Circa il 3% della popolazione mondiale è infettato dal virus dell'epatite C, e molte persone ne sono portatrici senza saperlo. Il virus è come una bomba ad orologeria in grado di causare l'esplosione di epidemie e portare al disastro sanitario. L'epatite C può causare malattie gravi come la cirrosi epatica e il cancro al fegato. Fino ad oggi i medici hanno utilizzato armi indirette per combatterla, quali interferone e la ribavirina, che agiscono inducendo uno "stato antivirale" nella cellula epatica, anche se questo virus è in continua evoluzione e muta come un maestro del travestimento. L'epatite C può restare silente nel corpo per anni prima che si manifesti qualche sintomo.
Il virus dell'epatite C, diffuso in tutto il mondo, è più comune in Nord Africa e nell'Asia meridionale. In Italia ogni anno si registrano 1.000 nuovi casi e sono 10.000 i decessi correlati all'HCV. La malattia colpisce soprattutto i soggetti con fattori di rischio, quali i tossicodipendenti, i detenuti e le persone nei Paesi in via di sviluppo. Una delle maggiori sfide è quella di personalizzare terapia e vaccino contro il virus, di cui esistono 11 diversi tipi. Ad oggi gli scienziati hanno in primo luogo cercato e sviluppato trattamenti contro il virus dell'epatite 1b [il genotipo 1b dell’HCV presenta più alta prevalenza in Italia, oltre ad essere quello filogeneticamente “più vecchio”, più alto rischio di evoluzione verso la cirrosi (il 78% circa delle cirrosi sono causate dal genotipo 1b) e, infine, più bassa percentuale di risposta alla terapia antivirale].
Negli ultimi anni l’epatite C si è rivelata una seria minaccia alla salute pubblica in tutto il mondo. Nel territorio dell’Unione europea non si conosce il numero complessivo di persone infette, ma è probabile che superi anche di molto il milione. Per proteggersi dall’ infezione causata dal virus dell’epatite C, è bene prendere le seguenti precauzioni:
- Smettere di consumare droghe. Chiedere aiuto se non si riesce a farlo da soli. In ogni caso, non condividere aghi o tutto ciò che si usa per drogarsi.
- Essere cauti nel fare piercing e tatuaggi. Se si decide di farli, cercare un operatore affidabile e porre domande in anticipo su come viene effettuata la pulizia delle attrezzature. Assicurarsi che i dipendenti utilizzino aghi sterili.
- Fare sesso sicuro. Evitare rapporti sessuali non protetti con partner multipli o con qualsiasi altro partner il cui stato di salute è incerto. La trasmissione per via sessuale tra le coppie monogame si può verificare, ma il rischio è basso.
Ma vediamo meglio quali sono i sintomi, le cause, la trasmissione e tutte le nuove armi create per combattere questa malattia estremamente contagiosa e potenzialmente mortale.
1. Il virus HCV è un grande mistero
L’epatite C è una malattia del fegato che si trasmette tramite contatto con sangue infetto ed è causata dal virus dell’epatite C (HCV) individuato per la prima volta nel 1989, ed è una malattia estremamente contagiosa e potenzialmente mortale.
Circa il 3% della popolazione italiana è entrata in contatto con l'HCV. Nel nostro Paese i portatori cronici del virus sono circa 1,6-2 milioni, di cui 330.000 con cirrosi epatica: oltre 20.000 persone muoiono ogni anno per malattie croniche del fegato (due persone ogni ora) e, nel 65% dei casi, l’Epatite C risulta causa unica o concausa dei danni epatici. A livello regionale il Sud è il più colpito: in Campania, Puglia e Calabria, per esempio, nella popolazione ultra settantenne la prevalenza dell'HCV supera il 20%.
Nel mondo si stima che siano circa 180 milioni le persone che soffrono di Epatite C cronica, di cui intorno ai 4 milioni in Europa e altrettanti negli Stati Uniti: più del 3% della popolazione globale. I decessi causati nel mondo da complicanze epatiche correlate all’HCV sono più di 350.000 ogni anno.
Tuttavia, chi contrae il virus spesso non accusa sintomi per molti anni così che, nella maggior parte dei casi, è impossibile stabilire una diagnosi. L'HCV ha molto in comune con HIV/AIDS, con il quale è stato a lungo associato nella mente delle persone. L'HCV segue le stesse vie di trasmissione: aghi sporchi di tossicodipendenti, tatuatori e procedure mediche con strumenti non sterili, oltre alla trasmissione sessuale e, in passato, alle trasfusioni di sangue non sicure. L’infezione da virus dell’epatite C è molto diffusa tra le persone che si iniettano droghe: in tutti i paesi dell’Unione europea l’incidenza è estremamente alta, oscillando tra il 30 % e il 90 % in base alla popolazione presa in esame.
Poiché le nuove infezioni spesso non sono diagnosticabili per molti anni, risulta difficile valutare con accuratezza la diffusione dell’infezione da virus dell’epatite C. Tuttavia, i tossicodipendenti infetti sono stimati intorno a 500.000 nell’Unione europea. Complessivamente, se si contano gli ex tossicodipendenti per via parenterale e le persone infettatesi per altre vie, nell’Unione europea vi è probabilmente più di un milione di persone, e forse molte di più, affette da epatite C.
Sebbene l'origine dell'HCV risalga più indietro nella storia dell'umanità, le basi per la comprensione del virus, non sono state poste fino a dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando furono introdotte nuove possibilità mediche come le banche del sangue. Mentre nei primi anni del 1980 l'attenzione di tutti era puntata sull'AIDS, l'HCV fu trasmessa a milioni di persone. Il periodo di incubazione dell'epatite C varia da 6 settimane a 6 mesi; poi, improvvisamente, si manifestano cefalea, febbre, brividi, debolezza generale, nausea, vomito, dolore addominale, senso di stanchezza, ittero, prurito, e aumento delle dimensioni del fegato, che può presentarsi dolente e morbido alla palpazione.
Il virus dell'epatite C non fu identificato fino al 1989, quando nuovi metodi biologici molecolari permisero al virologo canadese Michael Houghton di dimostrare la presenza del materiale genetico del virus. Dopo questa fondamentale scoperta, nel 1992 l'infezione poté essere identificata e la sua trasmissione bloccata, grazie ad un nuovo ed efficace esame del sangue per l'HCV. Tuttavia, il virus è rimasto un mistero per anni, a causa della difficoltà a studiarlo in sistemi di coltura. Solo nel 2005 gli scienziati sono stati in grado di studiare alcune fasi del ciclo vitale del virus e iniziare a identificare alcuni dei suoi punti deboli.
I medici non avevano a disposizione un trattamento specifico contro l'HCV ed hanno dovuto accontentarsi di 2 farmaci: l'interferone alfa, una delle molecole che il nostro organismo produce in risposta all'infezione per avvisare il sistema immunitario e, in parte, le cellule di difesa primaria; e la ribavirina, il cui meccanismo di azione non è ancora completamente noto, ma che duplica l'efficacia dell'interferone, mentre non ha nessun effetto se utilizzata da sola. La terapia dura 48 settimane, ed è efficace solo su metà delle persone infettate dal tipo più comune di HCV. Inoltre, il cocktail di farmaci comporta effetti collaterali piuttosto sgradevoli.
2. Il virus dell'epatite C
Il virus dell'epatite C (HCV) è un cosiddetto hepacivirus. E' un virus molto eterogeneo e , ad oggi sono stati identificati 6 genotipi principali (indicati con un numero che va da 1 a 6) e più di 70 sottotipi indicati con una lettera minuscola (1a,1b,1c, 2a, 2b ecc.). La distribuzione dei genotipi varia in rapporto alle diverse aree geografiche. In un soggetto normalmente è presente un solo genotipo costituito però da una popolazione virale in cui predomina quantitativamente un genoma definito “master” e da un insieme di genomi minori che differiscono dal ceppo predominante anche di una singola base (quasispecie).
La presenza di più genotipi è possibile (ad esempio in seguito ad esposizione ripetuta a virus di genotipo diverso) ma è un evento molto raro. Anche se gli scienziati lo stanno cercando da anni, non hanno ancora trovato un virus simile in altri animali. Ma il virologo Amit Kapoor della Columbia University di New York ha trovato un indizio importante nei cani. Kapoor ha scoperto un nuovo hepacivirus, CHV (hepacivirus canino) sul muso dei cani. Il virus infetta il sistema respiratorio di cani, ma geneticamente parlando, è molto vicino all'HCV.
Confrontando i codici genetici, gli scienziati hanno concluso che 500-1000 anni fa i due hepacivirus hanno avuto un antenato in comune. Ciò è coerente con altre analisi che indicano che gli attuali sei tipi principali di HCV hanno origine da un virus comune di 400 anni fa. L'HCV potrebbe essere stato trasmesso all'uomo dai cani ed essersi sviluppato poi in un virus epatico.
L'Egitto ha il più alto tasso di prevalenza al mondo del virus dell'epatite C. Circa il 15% degli 83 milioni di egiziani è infetto dal genotipo HCV4. L'elevato tasso di prevalenza è dovuto principalmente ad un problema correlato alla profilassi contro un verme parassita che causa la schistosomiasi, malattia trasmessa attraverso l'acqua inquinata e che colpisce gli organi. Per eliminare il parassita, nel perioda tra il 1950 e gli anni '80
- quando cioè l'HCV non era stato noto - milioni di persone sono state sottoposte a vaccinazioni per via endovenosa. A quel tempo, la scarsa sterilizzazione e il riutilizzo degli aghi per le iniezioni, erano la normalità.
Il parassita fu sconfitto, ma la campagna causò la diffusione dell'HCV. In Egitto, circa il 60% dei casi, è stato infettato in cliniche ed ospedali, a causa delle precarie condizioni di salute e del riutilizzo illegale di apparecchiature ospedaliere. Il resto dei contagi è dovuto a cattive abitudini come la condivisione di glucometri per il diabete o rasoi dal barbiere. Il virus dell’epatite C può sopravvivere al di fuori del corpo a temperatura ambiente e sulle superfici per almeno 16 ore, ma comunque per non più di 4 giorni.
3. Nuovi farmaci
Grazie ai primi farmaci antivirali da più di 10 anni a questa parte, i medici stanno opponendo una ferma resistenza conto uno dei virus più comuni e letali per l'uomo, quello dell'epatite C (HCV). Oggi l'epatite da HCV è l'infezione trasmessa per via ematica più comune in Occidente ma, in altre parti del mondo l'HCV è ancor più diffuso. L'OMS stima siano circa 180 milioni le persone con infezione cronica da HCV, e che 4-5 milioni di persone vengano infettate ogni anno. La situazione è resa ancora più grave dal fatto che circa il 75% degli infetti non sa di esserlo, poiché il virus è imprevedibile e in grado di restare latente per decenni, prima di rivelarsi.
Gli scienziati stimano che, da qui al 2025, la malattia potrebbe manifestarsi nelle persone che sono state infettate - senza saperlo - nel 1960-1970. Circa il 20% degli infetti sviluppa malattie mortali del fegato, come cirrosi e cancro, e già ora l'HCV è la causa più frequente di trapianti di fegato. Ad oggi la sola contromisura a disposizione dei medici è stata una lunga e pesantissima terapia che prevede una iniezione la settimana e l'assunzione giornaliera di 4-6 compresse con gravi effetti collaterali che vanno dai sintomi influenzali fino all'anemia e alla depressione.
Inoltre, il trattamento è efficace solo nella metà dei casi: la restante metà deve affrontare il fatto che lo stato di salute del proprio fegato andrà lentamente peggiorando. In alcuni casi il trapianto di fegato rappresenta l'unica possibilità di cura. Ecco perché i medici hanno esultato quando, nel maggio 2011, la Food and Drug Administration (FDA) americana ha approvato 2 nuovi tipi di farmaci - il Boceprevir della Merck e il Telaprevir della Vertex Pharmaceuticals.
Può sembrare un salvataggio dell'ultimo minuto, ma gli scienziati sono stati a lungo impegnati nella ricerca di una terapia migliore per l'HCV, e i 2 nuovi farmaci non sono che i primi di oltre 50, attualmente in fase di test clinici. Inoltre, diverse case farmaceutiche stanno sviluppando dei nuovi strumenti diagnostici, mentre altre stanno lavorando sui vaccini. Recentemente gli scienziati sono andati molto vicino a superare uno dei maggiori ostacoli nella lotta contro l'HCV: lo sviluppo di un modello animale su cui poter studiare da vicino lo sviluppo della malattia e grazie al quale trovare nuovi farmaci.
4. Un vaccino in cantiere
Sebbene vi siano ottimistiche speranze per quanto riguarda i farmaci,la maggior parte degli scienziati concorda sul fatto che l'arma principale sia un vacino per l'epatite C allo scopo di sconfiggere la diffusione del virus. L'HCV si è dimostrato in grado di sfuggire al sistema immunitario con diabolico ingegno: esso ha al suo attivo un gran numero di trucchi che rendono difficile la messa a punto del vaccino - essenzialmente la grande sfida sarà insegnare al sistema immunitario a distruggere il virus.
L'HCV durante la sua replicazione può modificarsi tanto da non essere più riconoscibile dalle cellule e dagli anticorpi del sistema immunitario. Inoltre, vi è una lunga serie di meccanismi ai quali l'HCV attacca attivamente il sistema immunitario, predispone cortine fumogene e sopprime i meccanismi centrali sia del sistema immunitario di primo intervento sia della successiva acquisizione da parte del sistema immunitario. Ad esempio, il virus sopprime la produzione del farmaco di "allerta" interferone alfa, che in genere fa sì che le cellule killer attacchino quelle infette in una fase precoce dell'infezione. L'HCV sopprime anche alcuni dei giocatori chiave del sistema immunitario, le cellule dendritiche, cruciali per l'attivazione delle cosiddette cellule T e B nella successiva risposta immunitaria.
Di recente gli scienziati hanno scoperto che l'HCV può insinuarsi direttamente da una cellula epatica all'altra senza entrare in contatto con cellule ed anticorpi sel sistema immunitario. Tuttavia, c'è motivo per essere ottimisti: la casa farmaceutica Okairos, società biotech di stanza tra Ginevra e Pomezia ma dalla struttura interamente napoletana, specializzata nella produzione di vaccini, guidata da Riccardo Cortese, già professore di Biologia molecolare presso l’ateneo federiciano, introdurrà un vacino veicolato nel corpo da 2 differenti rinovirus. Nel maggio del 2013, infatti, abbiamo letto in tutti i giornali, che la big delle multinazionali del farmaco, GlaxoSmithKline (Gsk), ha acquisito per 250 milioni di euro Okairos.
Okairos, – si legge in una nota di Gsk, ha sviluppato una nuova piattaforma tecnologica che potrà giocare un ruolo chiave per lo sviluppo di nuovi vaccini preventivi e terapeutici. “È una fantastica opportunità per i pazienti e per la nostra ricerca – afferma il presidente di Gsk Vaccini, Christophe Weber – e ci aspettiamo possa contribuire agli sforzi in atto per lo sviluppo di una nuova generazione di vaccini, basati sull’eccellenza e l’esperienza di entrambe le compagnie”.
“A differenza dei vaccini tradizionali – spiega Cortese – il nostro non è più basato su microrganismi virali attenuati ma su virus geneticamente modificati in grado di traghettare nelle nostre cellule una porzione di Dna del microrganismo bersaglio del vaccino. In questo modo alla consueta reazione immunitaria basata sugli anticorpi, se ne affianca un’altra basta sun particolare tipo di cellule immunitarie, i linfociti T, che attaccano le cellule infettate dal virus”. Si tratta di una modalità di vaccinazione innovativa perché viene stimolata non solo la produzione di anticorpi, ma anche l’ l’“immunità cellulare” costituita dai linfociti T. Il segreto del nuovo farmaco è dunque fondato su un “traghetto” molecolare che possa veicolare il virus geneticamente modificato. Il traghetto in questione Cortese e il suo team lo hanno individuato in virus estratti da scimpanzé. E' ancora troppo presto per dire se il vaccino funzionerà, ma sembra promettente.
Un altro approccio promettente è quello del vaccino terapeutico, in cui scienziati, invece di prevenire la malattia, tentano di far sì che il sistema immunitario distrugga il virus in combinazione con alcuni farmaci. La casa farmaceutica francese Transgene e la svedese ChronTech Pharma, hanno percorso una lunga strada studiando approcci differenti. Transgene utilizza il cosiddetto vaccino virus, noto e ampiamente testato nei vaccini contro il vaiolo, per trasferire un tris di geni dell'HCV e forzare il sistema immunitario ad uno stato di allerta, in modo da prevedere un nuovo e potente attacco dell'HCV. I primi risultati mostrano un marcato aumento del numero di pazienti senza più tracce di HCV nel sangue dopo 12 settimane di trattamento.
ChronTech Pharma opera, invece, trasferendo un composto di DNA delle proteine dell'HCV nella proteina stessa. Il DNA viene introdotto nelle cellule muscolari del paziente, che da sole producono le proteine dell'HCV, attivando una risposta immunitaria. Questo vaccino deve essere somministrato in associazione con la terapia standard, e sembra annullare l'HCV in 5 pazienti su 6.
5. Un nuovo topo per fermare il virus
Le speranze sono riposte in una piccola colonia di topi neri nella Rockefeller University di New York. Nel giugno 2011, i virologi Alexander Ploss e Charles Rice, hanno annunciato di aver sviluppato i primi topi geneticamente manipolati, dotati di sistema immunitario intatto e che possono essere infettati con l'HCV. Per la prima volta gli scienziati dispongono di un campione animale, oltre agli scimpanzé, in cui il virus può sconfiggere la struttura molecolare delle cellule epatiche dell'animale.
Alexander Ploss e i suoi colleghi, hanno creato dei topi infettabili con l'HCV rendendo il loro fegato simile a quello umano con l'aggiunta di 2 o 4 geni umani. L'ingegnosità sta nel fatto che ora essi hanno sia il fegato pienamente funzionante sia uno con sistema autoimmune. Gli scienziati possono utilizzare le cavie geneticamente manipolate per capire come il virus sfugga al sistema immunitario e invada le cellule del fegato. Ci si aspetta, quindi, che i topi siano di grande aiuto quando, in futuro, verranno testati i vaccini HCV, come pure nello sviluppo di farmaci in grado di bloccare il virus prima che entri nelle cellule.
Ma i topi sono solo il primo passo. E', infatti, emerso che l'HCV è ancora bloccato durante la replica, egli scienziati non sono ancora in grado di studiarne l'intero ciclo vitale. Secondo Ploss, probabilmente è solo questione di tempo. Altri studi hanno dimostrato che l'ultimo passaggio, quello dell'unione delle particelle virali e il loro rilascio dalle cellule epatiche, funziona bene nelle cellule delle cavie.
La grande sfida è allora quella di replicare nei topi degli apparati che somiglino a quelli umani, così che la fase centrale del ciclo vitale dell'HCV possa essere portata a termine con successo. Gli scienziati stimano che questo potrà essere fatto entro 5 anni: gli studiosi saranno in grado di studiare l'intero ciclo vitale del virus nei topi, per poi aprire la strada a vaccino e farmaci con cui eliminare l'HCV.