ginocchio, che allora s’usavano i vestiri lunghi, haveva sino al mezo in petto una bella capellaia et anellata et ben composta».
5. Il gusto del grottesco
Lo sguardo di Leonardo non era attirato solo dal bello, ma anche dalle mille sfaccettature del brutto, dall’abnorme.
Lo storico dell’arte austriaco Ernst Gombrich ipotizza che l’artista studiasse le espressioni delle facce per determinare la natura delle persone e in tal modo indagare sul rapporto tra anima e corpo.
Il Vasari scriveva infatti che Leonardo «si divertiva a vedere teste curiose, al punto che seguiva per una giornata intera chiunque aveva richiamato la sua attenzione, acquisendo così un’idea talmente chiara di lui che quando tornava a casa riusciva a disegnare la testa come se l’uomo fosse stato presente».
In questa sua incessante ricerca occupa un posto particolare l’impressionante serie di teste e figure mostruose che ci ha lasciato: fisionomie grottesche che non hanno riscontro diretto nella realtà e spesso combinano tratti umani con elementi animaleschi.
Riferiscono alcuni che si divertisse a raccontare storielle e barzellette ai personaggi più brutti e ridicoli del popolo per indurli a un riso sfrenato e quindi ritrarli nelle pose più sguaiate. Come racconta ancora il Vasari, amava anche fare scherzi per impaurire gli amici.
«Fermò un ramarro trovato dal vignaruolo di Belvedere», scrive nella sua Vita di Leonardo, «... di scaglie di altri ramarri scorticate, ali addosso con mistura d’argenti vivi; e fattoli gli occhi, corna e barba, domesticatolo e tenendolo in una scatola, tutti gli amici ai quali lo mostrava, per paura faceva fuggire».
È impossibile sapere con certezza se Leonardo fosse vegetariano, ma una lettera di Andrea Corsali, un esploratore suo amico, lo farebbe supporre.
«Ci sono genti», scriveva a Giuliano de Medici, «che non si cibano di cosa alcuna che tenga sangue, né fra essi loro consentano che si noccia ad alcuna cosa animata, come il nostro Leonardo da Vinci: vivono di risi, latte e altri cibi inanimati».
Come attestano i suoi stessi taccuini è certo comunque il suo grande amore per gli animali. Si legge per esempio in un resoconto dell’epoca che, passeggiando tra le bancarelle del mercato a Firenze, un giorno il genio toscano si imbatté in un venditore di uccellini chiusi in gabbia. Commosso fino alle lacrime, li comprò tutti e poi li lasciò volare via, liberi.
Guardando alla sua immensa produzione, scopriamo anche che Leonardo è stato autore di brevi testi scritti fra il 1490 e il 1494 sullo stile di Esopo e di Fedro. Si tratta di favole che hanno come protagonista la natura in tutti i suoi elementi, animali parlanti compresi.
Le loro parole avevano un preciso fine moraleggiante: mostrare le conseguenze dell’ignoranza e della presunzione tipiche dell’uomo. Uomo che, concludeva Leonardo, «è il guastatore di ogni cosa creata».
Nella foto sotto, profili grotteschi di uomini. Incuriosito dalle teste bizzarre, l’artista era capace di inseguire per strada chi attirava la sua attenzione.