L’omeopatia è una scienza medica che trova sempre maggior consenso tra i pazienti.
Molti medici non la amano perché l’argomento è ostico, non solo da studiare, ma anche da applicare e sono pochi i professionisti omeopati che possono qualificarsi tali per le loro competenze.
La materia è, in un certo senso, “strana” per chi ha una formazione scientifica classica e può realmente mettere a repentaglio alcune verità che si danno per scontate; e non tutti i clinici sono disposti a mettersi in discussione, anzi.
Nel resto del mondo l’omeopatia ha spesso una sua dimensione accettata e non screditata. Per esempio in Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera e in tanti altri Paesi, è previsto il rimborso da parte delle assicurazioni sanitarie di prestazioni mediche e rimedi omeopatici e ci sono ospedali a Glasgow, Lione, Londra e Stoccarda che ricorrono anche alle cure omeopatiche.
Premessa: molte persone si avvicinano all’omeopatia perché sanno che questo metodo terapeutico è naturale e non espone a quelle complicanze di cui non sempre la medicina ufficiale è priva.
Quella che si verifica spesso, però, è una situazione bizzarra: i pazienti arrivano dall’omeopata scoraggiati e sconfortati, eppure speranzosi, dopo aver consultato altri specialisti e senza riuscire a guarire dai loro disturbi, portando con sé cartellette piene di visite e terapie. Il medico omeopata prescrive la sua terapia e magari non funziona.
E questo può capitare per numerose ragioni. E quali sono i commenti di queste persone? «L’omeopatia non funziona!». E sono gli stessi che quando hanno assunto inutilmente i medicinali allopatici per i loro malesseri hanno detto: «Ho preso tanti farmaci, ma non sono serviti».
Notata la differenza? I pazienti spesso usano pesi e misure differenti. Nel caso in cui la terapia sia allopatica il paziente critica i farmaci, nel caso in cui la terapia sia omeopatica critica l’intero metodo terapeutico.
Nel primo caso il paziente non dice: «La medicina convenzionale non funziona!», mentre nel secondo dovrebbe invece dire: «Il tal rimedio omeopatico che mi è stato prescritto non ha funzionato».
Come già accennato, spesso i pazienti che chiedono un intervento dall’omeopata sono il frutto di una selezione negativa: sono coloro che hanno già provato di tutto e tutto non ha funzionato. Per questo avere successo su di loro è il carburante che permette a noi omeopati di continuare.
Sull’omeopatia si trovano tanti commenti e ricerche che portano a conclusioni opposte. C’è chi sostiene che non serva a nulla da un punto di vista terapeutico e chi invece crede che possa risolvere molti disturbi che la medicina “normale” non riesce a curare.
Per raggiungere il fine omeopatico della guarigione il medico deve ascoltare, osservare e considerare tutti gli aspetti del paziente, perché ogni persona è unica e diversa da tutti gli altri.
E l’omeopata sostiene che è il “simile che cura il simile” e che per questo è fondamentale comprendere quale sostanza nella sua essenza più profonda è simile al nostro paziente.
Oggi vi presentiamo le linee guida per muovere i primi passi nel mondo dell’omeopatia: un sistema terapeutico poco conosciuto che ha come obiettivo stimolare l’autoguarigione della persona grazie all’assunzione di rimedi naturali privi di effetti tossici. Scopriamole insieme!
1. Favorire la guarigione e curare il simile con il simile
- Favorire la guarigione
Samuel Hahnemann, il fondatore del metodo, inizia la sua opera più importante, l’Organon, con il seguente paragrafo: «Scopo principale ed unico del medico è di rendere sani i malati ossia, come si dice, di guarirli».
È una verità incontestabile, dogmatica e come tale può sembrare semplice e scontata, ma non lo è affatto.
Qui al medico viene permesso di utilizzare tutti i suoi strumenti per raggiungere la guarigione del malato. Tutti i mezzi sono leciti. Le cure non vengono specificate: non si parla di medicina allopatica, non si parla di omeopatia né di altre forme di medicina.
Ma si parla di guarigione. Il vero obiettivo. In questa frase troviamo sottolineato il traguardo del medico, non i mezzi.
Con questa semplice verità si cancellerebbero inevitabilmente le diatribe tra medicina ufficiale e medicina alternativa in quanto di medicina ce ne dovrebbe essere solo una: quella che cerca di guarire l’uomo dalle malattie.
Quando questo evento non si verifica si parla di fallimento e ciò che si è eseguito sul malato non è stato un atto medico terapeutico valido.
Questa frase attinta dalla cultura omeopatica è stata scritta nel 1810. Ebbene, a distanza di tanti anni questa regola non è stata né capita, né accettata, al punto da rimanere un concetto avveniristico, futuribile.
Per questo, ancora oggi, si fanno distinzioni tra medicina ufficiale e alternativa, o non convenzionale.
Curare e guarire: due concetti diversi! Non diamo per scontato lo specifico significato di cura, che è il soccorso prestato dal medico al malato e quello di guarigione che è l’effetto migliore della cura, il risultato sperato, ma non sempre raggiunto.
La differenza tra questi due concetti deve essere chiara: non tutte le persone curate guariscono e non tutte le malattie sono curabili.
Se riusciamo a raggiungere la guarigione con i nostri rimedi la soddisfazione è davvero straordinaria.
A volte questa è data da un’alchimia di cure che vengono studiate sulla persona che sta male e in questa miscela può essere inserito qualunque ingrediente, nulla viene escluso. - Curare il simile con il simile
La metodologia scientifica che caratterizza la medicina omeopatica è ben differente da quella ufficiale che ha nella diagnosi e nella terapia i suoi due momenti fondamentali.
La diagnosi è caratterizzata dallo studio clinico della persona con apparecchiature e tecniche sempre più complesse e sofisticate.
Così, una volta individuato l’organo o l’apparato ammalato, il paziente diventa materia dello specialista competente, rischiando di subire una completa depersonalizzazione.
Sul fronte terapeutico, le categorie di farmaci sono sempre le stesse, molte nuove molecole non possono essere usate perché tossiche e i possibili effetti collaterali a volte possono essere anche gravi.
Del resto la medicina allopatica cura in modo soppressivo: distrugge i batteri con gli antibiotici, inibisce le reazioni dell’organismo con antidolorifici, antinfiammatori, antistaminici, antipiretici.
Che i farmaci siano indispensabili comunque non c’è dubbio. E il medico che affianca all’uso dell’antibiotico anche un rimedio omeopatico, favorendo un’azione più rapida e un decorso più veloce, agisce in modo accorto ed efficace.
L’omeopata deve essere sempre e comunque un medico chirurgo abilitato alla professione. Non è uno specialista secondo l’accezione comune del termine perché non si interessa a un solo organo o apparato, ma si occupa dell’intero paziente.
Deve essere un medico che ascolta il malato e, soprattutto, che lo fa parlare perché a lui interessa soprattutto effettuare non la diagnosi di malattia, ma quella di persona: non vuole dare un nome alla malattia, ma vuole dare un nome al malato.
È un medico che osserva attentamente tutti i segni, ma soprattutto i sintomi della malattia o del disturbo che ha colpito chi ha di fronte.
I segni della malattia sono oggettivi, i sintomi soggettivi. Sui primi lavora maggiormente la medicina ufficiale, sui secondi l’omeopatia. I segni sono incontestabili: se faccio una gastroscopia e scopro un’ulcera possono misurare il diametro della lesione e fotografarlo.
Non è così per i sintomi: non posso fotografare un mal di testa che migliora quando il capo vie ne pressato come da una morsa. I sintomi sono impronte straordinariamente importanti per capire come è in realtà la persona che soffre e rappresentano il modo in cui si “personalizza” la malattia.
Per questo bisogna affrontare la patologia aggirando i sintomi tipici e porre invece attenzione a quelli manifestati in modo personale dal malato.
Se si assume un analgesico si va a rimuovere un sintomo, il mal di testa che, prima o poi, si ripresenterà.
E può anche capitare che, quando il malessere ritorna, siano necessarie dosi sempre più elevate di farmaco per avere sollievo.
Se invece il paziente viene analizzato da un omeopata sarà costretto non solo a descrivere il suo disturbo in ogni sfumatura e dettaglio, ma anche tutto se stesso.
E si scoprirà che sono tantissimi i modi di avere un mal di testa perché le persone sono diverse tra di loro... e, omeopaticamente parlando, sono diverse anche le cure.
È fondamentale individuare la tipologia di chi si trova davanti a noi perché i rimedi che si possono usare sono numerosi e bisogna effettuare un’accuratissima selezione per arrivare a scegliere “quel” rimedio, unico, che può funzionare con “quella” persona.
La tipologia del paziente la si individua con l’analisi delle sue modalità come malato, da particolari meno rappresentativi che possono essere tracce rivelatrici per un omeopata e dallo studio delle caratteristiche fisiche che emergono da una visita approfondita.
Nel caso della cefalea, che manteniamo come esempio, la cura omeopatica non servirà solo a migliorare il mal di testa, ma servirà al paziente nella sua complessità per meglio affrontare, almeno in teoria, una qualsiasi difficoltà che si può presentare nell’ambito della sua salute.
L’omeopatia cura il terreno, dove per terreno noi intendiamo quel substrato individuale che, quando danneggiato, permette alla malattia di innestarsi.
Quindi la terapia omeopatica agisce rinforzando la reattività individuale laddove sono presenti quelle lacune che sono peculiari e ci permettono di differenziarci.
2. Il bagaglio dell’omeopata e le materie prime
Le sostanze da cui si ottengono i rimedi omeopatici sono molteplici.
I regni minerale, vegetale e animale ne forniscono già una buona percentuale, ma anche sostanze chimiche e prodotti fisiologici diventano degli ottimi rimedi quando vengono trattati in modo omeopatico.
I rimedi omeopatici sono circa 3.500, ma di questi se ne conoscono abbastanza bene solo 500-600.
I loro nomi sono internazionali: in ogni parte del mondo, infatti, si può trovare il proprio prodotto che ha un nome in latino (a parte qualcuno introdotto di recente in terapia omeopatica che ha il nome francese o inglese) e una sigla composta da un numero e un’abbreviazione.
Le materie prime:
- Le sostanze minerali che vengono usate in omeopatia sono elementi semplici, metalli, metalloidi, sali e minerali complessi.
Ricordiamo qui, seguendo semplicemente un ordine alfabetico: Argentum metallicum, l’argento; Arsenicum album, l’arsenico; Aurum metallicum, l’oro; Carbo animalis, il carbone animale, e Carbo vegetabilis, quello vegetale; Ferrum metallicum, il ferro; Iodum, lo iodio; Mercurius cyanatus, il mercurio cianato; Mercurius solubilis, il mercurio, Natrum muriaticum, il sale da cucina; Petroleum, il petrolio; Silicea, la silice (la sabbia); Sulphur, lo zolfo... - Le sostanze vegetali rappresentano oltre il 50% dei rimedi omeopatici e derivano da ogni genere di pianta, innocue e velenose.
Le piante vengono raccolte intere nel periodo migliore della loro stagione per ottenere la massina concentrazione del principio terapeutico. Troppo spesso l’utilizzo dei rimedi omeopatici di origine vegetale viene confusa con la fitoterapia da alcuni pazienti.
Per questo citiamo: Aconitum napellus, l’aconito; Allium cepa, la cipolla; Arnica montana, l’arnica; Belladonna, la belladonna; Calendula, la calendula; Capsicum, il peperoncino; Cicuta virosa, la cicuta; Cof- fea cruda, il caffè; Digitalis, la digitale; Ignatia (che contiene stricnina come la noce vomica), l’ignazia; Nux vomica, la noce vomica; Oleander, l’oleandro; Ruta graveolens, la ruta; Stramonium, lo stramonio; Tabacum, il tabacco... - Le sostanze del mondo animale si ottengono da animali interi, parti di animale, organi o secrezioni. Ricordiamo: Apis mellifica, l’ape; Cantharis, la cantaride; Corallium rubrum, il corallo; Formica rufa, a formica rossa...
- Tra i prodotti fisiologici, sia di origine umana sia animale, segnaliamo il latte di cane, Lac caninum; il nero di sep- pia, Sepia; il veleno di diversi ragni e serpenti. E inoltre abbiamo ormoni, estratti d’organo, urina...
- Tra i prodotti patologici (sia di tessuti animali sia vegetali) abbiamo per esempio erba di palude marcia, ma anche sostanze ottenute dai liquidi o tessuti patologici umani. E a disposizione in questa “categoria” ci sono anche ceppi batterici e virali opportunamente dinamizzati.
- Tra le sostanze chimiche, di uso raro, abbiamo fondamentalmente i farmaci usati in allopatia che vengono dinamizzati, sostanze di produzione o di scarto dell’industria chimica, sostanze inquinanti. I farmaci allopatici che vengono dinamizzati sono utilizzati per curare gli effetti collaterali dei farmaci stessi della terapia classica.
3. I pilastri della dottrina
Il caposaldo: la “legge della similitudine”
Tracce di un pensiero simile alla legge di similitudine si trovano nella civiltà Hindu e nella medicina antica cinese e indiana.
Più tardi negli aforismi di Ippocrate (460 a.C. circa - 360 a.C. circa), qui nella foto, è citata una legge che considera il parallelismo d’azione tra il potere tossicologico di una sostanza e il suo potere terapeutico.
La legge dei simili (“i simili vengono curati con i simili”, in latino: “similia similibus curantur”) si contrappone alla legge dei contrari (“i contrari vengono curati con i contrari”, “contraria contrariis curantur”).
La legge dei contrari considera terapia valida solo quella che agisce contro la malattia e contro i sintomi della stessa: si combatte così il freddo con il caldo e viceversa, l’umido col secco e viceversa...
Ippocrate considera così la medicina fondata su due pilastri:
• la terapia del simile che deve essere applicata in tutte le patologie di cui non si conosce l’agente patogeno;
• la terapia del contrario che deve essere applicata in tutte le patologie di cui si conosce la causa.
In termini moderni possiamo dire che la medicina basata sulla legge dei contrari è allopatia (dal greco = diverso - malattia) e la medicina basata sulla legge dei simili è omeopatia (dal greco = simile - malattia).
Pur apparentemente contrapposte, queste due visioni della medicina sono in realtà complementari ed esistono per garantire in un modo o nell’altro la salute del malato.
Con Galeno (Pergamo 129 d.C. circa - 200 d.C. circa), fondatore della medicina sistematica, assistiamo al definitivo accantonamento della terapia con i simili e del principio di analogia in medicina. Paracelso (Einsiedeln 1493 - Salisburgo 1541) fu il più grande studioso di alchimia.
Sarà lui a riportare alla luce di nuovo l’idea della similitudine, usandola però in un modo diverso rispetto a quello dei futuri omeopati: con la dottrina delle signature si cura, per esempio, un ittero con la curcuma in quanto vi è la similitudine cromatica del giallo, le ferite con l’iperico per il colore rosso, le emorroidi con il ranunculus per la presenza delle nodosità.
Il medico naturalista grazie al tentativo di trovare la quintessenza delle sostanze medicamentose viene un po’ visto come il precursore dell’omeopatia proprio perché nei processi alchemici si distilla la sostanza con progressive diluizioni e succussioni per giungere all’“anima” della materia.
4. Samuel Christian Friedrich Hahnemann, il fondatore e le varie forme di omeopatia
Hahnemann (Meissen, 1755 - Parigi, 1843), nella foto accanto, fu, certamente, un grande personaggio e la sua grandezza risedeva nell’umiltà e nella onestà del suo operato.
Per queste due grandi virtù e per la visione quasi religiosa del suo lavoro, una vera e propria vocazione, decise di sospendere la sua attività di medico condotto nel 1789 (dieci anni dopo la laurea) perché sentiva di ingannare la gente con terapie che non curavano affatto e medicine che non guarivano per nulla.
Hahnemann annulla così i benefici di una professione che nel 1790 lo avrebbero arricchito di soldi e di fama per studiare a fondo la medicina e per trovare nuovi metodi terapeutici che non fossero utilizzati senza sapere neanche che effetto avrebbero avuto sul paziente.
Viveva di traduzioni scientifiche (che gli consentivano comunque di studiare), vista la sua enorme conoscenza delle lingue, e fu traducendo nel 1790 un trattato di farmacologia inglese (“Materia Medica” di William Cullen, medico scozzese del XVIII secolo) che apprese che i lavoratori della Cina (in inglese “China”) venivano colpiti da febbri che avevano un andamento molto simile a quello della malaria.
Visto che la China era il solo farmaco che veniva usato nella cura della malaria, questa assonanza lo portò a pensare in modo embrionale a quella che sarà poi la sua teoria omeopatica.
Per curare la malaria vengono infatti usate sostanze che nell’uomo sano generano, in dosi aeree o comunque impercettibili, febbri intermittenti simili alla malaria stessa.
Ecco nascere così l’omeopatia e la sua legge di similitudine: quando si somministra al malato una sostanza simile alla sua malattia in quantità estremamente piccola si stimolano le sue capacità reattive e quindi il processo di guarigione.
Hahnemann iniziò a sperimentare su di sé e sui suoi collaboratori sani una lunga lista di sostanze naturali in dosi infinitesimali annotandone tutti gli effetti. Era la prima volta nella storia della medicina che la sperimentazione veniva eseguita su soggetti in buona salute.
Una volta compresi gli effetti di una sostanza sulla persona in salute, la somministrazione a scopo terapeutico veniva eseguita su un soggetto malato che presentava sintomi simili.
Il resto è la storia dell’omeopatia. Il primo lavoro scientifico di Hahnemann fu pubblicato nel 1796 data che segna la nascita ufficiale dell’omeopatia moderna. Da quel momento in poi ricominciò a lavorare e sperimentare, perfezionando col tempo la sua scoperta.
Anche se Hahnemann è riconosciuto come il primo grande maestro, dalle sue teorie si sono nel tempo sviluppate tante scuole parallele che hanno dato all’omeopatia di base impronte diverse, a seconda delle esperienze dei singoli medici nell’applicazione di questa forma di medicina.
- Unicismo
Si tratta della terapia hahnemanniana più pura, basata sulla prescrizione di un solo rimedio per volta, il simillimum, rimedio il cui uso viene protratto a dinamizzazione crescente e mai decrescente (ovvero si passa dalla 7CH alla 9CH alla 12CH per esempio, ma mai al contrario) fino al conseguimento del massimo risultato terapeutico.
Quando il rimedio è stato scelto con estrema attenzione non si dovrà aspettare a lungo per vedere l’effetto: prima o poi si verificherà.
È consentito cambiare rimedio, ma è importante farlo dopo che l’effetto del precedente si è smaltito.
Questa forma di omeopatia è applicata solo dai grandi prescrittori, da quei medici che ormai sono arrivati a una sicurezza e a una conoscenza dell’arte omeopatica decisamente elevate.
Un autorevole omeopata americano dei primi del ‘900, James Taylor Kent, è stato uno dei successori più validi di Hahnemann per quanto riguarda la scuola unicista.
Il medico sosteneva che il rimedio unico (simillimum) nei confronti di un malato era come una chiave nella sua serratura.
Molti kentisti, però, possono risultare troppo integralisti, attribuendo un valore assoluto ai sintomi mentali a discapito di quelli organici. - Pluricismo
È possibile prescrivere più rimedi singoli in un determinato ordine nei casi decisamente non chiari e di patologie che si trasformano molto rapidamente e che non consentono di effettuare una terapia unica con un solo medicamento.
Questo è quanto asserisce la scuola omeopatica, che aderisce a quello che si può definire pluralismo, basata sulla prescrizione di più rimedi nella stessa giornata e, in genere, a bassa dinamizzazione.
Il più famoso esponente di questa variante dell’omeopatia è il francese Léon Vannier, che prescriveva rimedi omeopatici a seconda delle caratteristiche della malattia vista sotto diversi punti di vista, a ognuno dei quali corrisponde la somministrazione di un rimedio omeopatico.
Il pluricismo con alternanza di rimedi nella stessa giornata fu anche impiegato da Hahnemann, a titolo, secondo lui, eccezionale, in alcuni casi di tifo. - Complessismo
Questo tipo di omeopatia si realizza con la somministrazione di rimedi composti che preservano il medico da un’impegnativa analisi della persona.
Questi complessi presentano nella loro composizione un certo numero di rimedi in basse dinamizzazioni.
Si prescrivono quando, secondo scienza e coscienza, il quadro del paziente non è chiaro e si vuole guadagnare tempo per poter effettuare uno studio più approfondito della situazione o anche per pura formazione culturale del medico.
Esistono, e sono reperibili, anche prodotti complessi in cui sono presenti rimedi omeopatici e fitoterapici o altri agenti terapeutici, in numero variabile a seconda delle scuole e delle case farmaceutiche interessate e che spesso hanno nomi di fantasia o sigle e numeri.
5. Le due leggi e la ricerca del simillimum
I pilastri portanti della teoria omeopatica sono racchiusi in due leggi attinte dalla cultura medica tradizionale completamente abbandonate dalla medicina ufficiale.
Si devono a Ippocrate, V secolo a.C., l’elaborazione di due pensieri ignorati fino all’arrivo di Hahnemann, che seppe utilizzarli e valorizzarli per creare il suo metodo terapeutico completamente rivoluzionario.
1. Natura morborum medicatrix, ovvero “la natura cura le malattie”
Questo primo principio afferma che la ippocratica “vis medicatrix naturae” (forza terapeutica della natura) è la reale guaritrice di una parte delle malattie che possono colpire l’uomo.
Quando questa energia non riesce a dominare la forza della malattia allora essa può cronicizzarsi o diventare mortale.
È la natura che ci fornisce, innanzitutto, una forza o energia primaria che dovrebbe rappresentare una difesa contro gli attacchi del mondo esterno al nostro stato di salute.
Hahnemann la chiamò principio vitale e secondo la sua visione questa entità dovrebbe esprimere i potenziali insiti nel nostro organismo, i suoi organi e le sue funzioni.
Con l’individuazione del principio vitale il corpo e la mente vengono considerati espressioni diverse, ma non separate né antitetiche, di uno stesso elemento.
La malattia colpisce il principio vitale e questo attacco lascerà i suoi segni attraverso i sintomi della persona sofferente che si manifesteranno in un continuum tra un livello esclusivamente fisico e un livello esclusivamente mentale.
2. Similia similibus curantur ovvero “che il simile curi i simili!”
Nell’Organon di Hahnemann si legge: «... che quella medicina, che nella sua azione sull’uomo sano si è dimostrata capace di produrre, in modo simile, la maggior parte dei sintomi, che si trovano nel malato da curare, rimuove somministrata in dose opportunamente potentizzata e piccola, presto, radicalmente e stabilmente anche la totalità dei sintomi dello stato patologico ossia tutta la malattia presente e la trasforma in salute. Ci insegna inoltre che tutte le medicine guariscono senza eccezione le malattie, che hanno i sintomi similari più vicini, e che nessuna di dette malattie lasciano non guarita».
Se un rimedio produce un insieme di sintomi su persone considerate sane (provers), allora sarà lo stesso rimedio a essere utilizzato quando i malati presenteranno sintomi simili a quelli accusati dagli sperimentatori.
La ricerca del simillimum
Un punto fondamentale su cui ci si deve soffermare è che tutto si basa su un principio di similitudine e non di uguaglianza.
Infatti, il rimedio omeopatico scelto per la sua somiglianza nei confronti della condizione morbosa del paziente viene denominato simillimum (il più simile).
La similitudine viene così interpretata come destabilizzante per la malattia perché guida le difese naturali lungo un percorso alternativo che porta al raggiro della malattia stessa.
Il medico deve possedere le qualità di un bravo fisionomista per poter scovare le somiglianze tra un soggetto malato e la patogenesia (cioè l’insieme di sintomi che un rimedio somministrato in dosi elevate provoca in un paziente sano) di un rimedio.