Per questo mese di Marzo 2016 vi proponiamo le 5 letture che più ci hanno colpito.
Ecco allora i nostri consigli su alcuni libri interessanti e ricordatevi sempre che “Leggere fa bene all’anima” e che “Un uomo che legge ne vale due”.
“I libri, loro non ti abbandonano mai. Tu sicuramente li abbandoni di tanto in tanto, i libri, magari li tradisci anche, loro invece non ti voltano mai le spalle: nel più completo silenzio e con immensa umiltà, loro ti aspettano sullo scaffale”.
(Amos Oz)
1. "Pape Satàn Aleppe. Cronache di una società liquida" di Umberto Eco
"Dal 1985 pubblico sull'"Espresso" La Bustina di Minerva. Ne sono state raccolte molte in "Il Secondo Diario Minimo" e poi "La bustina di Minerva". Dal 2000 a oggi ne rimanevano moltissime, ho scelto quelle che potevano riferirsi al fenomeno della "società liquida" e dei suoi sintomi: crollo delle ideologie, delle memorie, delle comunità in cui identificarsi, enfasi dell'apparire etc..
"Cronache di una società liquida" è il sottotitolo ma, data la varietà dei temi non unificabili sotto una sola espressione "slogan", il titolo sarà "Pape Satán Aleppe", citazione evidentemente dantesca che non vuole dire niente e dunque abbastanza "liquida" per caratterizzare la confusione dei nostri tempi." (Umberto Eco)
Pape Satàn Aleppe. Titolo geniale, un epitaffio sornione, formidabile provocazione per l’opera postuma di uno dei più importanti intellettuali italiani del ventesimo secolo.
Non è solo una scelta dotta e citazionista, ma è soprattutto un breve manifesto della vita di Eco, sintetizzata in tre enigmatici vocaboli, capaci di evocare il Medioevo, le cui maestose vestigia poteva osservare dalla finestra di casa sua affacciata sul Castello Sforzesco, e il gusto dei rapporti simbolici tra le parole, lo studio dei segni, cioè la linfa vitale della disciplina che più di tutti ha saputo arricchire: la semiotica.
E cosa significa Pape Satàn Aleppe? Apparentemente nulla. Compare nel canto VII dell’Inferno ed è un’invocazione a mo’ di motto, bofonchiata minacciosamente da Pluto come se fosse un veggente cieco impazzito, una frase che solo Virgilio pare comprendere e di cui da secoli gli studiosi di Dante provano a decifrarne invano il (non)senso.
Ma come si ricollega a questa opera? Attraverso una relazione simbolica meravigliosa. La proposizione è tanto oscura e indecifrabile nel testo dantesco, quanto lo sono i nostri tempi a detta degli sventurati che provano a interpretarli attraverso astruse categorie, come per esempio Il postmoderno - una campana epistemologica che sembra fagocitare tutto e nulla - un calderone che racchiude arte, letteratura, scienze sociali, cinema, tv e qualunque altra manifestazione dello scibile umano che abbia l’ardire di lasciarsi scrutare dagli occhi del confuso post-uomo.
E il postmodernismo va a braccetto con la società liquida - altra immancabile categoria interpretativa dell’oggi - coniata da Bauman a descrivere le dinamiche sociali contemporanee, corrotte dall’effimero, dal non senso, dall’ipertiroidea schizofrenia verso l’inafferrabile e dal crollo delle grande narrazioni, la fine delle ideologie e della storia e la grottesca parata apocalittica che ne consegue, in attesa di chissà quale parusia a salvarci tutti quanti.
Eco da magnifico interprete della contemporaneità ben conosceva la portata di questi cambiamenti epocali - ma aveva il raro dono di demistificarli e renderli pop - catturandone la sconnessa comicità.
In questa prima uscita della Nave di Teseo - casa editrice fondata da Elisabetta Sgarbi ed Eco stesso - pensata per accogliere dei transfughi della Bompiani e il cui nome è un altro rimando paradossale che ben cattura lo spirito del semiologo alessandrino, viene raccolta una selezione degli ultimi quindici anni di Bustine di Minerva, pubblicate sull’Espresso a cadenza bisettimanale.
Pagine in cui l’intellettuale osservava disincantato il procedere inesorabile verso l’idolatria del pensiero unico - di cui gli italiani sono ferventi discepoli - le manie dell’uomo tecnologico e offrendoci talvolta alcune piacevoli aperture a quello che fu un suo noto divertissement: le fascinazioni complottiste - in cui persino compare Alan Kadmon - accusato di essere semplicemente derivativo e poco creativo in confronto a chi in passato era arrivato a negare l’esistenza di Napoleone.
Il volume suddivide gli articoli per aree tematiche e in ordine cronologico, una scelta brillante soprattutto per quanto riguarda la porzione del testo dedicata alle ossessioni sulla visibilità e le follie dei mass media - il web in primis - con divertenti incursioni sui fastidi procuratigli da Twitter e Facebook, una carrellata di immagini impietose che raffigurano l’abbrutimento culturale e morale dell’uomo contemporaneo depensante - nella sua compulsiva ossessione di avere sempre qualcosa di importante da riferire - un’urgenza quasi fisiologica che lo porta inevitabilmente all’autodenuncia inconsapevole della propria stupidità.
Imperdibile a mio avviso la prima bustina in cui si Eco si scaglia contro i preti del laicismo, i sacerdoti della tecnocrazia, fondamentalisti e miopi nel predicare un’obsoleta identificazione dell’Assoluto nel progresso, e li paragona ai papaboys, i coloriti esponenti del mondo giovanile cattolico, aperti, ai tempi di Woytyla, alle unioni prematrimoniali e al ripensamento dei dogmi più inattuali, più allergici quindi ai massimi sistemi rispetto a chi avrebbe il dovrebbe morale di scardinarli.
Eco ci lascia con un’opera eccezionale, ovviamente non paragonabile ai suoi capolavori di narrativa, ma che tuttavia, grazie alla natura antologica, offre una scansione lucida e irripetibile della liquefazione morale degli ultimi folli quindici anni di un’Italia che già rimpiange uno dei suoi più grandi cantori.
Umberto Eco (Alessandria 1932 – Milano 2016) è stato filosofo, medievista, semiologo, massmediologo. Ha esordito nella narrativa nel 1980 con Il nome della rosa (Premio Strega 1981), seguito da Il pendolo di Foucault (1988), L’isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000), La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), Il cimitero di Praga (2010) e Numero zero (2015).
Tra le sue numerose opere di saggistica (accademica e non) si ricordano: Opera aperta (1962), Apocalittici e integrati (1964), Lector in fabula (1979), Diario minimo (1992) e Scritti sul pensiero medievale (2012).
Nel 2004 ha pubblicato il volume illustrato Storia della Bellezza, seguito nel 2007 da Storia della Bruttezza, nel 2009 da Vertigine della lista e nel 2013 da Storia delle terre e dei luoghi leggendari.
2. "The danish girl" di David Ebershoff
Che cosa succede quando vedi la persona che ami cambiare radicalmente sotto i tuoi occhi?
Tutto nasce da un semplice favore che una moglie chiede a suo marito durante una giornata qualsiasi. "The Danish Girl" di David Ebershoff, un romanzo sui lati oscuri e misteriosi dell'amore e della sensualità.
Siamo a Copenaghen, inizi Novecento: entrambi stanno dipingendo nel loro atelier, lui realizza paesaggi velati dalla nebbia del Nord; lei ritrae su enormi tele i ricchi committenti della borghesia cittadina.
Proprio per completare uno di questi lavori, il ritratto di una nota cantante d'opera, Greta domanda al marito di posare in abiti femminili. Da principio Einar è riluttante, ma presto viene completamente sedotto dal morbido contatto della stoffa sulla sua pelle.
Via via che si abbandona a questa esperienza, il giovane entra in un universo sconosciuto, provando un piacere che né lui né Greta avrebbero mai potuto sospettare.
Quel giorno Einar ha un'autentica rivelazione: scopre infatti che la sua anima è divisa in due e forse lo è stata sempre: da una parte l'artista malinconico e innamorato di sua moglie, dall'altra Lili, una donna mossa da un prepotente bisogno di vivere...
David Ebershoff (Pasadena, 17/1/1969) vive a New York ed è autore di quattro bestseller tradotti in oltre 20 Paesi. Ha lavorato per molti anni come editore e insegna scrittura creativa alla Columbia University.
Out Magazine lo ha menzionato due volte nella lista dei 100 esponenti della comunità LGBT più influenti al mondo.
The Danish Girl il suo esordio, è stato un New York Times Notable Book e ha vinto, fra gli altri, il Lambda Literary Award for Transgender Fiction. Dal libro è stato tratto l’omonimo film per la regia di Tom Hooper, con uno straordinario Eddie Redmayne nel ruolo di protagonista.
Per Giunti, nel 2011, è uscito anche il romanzo La 19a moglie, disponibile in edizione tascabile.
3. "Ascolta o muori" di Karen Sander
“Era come un ritorno al passato. Loro quattro seduti al tavolo d'angolo nella pizzeria in cui l'autunno precedente avevano confabulato e tramato riguardo al caso dello "Squartatore". Un posto che in Liz suscitava sentimenti contrastanti.
Era con persone che la conoscevano, a cui non doveva spiegare perché alcune parole o immagini la facessero sudare freddo, o perché certe notti, invece di dormire, iniziava a vagare per casa smarrita.”
Una serie di omicidi efferati, una forte tensione fra commissario e psicologa, una corsa contro il tempo nel nuovo romanzo thriller di Karen Sander. Secondo attesissimo episodio della serie bestseller.
Dopo il successo di Muori con me, entrato subito nella top ten delle classifiche italiane, ritorna la coppia commissario-psicologa alle prese con una nuova indagine e uno spietato serial killer da stanare. Ascolta o muori, feroce, implacabile, pieno di colpi di scena, il nuovo imperdibile romanzo thriller di Karen Sander.
Una macabra sorpresa attende Georg Stadler, commissario capo della Omicidi di Düsseldorf, quando come ogni giorno apre la posta sulla sua scrivania: da una strana busta imbottita, senza mittente, spunta un involucro di nylon che contiene un dito umano, mozzato di netto.
Chi può essere l'autore di una simile barbarie? E cosa ne è stato della vittima? Mentre Stadler avvia la sua indagine privata, il resto della squadra è alle prese con un nuovo caso.
Un giovane trovato morto, legato a un palo del telefono, con un biglietto conficcato in gola: ''Chi non vuole capire deve subire''. E, di nuovo, il rituale del dito amputato. A Stadler appare chiaro che non può trattarsi di una coincidenza.
Un serial killer lo sta sfidando, e c'è solo una persona in grado di aiutarlo, una persona che come nessun'altra riesce a penetrare le menti criminali: Elisabeth Montario, la brillante psicologa che un anno prima aveva dato una svolta decisiva alle indagini sullo ''Squartatore''.
E il cui fascino inquieto aveva messo a dura prova l'etica professionale di Stadler. Liz non è certo il tipo da tirarsi indietro e mentre la sete di sangue dell'assassino cresce di ora in ora, lei e Stadler si ritroveranno fianco a fianco in una spietata caccia all'uomo...
Karen Sander vive in Renania. Traduttrice e docente universitaria, ha esordito con lo straordinario successo di Muori con me (Giunti 2015), primo romanzo della serie incentrata sulla coppia investigativa Stadler-Montario, entrato nella top-ten dei libri di narrativa straniera più venduti.
In Germania, il secondo episodio, Ascolta o muori, si è piazzato subito fra i bestseller dello Spiegel, e la serie nell'insieme ha venduto oltre 150.000 copie.
4. "C'è un re pazzo in Danimarca" di Dario Fo
Una storia d'amore e di follia. Un sogno rivoluzionario che diventa realtà.
Ecco il nuovo romanzo storico di Dario Fo ambientato nella Danimarca del Settecento, protagonisti il giovane re pazzo, Cristiano VII, la sposa quindicenne, Carolina Matilde di Gran Bretagna, il suo amante, il medico Johann Friedrich Struensee, e il figlio del re, Federico.
Una storia poco conosciuta. Dario Fo ha recuperato documenti inediti e alcuni diari segreti grazie ai quali ha potuto ricostruire il puzzle di una vicenda drammatica che intreccia ideali politici, passione amorosa e lotta per il potere.
A volte la storia può cambiare strada a causa di eventi imprevedibili come la follia. In questo caso la follia di un re unita alla carica utopica di un medico, illuminista e rivoluzionario, e alla complicità della giovane principessa.
Tutti e tre insieme, in un triangolo d'amore disperato, avviano riforme rivoluzionarie allora inimmaginabili, come l'abolizione della tortura, la libertà di stampa, l'abbattimento dei privilegi di casta, la promozione della cultura e dell'istruzione.
Un colpo di stato orchestrato dalla regina madre e dalla corte porterà il medico alla forca e la principessa all'esilio, privata dei figli. Ma il sogno della rivoluzione, sebbene soffocato, non muore: sarà il giovane Federico a portare avanti i principi liberali assumendo il potere.
Così la Danimarca potrà rendere concreti gli ideali illuministi e diventare uno Stato moderno.
Dario Fo (Leggiuno Sangiano, Varese, 1926) è un attore e autore teatrale italiano.
Dopo gli studi all’Accademia di Brera e le prime prove di teatro-cabaret (Il dito nel-l’occhio, 1953), ha scritto, diretto e interpretato testi in cui si fondono felicemente umorismo paradossale, comicità clownesca (derivata dalla tradizione popolare giullaresca e dalla Commedia dell’Arte) e satira politica: Settimo: ruba un po’ meno (1964), Morte accidentale di un anarchico (1971), Ci ragiono e canto (1972), Non si paga, non si paga (1974).
Per i suoi monologhi (da Mistero buffo, 1969 e successivamente ampliato, a Johan Padan a la Descoverta de le Americhe, 1991, e Ruzante, 1995) ha inventato una vera e propria lingua, il grammelot, creativo ibrido dei diversi dialetti dell’Italia settentrionale.
Nei testi successivi ha attenuato l’impronta militante, rivitalizzando la vena comico-farsesca delle prime prove: Quasi una donna-Elisabetta (1985), Il Papa e la strega (1990), Il diavolo con le zinne (1997).
Parallelamente, ha sviluppato un’ampia riflessione sul proprio lavoro che va dal Manuale minimo dell’attore (1987) alla raccolta di articoli, interviste e fogli sparsi di Fabulazzo (1992).
Sempre alla ribalta anche nell’impegno politico e nel sociale, in Il mondo secondo Fo (2007) ripercorre con l’ironia e l’irriverenza di sempre le sue avventure artistiche e civili. Nel 1997, a conferma del successo internazionale dei suoi testi, è stato insignito del premio Nobel per la letteratura.
5. "La scienza nuova. Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744" di Giambattista Vico
La "Scienza nuova", di cui in questo volume si pubblicano le tre edizioni, del 1725, del 1730 e del 1744, è un Classico del pensiero occidentale, essenziale per la comprensione del nostro mondo storico non meno della "Repubblica" di Platone e dell'"Etica" di Spinoza, della "Metafisica" di Aristotele e della "Critica della ragion pura" di Kant, del "De Civitate Dei" di Agostino e della "Fenomenologia dello spirito" di Hegel.
Due le idee-guida che si intrecciano, e anche configgono, in quest'opera geniale e inquietante: l'estensione al mondo umano della mathesis universalis, che ha segnato la nascita della scienza moderna, ma che in Galilei e Cartesio era limitata alla natura.
La genealogia della coscienza e della logica a partire dal "senso" e dalla "fantasia", da cui discende l'interesse prevalente di Vico per il formarsi della prima umanità. Interesse mai disgiunto dalla consapevolezza dei limiti della ragione, che può a stento "intendere", ma non "immaginare" quell'età ancora incerta tra storia e pre-storia.
Da questa consapevolezza "critica" nacque quella fusione di logos e mythos, concetto e immagine, che caratterizza il linguaggio barocco della "Scienza nuova" (in particolare nelle due ultime edizioni, qui presentate nella loro scrittura originaria), nel quale Vico espose due e diverse concezioni del tempo umano-divino della storia. In particolare il quinto e ultimo libro di quest'opera in continuo compimento, se per un verso ripropone l'idea pre-cristiana della ciclicità del corso storico.
Giambattista Vico (Napoli 1668-1744) fu un filosofo e letterato italiano.
Figlio di un modesto libraio, compì studi irregolari; la storia della sua educazione è narrata in prospettiva idealizzata nell’Autobiografia (1725), opera di profonda umanità e di alto valore stilistico: da essa trae origine l’immagine di un Vico teso a una eroica conquista del «vero», che matura in solitudine la propria filosofia; immagine corretta dagli studi più recenti, che hanno sottolineato i suoi molteplici legami con gli ambienti culturali napoletani dell’epoca.
Verso il 1689-90 si trasferì a Vatolla, nel Cilento, come precettore dei figli del marchese Rocca, la cui ricca biblioteca gli permise di studiare i classici della letteratura e della filosofia: è di questi anni la canzone di stampo lucreziano Affetti di un disperato (1693).
Nel 1697 ottenne la cattedra di eloquenza nell’università di Napoli ed ebbe il compito di pronunciare, all’apertura di ogni anno accademico, un’orazione inaugurale: la più importante è quella del 1702, intitolata De nostri temporis studiorum ratione, vigorosa contestazione del cartesianesimo, del razionalismo e del metodo deduttivo.
Altra opera fondamentale è il trattato, rimasto incompiuto, De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda (1710), che intende dimostrare come le origini del linguaggio filosofico risalgano a una setta fiorita in Italia anteriormente a Pitagora.
Del 1725 è la prima edizione del capolavoro vichiano, i Principi della scienza nuova, elaborati poi nel 1730 e ancora in una terza redazione apparsa nel 1744, poco dopo la morte di Vico.
La polemica antirazionalistica e la scienza della storia Il pensiero di Vico è contrassegnato dalla polemica contro Cartesio e, in genere, contro la tradizione scientista di derivazione galileiana, che pretende di ricondurre il reale all’evidenza geometrica e matematica.
Vico denuncia questa tendenza perché riduttiva della ricchezza dello spirito umano e troppo ottimista sulla possibilità di penetrare razionalmente nelle verità del mondo naturale, che è opera divina.
Secondo Vico si può avere una vera scienza solo di ciò che si è fatto: verum e factum coincidono; così solo Dio, che ha creato il mondo, può averne una reale conoscenza. L’oggetto proprio della scienza umana è invece la storia, che l’uomo può conoscere perché ne è il diretto artefice.
Ripercorrendone lo svolgimento (in cui è sempre presente la provvidenza divina, che gli dà un indirizzo trascendendo le passioni e le azioni dei singoli), l’uomo scopre, nel corso secolare dei tempi, i segreti delle sue leggi.
Strumento essenziale della ricostruzione storica è la filologia, «onde viene la coscienza del certo»; grazie ai frutti delle proprie vaste ricerche erudite condotte alla luce di questa filologia, Vico individua nella storia una linea di svolgimento costante, trova «una storia ideal eterna» che si ripete identica nella vita di ogni uomo così come in quella dei popoli. La prima fase di tale processo è connotata dalla immediatezza sensibile in cui l’anima è sommersa: una forma di vita istintiva, animalesca. Successivamente si desta una coscienza non ancora razionale che si esprime in un linguaggio fantastico: è lo stadio che corrisponde all’età della fanciullezza e si svolge tra i sogni e le fantasie che sono proprie dello spirito della poesia.
Poi la ragione gradualmente si afferma, non cerca la favola ma si rivolge ai concetti: dal fanciullo che sogna nasce l’uomo che ragiona. Questo è lo sviluppo della storia dell’umanità che Vico nella Scienza nuova sintetizza con espressione tipica del suo stile lapidario: «gli uomini prima sentono senza avvertire, dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura».
Tuttavia per Vico lo sviluppo della storia non è rettilineo e a queste tre età segue un nuovo imbarbarimento, che riconduce alla vita primitiva per poi riaprire il ciclo perenne delle tre epoche, in un succedersi di «corsi» e «ricorsi» storici.
La sapienza poetica Particolarmente originale, e ricco di suggerimenti per i futuri sviluppi della filosofia del linguaggio e delle teorie estetiche, appare il secondo momento, quello della fantasia.
Vico intuisce che il pensiero non nasce anteriormente all’espressione, ma insieme con questa e inseparabilmente da questa: per lui il linguaggio non è più un complesso di segni convenzionali, escogitati per comunicare concetti già formati, ma è coevo e consustanziale all’elaborazione concettuale.
Di qui il superamento delle tradizionali concezioni pedagogiche e edonistiche dell’arte, attraverso la definizione della poesia come conoscenza, sia pure diversa da quella razionale per il peso che in essa hanno gli elementi fantastici; di qui, anche, il superamento del gusto classicistico, con la scoperta del primitivo come manifestazione di verità e con la rivalutazione di poeti «primitivi», quali Dante e Omero: al secondo è dedicata una parte della Scienza nuova in cui, negandone la reale esistenza e riconducendo l’ideazione e l’elaborazione dell’Iliade e dell’Odissea non a un individuo ma a tutto un popolo, si apre la «questione omerica».
Proprio per il suo carattere di eccezionalità e di anticipo sui tempi, non si può dire che il pensiero vichiano abbia contribuito in misura notevole al travaglio culturale del Settecento, anche se non è accettabile l’immagine di un Vico isolato dalla cultura del suo tempo.
Fu tuttavia in età napoleonica e romantica, da Foscolo in poi, che il pensiero vichiano venne pienamente recuperato e valorizzato, divenendo punto di riferimento obbligato della cultura europea nelle discussioni sulla letteratura e sulla filosofia della storia. (Wuz)