L’inquinamento atmosferico rappresenta una minaccia crescente per la salute pubblica in molte città in tutto il mondo.
Lo smog, un composto nocivo derivante principalmente dalle emissioni industriali, automobilistiche e domestiche, ha un impatto devastante sulla salute umana e sull’ambiente.
È un problema complesso che richiede azioni immediate e collaborative per mitigare i suoi effetti dannosi.
È ormai scientificamente dimostrato il pesante impatto dell’inquinamento atmosferico sulla nostra salute. Nemmeno rispettare i limiti fissati dall’Unione Europea e dall’OMS basta: perché cuore, cervello e apparato riproduttivo sono a rischio anche con basse concentrazioni di smog.
Affrontare questo problema richiede un impegno congiunto a tutti i livelli della società. Investire in energie pulite, promuovere stili di vita sostenibili e adottare politiche più rigorose sono passi essenziali per garantire un futuro più salutare per le generazioni a venire.
È necessario agire ora per proteggere la nostra salute e il nostro pianeta dall’impatto dannoso dello smog.
1. Una fotografia attendibile
Mantenere i livelli di inquinamento dell’aria entro i limiti indicati da Unione Europea, Agenzia di Protezione Ambientale statunitense (EPA) e Organizzazione Mondiale della Sanità può sembrarci un buon traguardo, ma non basta a proteggere la nostra salute.
Anche livelli di inquinamento atmosferico al di sotto di questi limiti, infatti, aumentano a lungo termine il rischio di morire e di sviluppare malattie respiratorie, cardiovascolari e neurodegenerative.
Lo dicono i risultati di un vasto studio condotto con il progetto europeo ELAPSE, acronimo di Effects of Low Level Air Pollution: a Study in Europe (Effetti del basso livello di inquinamento dell’aria: uno studio europeo).
ELAPSE ha coinvolto numerosi scienziati in Europa per studiare la mortalità e lo sviluppo di malattie a seguito dell’esposizione a lungo termine agli inquinanti atmosferici a bassi livelli, soprattutto il particolato sottile (PM2.5), il nerofumo (black carbon), il biossido di azoto (NO2) e l’ozono (O3).
Per ricostruire la mappa della concentrazione dei diversi inquinanti, i ricercatori hanno usato AirBase, il database sulla qualità dell’aria gestito dall’Agenzia Ambientale Europea, stimando la concentrazione dei diversi inquinanti in celle di 100 metri per 100 metri da informazioni satellitari sull’uso del suolo e sul traffico stradale.
Una prima parte dello studio ha lavorato su un campione di 325mila adulti raccogliendo informazioni sia sugli stili di vita sia socio economiche, cioè dati che hanno un impatto sulla mortalità ma che, si è visto, non sono così rilevanti per stimare l’aumento del rischio di morte per inquinamento dell’aria.
Una seconda parte del progetto ha invece coinvolto 28 milioni di cittadini (tra cui 1,2 milioni di italiani) da sette Paesi europei, considerando solo dati amministrativi (banche dati di Comuni, censimenti ecc.), senza informazioni sugli stili di vita, ma deducendo alcune delle variabili socioeconomiche dai censimenti.
2. Lo si sa da tempo
L’impatto negativo del particolato sottile PM2.5 anche a basse concentrazioni era stato già indicato da due studi del 2019 condotti negli USA e in Canada (vedi box sotto).
Tuttavia il rischio associato a basse concentrazioni degli altri inquinanti non era ancora stato studiato.
Invece è molto importante produrre evidenza sui rischi sanitari legati a esposizioni a basse dosi.
In primo luogo, perché le concentrazioni di inquinanti aerodispersi sono diminuite nel tempo, portando all’equivoco che i rischi sanitari siano diminuiti proporzionalmente, e rischiando quindi di fare calare l’attenzione sociopolitica su questo tema.
In secondo luogo, la dimostrata associazione tra bassi livelli di inquinamento e diverse conseguenze sanitarie pone l’attenzione sulle soglie legislative dei valori giornalieri e annuali per i principali inquinanti e sul fatto che queste non siano sufficienti a tutelare la salute umana.
3. Il traffico
In particolare, il black carbon – componente del PM2.5 emessa soprattutto dai motori diesel – e il biossido di azoto sono inquinanti prodotti in prevalenza dal traffico veicolare, principale imputato per i danni alla salute dovuti all’inquinamento atmosferico.
Lo studio ELAPSE ha stimato che a concentrazioni di PM2.5 inferiori a 25 microgrammi al metro cubo (limite fissato dalla UE), un aumento della concentrazione di 5 microgrammi al metro cubo comporta un incremento del rischio di morte generale e di morte per patologie respiratorie entrambi del 13 per cento e del 5 per cento per patologie cardiovascolari.
Per il biossido di azoto, a concentrazioni inferiori ai 40 microgrammi al metro cubo (limite UE), un aumento della concentrazione di 10 microgrammi al metro cubo comporta un incremento del 10 per cento sia del rischio di morte generale sia del rischio di morire per malattie respiratorie e cardiovascolari.
Anche per il black carbon i ricercatori hanno osservato un’associazione tra esposizione all’inquinante e mortalità.
Infine si è visto che l’aumento della concentrazione degli inquinanti a cui sono esposti i cittadini corrisponde a un aumento significativo dell’incidenza (nuovi casi in un certo lasso di tempo) della sindrome coronarica acuta, dell’ictus, del tumore al polmone, dell’asma e della broncopneumopatia cronica ostruttiva.
4. I meccanismi del danno
Sia l’American Heart Association sia l’European Society of Cardiology riconoscono il PM2.5 come fattore di rischio cardiovascolare.
Risultati di studi tossicologici e sperimentali indicano che le particelle di PM2.5, una volta inalate, viaggiano verso gli alveoli del polmone dove innescano una cascata di eventi fisiopatologici, primo fra tutti un processo infiammatorio del polmone con secrezione di mediatori di infiammazione sistemica.
Una frazione piccola delle particelle ultrafini (e di metalli e composti organici) passa la barriera alveolo-capillare ed entra nella circolazione sistemica.
Questi processi causano uno stress ossidativo e l’infiammazione sistemica, con aumento della vasocostrizione, innalzamento della pressione sanguigna, aumento della frequenza cardiaca, insulino-resistenza, aumento della tendenza a generare trombi eccetera.
Pertanto esposizioni acute al PM2.5 attraverso questi meccanismi possono causare un aumento nella frequenza degli attacchi ischemici del cuore, ictus, insufficienza cardiaca, tromboembolia venosa, aritmie e aumento dei ricoveri ospedalieri e della mortalità per cause cardiovascolari.
Allo stesso modo, esposizioni prolungate al PM2.5 aumentano anche il rischio di sviluppare ipertensione, diabete mellito, disfunzioni dei livelli di colesterolo, malattia aterosclerotica, sindrome metabolica e mortalità cardiovascolare.
L’aumento dello stato infiammatorio e del rilascio delle molecole prodotte dal sistema immunitario nel circolo sanguigno comporta un rischio per ogni apparato del nostro organismo.
5. Effetti sul cervello e SOS ormoni
Il meccanismo di neurotossicità dell’inquinamento atmosferico può essere causato dall’infiammazione e dall’aumento dello stress ossidativo che ne consegue, determinando una citotossicità (tossicità a carico delle cellule) dei tessuti nervosi.
L’American Psychiatric Association sottolinea come numerosi studi abbiano evidenziato una relazione tra l’inquinamento atmosferico e l’Alzheimer o la demenza, ma anche con disturbi psichiatrici come schizofrenia e depressione.
Uno studio italiano di ricercatori del Dipartimento di Epidemiologia dell’ASL Roma 1, del Dipartimento di Salute mentale dell’ASL di Rieti e dell’Environmental research group dell’Imperial College di Londra, condotto su circa due milioni di persone seguite per otto anni, ha concluso che lo smog può causare depressione e altri sintomi mentali perché può modificare il funzionamento cerebrale sviluppando patologie psichiatriche, soprattutto nella fascia d’età dai 30 ai 64 anni.
Negli ultimi anni numerosi studi hanno evidenziato un’associazione tra esposizione cronica all’inquinamento atmosferico ed effetti legati al sistema riproduttivo.
L’esposizione ai principali inquinanti è in grado di alterare geni responsabili della produzione di ormoni e molecole coinvolte nei processi di sviluppo del nostro organismo, tra cui l’apparato nervoso.
Alcuni composti chimici, prodotti a livello industriale, possono influenzare negativamente la nostra capacità riproduttiva. Per esempio, ftalati e bisfenoli possono alterare la funzionalità della tiroide, la qualità degli spermatozoi e degli ormoni sessuali.