Nel 2012 la Royal Society, l’accademia nazionale delle scienze del Regno Unito, ha dichiarato che la refrigerazione è l’invenzione più importante nell’intera “storia del cibo e delle bevande”.
Insomma, più significativa dell’aratro, della rete da pesca, dell’irrigazione, perché ci ha evitato di buttare montagne di cibo e consentito di alimentarci anche in città e in tutte le stagioni.
Rispetto alle altre invenzioni citate, è anche molto più recente: i nostri antenati hanno imparato a controllare il fuoco circa 125.000 anni fa, mentre la nostra capacità di generare il freddo è solo di 150 anni fa.
1. DALLE LASTRE ALLE SERPENTINE
L’idea, naturalmente, non era nuova. Fin dalla preistoria è noto che il freddo conservava il cibo (vedi il punto 5 sotto) ma non sapevano come mantenerlo.
E così, a dispetto del successo rinascimentale del gelato, ottenuto mescolando ghiaccio o neve ad altri ingredienti, geni come Leonardo da Vinci o il chimico Robert Boyle si cimentarono invano con il problema, nel tentativo di capire come nasce il freddo. Tanto che nel XVI secolo il filosofo inglese Francis Bacon morì per le conseguenze di un raffreddore preso mentre cercava di congelare un pollo sotto la neve, senza peraltro aggiungere molto alla conoscenza del fenomeno.
E così per oltre un secolo, come spiega Nicola Twilley nel saggio Frostbite. How Refrigeration Changed Our Food, Our Planet, and Ourselves (ovvero Come la refrigerazione ha cambiato il nostro cibo, il Pianeta e noi stessi, Penguin press), il ghiaccio naturale fu la fortuna di imprenditori, come l’americano Frederic Tudor, detto “il Re del ghiaccio”, che puntarono sul commercio delle lastre che d’inverno si formavano nei laghi.
Nel 1879 il primo rapporto americano sul commercio di acqua ghiacciata stimava che ogni anno ne venissero raccolte 8 milioni di tonnellate, di cui una parte era venduta su carretti da venditori ambulanti.
La vera svolta “da brivido” era arrivata però già nel 1854, quando l’australiano James Harrison produsse la prima macchina per fare ghiaccio artificiale al mondo. Comprimendo in una serpentina vapori di etere, in modo da sottrarre calore a un contenitore di acqua, Harrison poteva produrre fino 3.000 kg di ghiaccio al giorno.
L’idea del fluido refrigerante comportò un cambio concettuale: invece di produrre ghiaccio per raffreddare gli alimenti, si potevano raffreddare gli ambienti in cui essi restavano.
Qualche anno prima, nel 1842, l’americano John Gorrie fece in effetti un tentativo di questo genere in una stanza di ospedale.
2. LARGO ALLE DONNE
Ma la refrigerazione non fu subito accolta con entusiasmo. Al contrario, nel 1911 il primo banchetto in cui furono serviti solo cibi tenuti al freddo destò scandalo e preoccupazione: i consumatori americani temevano di finire intossicati.
Per questo la chimica Mary Engle Pennington fu incaricata dalle autorità sanitarie di dimostrare la salubrità dei cibi conservati al freddo, nonché di studiare la data di scadenza degli alimenti congelati.
Ed è grazie al lavoro di Pennington che oggi la percezione generale è totalmente cambiata, al punto che i cibi tenuti al fresco o al freddo ci ispirano più fiducia di quelli mantenuti a temperatura ambiente.
Il mutare della sensibilità verso la refrigerazione ha prodotto enormi benefici: si stima che a partire dall’inizio del ’900 avere a disposizione più cibo (perché si conservava meglio quello che c’era) abbia aumentato le calorie consumate ogni anno da ciascun americano.
I cittadini meglio nutriti avevano potuto lavorare di più, aumentando la ricchezza nazionale di 1.500 dollari l’anno a famiglia, e si erano meglio difesi da malattie allora comuni come la turbercolosi (più energia in corpo fa lavorare meglio anche il sistema immunitario).
Inoltre, con la diffusione dei primi frigoriferi, a partire dagli anni ’30, le donne si liberarono dall’obbligo di fare la spesa e cucinare ogni giorno. Naturalmente è impossibile calcolare l’esatto contributo ai tassi di occupazione femminile del frigorifero, apparso insieme a lavatrici e aspirapolvere.
Si stima però che i 3 nuovi elettrodomestici, insieme, abbiano determinato metà dell’aumento della presenza femminile nella forza lavoro, passata negli Usa dal 5% del 1900 al 61% del 2000.
3. PAPILLE ADDORMENTATE
In compenso, l’abitudine a riporre gli alimenti in frigo ne ha un po’ alterato il sapore. Quando mettiamo in bocca un alimento freddo, la temperatura della lingua si abbassa e, se scende sotto i 15 gradi, 3 dei sapori fondamentali – dolce, amaro e umami, cioè il “saporito” tipico del Parmigiano – vengono recepiti meno dai sensori del gusto.
Questo è il motivo per cui una Coca-Cola calda sembra troppo dolce: poiché va consumata fredda, contiene molto zucchero, in modo da aumentare il segnale della dolcezza nel nostro cervello nonostante la bassa temperatura in bocca. I recettori della lingua “addormentati” dal freddo hanno insomma bisogno di uno stimolo maggiore per captare i sapori (in questo caso la dolcezza della bevanda).
Anche il modo con cui il freddo conserva la frutta e la verdura nei magazzini va a discapito del gusto. Al settore alimentare sono occorsi anni di studi per capire come allungare la vita dei prodotti naturali senza rovinarli. I primi esperimenti furono fatti a partire dal 1922 nella Stazione di ricerca sulle basse temperature di Cambridge (Gran Bretagna), dove il primo oggetto di studio furono le mele.
I ricercatori scoprirono che riducendo l’ossigeno a zero la mela fermenta; abbassando troppo la temperatura le sue pareti diventano molli; se i livelli di anidride carbonica invece aumentano troppo le mele hanno un “cuore marrone”. Finché, nel 1927, si concluse che per raddoppiare la vita post-raccolta delle mele occorre tenerle in un ambiente a circa 7 gradi, con anidride carbonica e ossigeno al 10%.
A Cambridge fu anche scoperto che i frutti messi vicino alle mele maturano, come notiamo anche noi quando mettiamo una mela vicino a una banana. Ma perché succede? Perché, una volta raccolte, le mele (come i fichi o le pesche) iniziano a emettere etilene, un idrocarburo che induce la maturazione del frutto stesso e di quelli circostanti. E dunque il settore alimentare sfrutta questa sostanza per trasportare i vegetali ancora acerbi e farli maturare prima di venderli.
Purtroppo, gli alimenti maturati in questo modo non hanno lo stesso sapore di quelli lasciati nei campi. Il caso più noto sono i pomodori, che nel piatto sanno di poco.
Trascorrere più di 4 giorni al di sotto di 12 gradi di temperatura riduce infatti la capacità di un pomodoro di produrre sostanze aromatiche volatili (che con gli zuccheri danno il sapore), anche se questa capacità si sviluppa di nuovo se il pomodoro è raccolto a un certo grado di “verde” e poi fatto maturare.
Tuttavia, azzeccare il momento giusto è così complicato che spesso il pomodoro risulta insapore. Harry Klee, biochimico all’Università della Florida, dopo 20 anni di studi su 150 varietà di pomodori, è riuscito a modificare geneticamente un pomodoro (foto sotto) in modo che resti gustoso anche con il freddo. Però, più grande è il frutto, meno zucchero contiene e viceversa, e i nuovi pomodori sono troppo piccoli per apparire attraenti ai consumatori.
Così dobbiamo accontentarci dei soliti pomodori poco saporiti, che, stando a un’analisi pubblicata nel 2024 sul Journal of the American College of Nutrition, come altri 43 tipi di verdura e frutta, contengono molta meno vitamina C, proteine, calcio, fosforo, ferro, vitamina B₂ rispetto a quelli in vendita nel 1950 (anche a causa dello sfruttamento del suolo).
4. UN EQUILIBRIO DELICATO
Ma il problema maggiore legato alla refrigerazione è un altro: per raffreddare il cibo stiamo surriscaldando il Pianeta. Le sostanze chimiche e i combustibili fossili utilizzati per questa industria rappresentano già oltre il 2% delle emissioni globali.
Se nei Paesi poveri la catena del freddo si estendesse quanto quella dei Paesi ricchi, ha calcolato Toby Peters, professore di Cold Economy all’Università di Birmingham, le emissioni globali aumenterebbero di 5 volte.
E alcuni refrigeranti, come gli idroclorofluorocarburi e gli idrofluorocarburi, ancora attualmente utilizzati nei Paesi in via di sviluppo, sono conosciuti come gas super-serra perché sono migliaia di volte più riscaldanti della CO₂.
Ci sono alternative? Sembrerebbe di sì, per esempio è allo studio uno strumento che potrebbe ridurre il fabbisogno mondiale di freezer pur evitando lo spreco di cibo: una pellicola commestibile, realizzata con grassi estratti da scarti vegetali.
Prodotta dall’americana Apeel Science, nasce da una sostanza inodore, incolore e insapore che viene spruzzata su frutta e verdura e, come una seconda buccia, evita che l’umidità se ne vada e l’ossigeno entri, allungando la conservazione di un alimento fino a 2 o 3 volte.
Apeel ovviamente non sostituisce la refrigerazione, ma ne riduce l’utilizzo, rendendo più vantaggiosa una tecnologia che, come riconosciuto dalla Royal Academy, finora ha dato enormi benefici all’umanità. Oggi però, con il cambiamento climatico, urge trovare un nuovo equilibrio tra le esigenze di conservazione del cibo (casalingo e non) e quelle del Pianeta.
5. ANTICHI METODI DI CONSERVAZIONE
I nostri antenati sapevano che il freddo conserva gli alimenti.
Già 4.000 anni fa, nella città di Ur, in Mesopotamia, esistevano ghiacciaie, ovvero strutture sotterranee di pietra che mantenevano più a lungo il ghiaccio preso dalle montagne
(sistema usato fino a un paio di secoli fa).
I Romani utilizzavano le “niviere” (foto sotto), cavità sotterranee, dove la neve caduta d’inverno era raccolta e pressata sotto strati di paglia isolante. Tuttavia si ritiene che il metodo di conservazione più antico sia quello “opposto”, ovvero l’uso del sole e del vento per essiccare il cibo.
Gli archeologi che lavorano in Medio Oriente hanno trovato tracce di carne essiccata al sole risalenti al 12.000 a.C. e uno studio pubblicato sul Journal of Archaeological Science ha documentato l’esistenza di resti di pesce sotto sale nel sito preistorico di Al Khiday (Sudan), datati 10mila anni fa. Nelle regioni senza un accesso immediato al sale, le persone ricorrevano anche alla salamoia e al miele per conservare la frutta.
Nel Nord Europa un altro modo per mantenere fresco il cibo è stato il ricorso alle torbiere, cioè zone acquitrinose, con pareti di terreno spugnoso costituito da materiale vegetale, la torba. Essendo luoghi privi di ossigeno, il deperimento non avviene. In Irlanda vi sono state trovate tracce di burro vecchie di 2.500 anni.