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L’incredibile viaggio della tartaruga marina

Le tartarughe marine appartengono alla famiglia delle Chelonioidea e comprendono 7 specie:
la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea), la tartaruga verde o tartaruga franca (Chelonia mydas), la tartaruga comune (Caretta caretta), la tartaruga embricata (Eretmochelys imbricata), la tartaruga di Kemp (Lepidochelys kempii), la tartaruga olivastra (Lepidochelys olivacea), la tartaruga a dorso piatto (Natator depressus).

Le tartarughe marine appartengono alla famiglia dei rettili, sono dotate di polmoni, quindi, anche se passano gran parte della loro giornata in acqua, hanno comunque bisogno di risalire in superficie per respirare.

Amano talmente il mare che lo abbandonano solo per deporre le uova e poi si rituffano nel blu.

Nel corso dell’evoluzione della specie hanno subìto pochissimi mutamenti e gli esemplari moderni sono molto simili ai loro antenati preistorici.

Le tartarughe marine sono sempre più a rischio di estinzione: l’uomo ha determinato una riduzione di oltre il 95% per alcune specie.

Oggi vedremo alcune cose molto interessanti su questi straordinari rettili ma, soprattutto, scopriremo il loro incredibile viaggio, che si ripete allo stesso modo fin dai tempi della preistoria.

1. I primi momenti di vita

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I primi momenti di vita di una piccola tartaruga marina non sono facili.

Tutto comincia sotto la sabbia umida di una spiaggia, a mezzo metro di profondità, vicino a un centinaio di sorelle che escono contemporaneamente dalle uova deposte dalla madre in un unico nido.

I piccoli rettili, lunghi 6-7 cm, devono mettercela tutta per farsi largo tra i loro simili e la sabbia e riuscire a vedere la luce.

A volte impiegano diversi giorni per raggiungere la superficie, e questo è solo l’inizio. Le tartarughe, poi, devono superare le poche decine di metri che le separano dal litorale, evitando i predatori che le attendono.

Per questo si muovono tutte insieme, agitando freneticamente le piccole pinne sulla sabbia per raggiungere le onde che rappresentano la salvezza. Intorno, migliaia di loro simili fanno altrettanto, dirigendosi verso il punto più luminoso, il riflesso del sole sul mare e, di notte, del bagliore delle stelle o della luna tra le onde.

Dal cielo, gabbiani in picchiata afferrano le piccole tartarughe con il grande becco. Per i piccoli rettili non c’è scampo ma un gabbiano può catturare una sola tartaruga alla volta e non ci sono abbastanza uccelli per catturarle tutte, così la maggior parte raggiunge la riva.

Ma vicino all’acqua, devono fare i conti con i velocissimi granchi fantasma: dotati di un’ottima vista, lunghe zampe e potenti chele, afferrano le tartarughe più deboli per trascinarle nelle loro tane scavate nella sabbia.

Nei primi metri d’acqua le piccole devono fare attenzione ai pellicani, che le pescano con i loro enormi becchi, ma poi è fatta... In pochi minuti le superstiti si disperdono e nuotano decise verso la relativa sicurezza del mare aperto.

2. Zattere verdi

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Ovunque nel mondo le tartarughe marine devono lottare dal primo momento in cui nascono.

Anche le tartarughe comuni (Caretta caretta), che partono dalle coste sabbiose della Florida, nel Sud Est degli Stati Uniti.

Nuotano rapide verso il largo, per due giorni e due notti di fila, e con un po’ di fortuna raggiungono le correnti che le portano verso il Mar dei Sargassi, una zona dell’Oceano Atlantico localizzata nella fascia tropicale, non troppo lontana dalle coste del Nord America.

In questo braccio di mare, particolari giochi di correnti e la riduzione dei venti consentono la proliferazione di alghe, i Sargassum, che formano zattere galleggianti a ridosso della superficie.

Tra questi vegetali si nasconde un microcosmo popolato da creature che passano tutta o parte della vita a contatto con le matasse di alghe verdi: cavallucci marini, granchi, gamberetti e pesci predatori simili agli scorfani, camuffati tra la vegetazione, che divorano gli abitanti più piccoli.

Anche le anguille nascono qui, per nuotare lentamente verso l’Europa. Nessuno di questi vicini di casa è davvero pericoloso per le giovani tartarughe, che però devono fare attenzione ai pesci di mare aperto più grandi e veloci che passano intorno alle zattere di alghe, come lampughe, tonni o grandi carangidi.

Nonostante tutto, per i giovani rettili questo è un rifugio abbastanza sicuro. Da mangiare ce n’è in abbondanza: piccoli crostacei, ammassi di uova, larve e giovani pesci.

Purtroppo le correnti concentrano qui anche grandi quantità di plastica galleggiante. A volte le tartarughe la scambiano per organismi gelatinosi (meduse, uova o simili) e la divorano, andando incontro a morte certa.

3. Nella corrente del Golfo e il grande blu

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Il Mar dei Sargassi è l’asilo delle piccole tartarughe.

Moltissime di quelle nate nel Golfo del Messico vengono in questa zona dell’oceano per crescere e vi rimangono fino a circa 4-5 anni di età, quando il carapace ha raggiunto i 40 centimetri di lunghezza.

A questo punto, troppo grandi e numerose per trovare cibo a sufficienza, si spostano. Molti individui si fanno guidare dalla corrente del Golfo, la stessa che le ha portate fin qui, un immenso “sentiero azzurro” di acqua tiepida che dal Golfo del Messico sfiora le coste orientali del Nord America, per poi dirigersi verso le sponde dell’Europa.

Largo circa 100 km, e molto più grande di qualunque fiume, il flusso della corrente trasporta l’acqua calda dei tropici, che è più leggera e quindi sta in superficie, a circa 4 km/h verso nord-est (quindi è più veloce di una persona a nuoto).

In questo “fiume”, oltre alle tartarughe viaggiano molti altri organismi, tra cui pesci, cetacei, meduse e larve di ogni forma e dimensioni: i rettili possono così trovare qualcosa da mangiare durante il viaggio.

Le giovani Caretta caretta sanno dove stanno andando: nel capo hanno organi sensibili ai campi magnetici terrestri che danno loro le principali coordinate per orientarsi.

Le piccole tartarughe che hanno fatto le prime nuotate in Florida sanno che devono andare a est, verso l’Oceano, e passare nel Mar dei Sargassi, aiutate dalla corrente del Golfo.

Il viaggio nell’Atlantico non è facile: il flusso della corrente non è regolare e spesso ci sono tempeste a rendere la migrazione piuttosto turbolenta.

Le tartarughe evitano di andare troppo a nord, dove l’acqua è troppo fredda per loro: sono rettili, animali a sangue freddo che hanno bisogno del calore ambientale per poter “funzionare”.

Sotto i 14-15 °C diventano lente e poco reattive. La loro temperatura ideale supera i 23 °C, un valore simile a quello delle acque superficiali del Mediterraneo in piena estate.

Per questo, quando l’acqua diventa troppo fredda, una dopo l’altra le tartarughe abbandonano le correnti e nuotano verso sud, a circa 2 km/h, dirigendosi verso acque più calde.

Rimangono vicine alla superficie, ed emergono a respirare a intervalli di pochi minuti. Se la situazione lo richiede, però, le tartarughe dimostrano di essere subacquei provetti.

Nuotano a 20 km/h e possono rimanere in apnea per mezz’ora, o anche diverse ore se sono letargiche in acque fredde.

Alcune di queste viaggiatrici oceaniche passano attorno alle Isole Azzorre, un ottimo punto per fare una pausa nel cuore dell’Atlantico.

Questo gruppo di isole vulcaniche che si sollevano dal fondo dell’Atlantico attira molti animali marini, tra cui gli enormi capodogli e diverse specie di delfini.

4. I pericoli della pesca e il ritorno a casa

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A 6-7 anni dalla nascita, è facile che le tartarughe comuni abbiano percorso 6 mila km in mare.

Molte di loro sono abbastanza grandi da dirigersi verso le acque calde del Mar dei Caraibi, un luogo dove accrescersi ancora.

Durante le peregrinazioni nell’Atlantico, attraversano molte delle aree più pescose dell’oceano, dove le tartarughe rischiano di restare intrappolate nelle reti dei pescatori: con le lunghe pinne e la corazza a scaglie, si impigliano facilmente nelle maglie in nylon.

E poi ci sono i palamiti, lenze estese per chilometri, dotate di migliaia di ami innescati con pesci e calamari: un facile pasto per le tartarughe.

Spesso, quando cadono in trappola sono condannate a morte; a volte però riescono a tagliare la lenza con il becco e si allontanano con l’amo in gola.

La loro capacità di guarigione è tale che la ferita può chiudersi completamente; l’amo, sceso nello stomaco, può rimanere lì per anni, nonostante i succhi gastrici.

Ogni anno più di 200.000 tartarughe marine vengono catturate per errore (non tutte muoiono o sono ferite) da pescatori lungo le coste del Nord America; l’uso di reti appositamente progettate con aperture di fuga e ami modificati sta riducendo il numero di animali intrappolati.

Le tartarughe nate in Florida hanno superato la maggior parte dei pericoli quando ritornano nel Golfo del Messico, nelle acque calde dei Caraibi. Pochissime tra quelle partite anni prima arrivano qui, si stima una sola su qualche centinaio.

Ma se si fa eccezione per qualche squalo, come il tigre o il leuca, le grandi Caretta caretta sono ormai al riparo dai predatori, grazie alle loro dimensioni. Ora la crescita è molto lenta, più che altro aumenta il peso.

Per completare con successo il ciclo vitale, a 28-30 anni d’età (in altre zone, come l’Australia, sono più precoci), dopo aver nuotato per migliaia di chilometri e superato il metro di lunghezza, le tartarughe comuni di quest’area cercano di accoppiarsi.

Sono i maschi, decisamente più piccoli delle femmine, a cercare una compagna; quando la trovano e riescono a farsi accettare, si attaccano con le pinne al carapace e restano aggrappati.

Spesso più maschi convergono su un’unica femmina e mordono le pinne e il capo dei rivali per separarli dalla compagna.



5. La deposizione delle uova e un nuovo inizio

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Le grandi femmine nuotano verso le coste con il loro carico di uova, più importante della loro vita.

La destinazione è precisa: la stessa spiaggia dove sono nate 30 anni prima.

Trovare proprio quella giusta dopo aver percorso più di 10.000 chilometri a spasso nell’oceano sembra un’impresa impossibile, eppure ci riescono.

Guidate dalla loro raffinata carta magnetica, verificano la posizione tirando la testa fuori dall'acqua e poi, con il favore delle tenebre, escono dal mare. Strisciare sulla sabbia è una fatica immensa: una caretta adulta pesa circa 100 kg, ma gli individui più grandi sfiorano i 200 kg.

Ogni femmina deve arrivare abbastanza lontano dalla linea della battigia, in modo che il nido non sia sommerso dalle mareggiate, e poi scavare con le zampe posteriori un buco profondo 50 cm circa nella sabbia umida.

All’interno depone un centinaio di uova, che ricopre e poi rientra in acqua, prima del nuovo giorno. Una paio di settimane dopo lo farà ancora, in altri punti a breve distanza, nello stesso tratto di costa: può deporre anche 400 uova in una sola stagione.

Dopo circa due mesi, i piccoli sono pronti a uscire dalle uova. Il loro sesso è deciso dalla temperatura: quando gli embrioni si sviluppano a 28°C nascono solo maschi, a 32°C solo femmine.

Con temperature intermedie, nella parte alta del nido (più calda) nascono soprattutto femmine. Questa particolarità rende le tartarughe molto vulnerabili ai cambiamenti climatici: in caso di forte surriscaldamento, infatti, si sviluppano molti più individui di sesso femminile.

A minacciare la riproduzione di questi rettili ci sono anche le attività umane sulle coste (edifici, stabilimenti balneari e strade) che, oltre a rovinare le spiagge e a provocare disturbo, causano con le loro luci un forte disorientamento nei piccoli e negli adulti che, come dicevamo prima, usano la luce delle stelle per orientarsi quando sono molto vicini alla costa.

Nonostante tutto, ogni anno lungo le coste della Florida si contano tra i 40.000 e gli 84.000 nidi, in gran parte di Caretta caretta, molti dei quali in riserve naturali, dove sono protetti.

Per tutta la vita, ogni due o tre anni le grandi femmine torneranno sulle spiagge dove sono nate per deporre altri carichi di uova, anche per 20 anni, prima di morire.






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