“Chi invecchia giovane può godersi più a lungo la vecchiaia”, ama scherzare il compositore tedesco Christian Bruhn, alla soglia dei suoi 88 anni. Peccato, però, che invecchiare non piaccia a nessuno.
Dalla pietra filosofale alla fonte dell’eterna giovinezza, dal Santo Graal all’elisir di lunga vita, la storia dell’umanità è costellata di miti e leggende con un unico obiettivo: conquistare l’immortalità.
Non a caso, questa antica aspirazione ha finito per coinvolgere anche la scienza, impegnata da anni a studiare se e come sia possibile bloccare l’accumulo progressivo di problematiche cellulari che diminuiscono l’efficienza di corpo e mente. Ma c’è chi mette dei paletti.
Un recente studio pubblicato sulla rivista Nature communications sostiene che il limite massimo della vita umana sia di 150 anni. Un bel traguardo, comunque, se teniamo conto che l’attuale speranza di vita in Italia è di 82 anni (79,7 per gli uomini e 84,4 per le donne).
La scienza è impegnata da anni a studiare come sia possibile bloccare i processi di invecchiamento, ma la pillola miracolosa potrebbe non arrivare mai.
Al contrario, un corretto stile di vita ha dimostrato reale efficacia per ottenere un’esistenza in salute.
1. Invecchiare è inevitabile. Questione di telomeri
«L’invecchiamento è un effetto collaterale dell’essere vivi», spiega la dottoressa Chiara Segré, responsabile della Supervisione scientifica di Fondazione Umberto Veronesi.
«Tutti gli esseri viventi si sono evoluti privilegiando i processi che permettono la vita e la riproduzione rispetto a quelli che potrebbero preservare il corpo all’infinito.
Secondo i biologi evoluzionisti, questo potrebbe essere legato al fatto che la morte sfugge al nostro pieno controllo, per colpa di incidenti o altre cause accidentali, per cui gli organismi hanno favorito la sopravvivenza della specie, senza sprecare “risorse” verso quei meccanismi che avrebbero potuto consentirci di vivere in eterno».
Tutto questo è osservabile a livello cellulare: la maggior parte delle cellule, infatti, si divide per sostituire quelle vecchie, morte o danneggiate, al punto che ogni secondo nel nostro corpo se ne rinnovano circa 3,8 milioni, ossia quasi 330 miliardi al giorno.
«Ma già nel 1961 l’anatomista americano Leonard Hayflick ha mostrato che questo non avviene all’infinito, anche quando l’organismo si trova in abbondanza di cibo e risorse. Esiste infatti un numero massimo di volte in cui le cellule possono dividersi, oltre il quale si fermano, invecchiano e poi muoiono. Questo numero, detto appunto limite di Hayflick, è diverso per ogni specie animale e nell’uomo è di circa cinquanta replicazioni».
In altre parole, è una sorta di “scadenza indicativa” oltre la quale il corpo non può durare, perché poco per volta i tessuti smettono di rinnovarsi efficacemente e questo porta a un decadimento delle varie funzioni.
Le uniche cellule che sembrano avere i tratti distintivi dell’immortalità sono quelle tumorali, capaci di superare il limite di Hayflick e vivere per sempre. Ma com’è possibile?
Ogni cellula del corpo contiene il materiale genetico, suddiviso e impacchettato in strutture chiamate cromosomi: le estremità di questi ultimi (telomeri) sono particolari “cappucci” che si comportano come i piccoli cilindri in plastica che troviamo alla fine dei lacci delle scarpe, perché impediscono alla doppia elica del Dna di sfilacciarsi durante momenti delicati e instabili come le divisioni cellulari.
«Ma dopo un certo numero di divisioni e accorciamenti, prima o poi anche il cappuccio dei telomeri si consuma e il cromosoma raggiunge quella che viene definita lunghezza critica, sotto la quale non riesce più a essere replicato senza errori o squilibri. A quel punto la cellula entra in senescenza e attiva il programma di apoptosi, la morte programmata. Questo non vale per la maggior parte delle cellule tumorali, che hanno capito come riallungare i telomeri accorciati», spiega la dottoressa Segré.
Ecco perché la scienza vuole capire come replicare quel meccanismo anche nelle cellule sane, ad esempio per trovare nuove terapie e farmaci contro i tumori.
Fra le ultime scommesse della Silicon Valley (la culla mondiale dei laboratori più tecnologicamente avanzati) c’è Altos Labs, una start up che sta lavorando a una tecnologia per riprogrammare le cellule in laboratorio e ringiovanirle.
Dietro al progetto sembra esserci anche Jeff Bezos, fondatore e presidente di Amazon, fra le persone più ricche al mondo e quindi disposto a investire ingenti somme nel settore.
2. Siamo noi a fare la differenza. Strategie per aspiranti centenari
Ma se è vero che la genetica gioca un ruolo rilevante nel determinare la nostra longevità, questa non è predeterminata senza possibilità di appello, anzi.
«Negli ultimi tre decenni, la ricerca scientifica ha dimostrato quanto sia importante anche l’ambiente, inteso come tutto ciò che dall’esterno interagisce con il nostro organismo: il cibo che mangiamo, l’aria che respiriamo, la quantità di movimento che facciamo, le infezioni e le malattie che sviluppiamo, l’esposizione a elementi dannosi come fumo o alcol».
Tutti questi fattori agiscono sul nostro corpo a molteplici livelli, compreso quello più “profondo” del patrimonio genetico:
«È come se il nostro stile di vita mettesse dei segnalibri in punti specifici del Dna, suggerendo alle cellule di “leggere” certe istruzioni a scapito di altre. Per esempio, può dire loro di approfondire i capitoli che parlano di rinnovamento e restauro, tralasciando invece quelli in cui si racconta come attivare tutti quei processi energetici che inducono stress».
Questa combinazione di genetica e stile di vita spiega quindi perché alcune persone invecchiano meglio di altre: «Tradotto, se adottiamo comportamenti virtuosi possiamo spostare in avanti l’asticella della nostra vecchiaia rispetto a ciò che è determinato dalla nostra genetica», assicura la dottoressa Segré.
Da dove iniziare? Partendo dal presupposto che non è mai troppo tardi per cambiare e migliorare il proprio stile di vita, iniziamo a considerare innanzitutto l’importanza dei vaccini.
Con il passare del tempo il sistema immunitario si indebolisce e aumenta il rischio di essere colpiti da malattie che possono risultare invalidanti o addirittura mortali, per cui è bene aderire a tutte quelle vaccinazioni che possono proteggerci dalle principali malattie infettive: influenza stagionale, polmonite pneumococcica, herpes zoster (fuoco di sant’Antonio) e Covid-19.
Spesso guardati con sospetto, i vaccini sono tra gli avanzamenti medico-scientifici che hanno salvato più vite in assoluto, ancora più degli antibiotici. Secondo uno studio pubblicato nel 2021 sulla prestigiosa rivista medica The Lancet ed effettuato su 98 Paesi a medio-basso reddito, quelli cioè dove molte delle malattie per cui ci vacciniamo sono spesso ancora endemiche, solo negli ultimi vent’anni le vaccinazioni hanno evitato 37 milioni di morti e potrebbero evitarne altri 32 milioni nei prossimi dieci anni.
Di pari passo deve andare la prevenzione secondaria, che consiste nel sottoporci a controlli periodici per diagnosticare il più precocemente possibile eventuali patologie, soprattutto tumorali, in modo da avviare subito un trattamento. Altrettanto importante è risposare in modo adeguato.
«Dedichiamo al sonno circa 7-8 ore per notte, perché mentre riposiamo il nostro cervello fa pulizia, eliminando le informazioni non necessarie che “ingolferebbero” il sistema e consolidando al contempo quelle utili. La funzione positiva del sonno non si limita però al cervello: riguarda anche il sistema nervoso vegetativo, che a sua volta è un importante regolatore della pressione sanguigna, del battito cardiaco e, quindi, della salute cardiovascolare».
3. Quanto conta l’alimentazione
Ma il vero segreto sembra risiedere in quello che portiamo in tavola.
«In base agli studi scientifici attualmente disponibili, l’alimentazione rappresenta l’unico intervento davvero in grado di rallentare i processi di invecchiamento e allungare sostanzialmente la durata della vita. L’attività fisica invece, stando almeno alle ricerche compiute sui modelli animali, migliora la salute ed è quindi fondamentale, ma non incide sulla longevità», interviene il professor Luigi Fontana, direttore del Centro per la Longevità in salute presso il Charles Perkins Centre dell’Università di Sydney, considerato uno dei massimi esperti mondiali nel campo della nutrizione e della longevità.
Ma allora che cosa dobbiamo mangiare per aspirare a diventare dei sani centenari? Più che “cosa”, sono il “quanto” e il “quando” che contano: i ricercatori parlano infatti di restrizione calorica, cioè di una restrizione moderata dell’apporto calorico senza malnutrizione, cioè con tutte le vitamine, i sali minerali e gli oligoelementi necessari per restare in salute.
«Alla base esiste un preciso meccanismo evoluzionistico: in natura, tutti gli esseri viventi sono stati “programmati” per trasmettere i loro migliori geni alla discendenza al fine di conservare la specie. Siccome il cibo non è sempre disponibile, per esempio a causa di siccità e alluvioni che possono ciclicamente distruggere i raccolti, gli organismi si sono evoluti mettendo a punto particolari meccanismi metabolici e molecolari di sopravvivenza.
Quando viene percepita la carenza di cibo, i processi di invecchiamento cellulare rallentano, perché le limitate risorse energetiche vengono spostate dalla procreazione al mantenimento della salute cellulare e della qualità del Dna: solo così è possibile trasmettere i migliori geni nel momento in cui il cibo tornerà a essere disponibile».
Ecco perché, quando mangiamo poco, il nostro organismo percepisce una sorta di “carestia” e si mantiene più giovane ed efficiente, minimizzando tutti quei danni che possono deteriorare le cellule e i tessuti.
4. Cos’è la restrizione calorica. Nessun cibo è miracoloso
Prima regola, dunque: più che controllare il peso sulla bilancia, mettiamoci davanti allo specchio e osserviamo la circonferenza vita.
Se notiamo un accumulo di grasso a livello addominale, significa che abbiamo un introito energetico esagerato e, di conseguenza, stiamo invecchiando più velocemente.
Quindi dobbiamo ridurre un pochino le calorie, ma come? Innanzitutto sostituendo i cibi raffinati e processati con quelli integrali e ricchi di fibre, come verdure, legumi, cereali integrali e frutta, abbinati a pesce e frutti di mare, con un ridotto consumo di carne e latticini.
L’ideale è seguire la classica dieta mediterranea, ma usando il buonsenso: per esempio, è vero che l’olio extravergine di oliva è benefico, ma un singolo cucchiaio apporta 120 calorie, per cui un uso generoso non va a nostro vantaggio, soprattutto se conduciamo una vita sedentaria.
Un altro trucco per attuare la restrizione calorica è mettere nel piatto piccole porzioni di cibo: se dopo aver consumato la prima avvertiamo ancora fame, possiamo prenderne una seconda piccola porzione, e così via, fermandoci quando ci sentiamo sazi all’ottanta per cento, cioè quando ne mangeremmo ancora una mezza porzione.
Se siamo in sovrappeso, può essere utile abbinare uno o due giorni di digiuno vegetale alla settimana, in cui possiamo consumare solo verdure cotte e crude a volontà e legumi, conditi con un massimo di due cucchiai di olio extravergine di oliva al giorno.
È fondamentale anche fare tanta attività fisica, sia aerobica che di resistenza, per prevenire il rallentamento del metabolismo basale e l’insulino-resistenza, oltre che per mantenere una buona massa muscolare e ossea. Al contrario, nessun cibo preso singolarmente è in grado di allungarci la vita.
Nonostante le campagne pubblicitarie che di tanto in tanto promuovono alghe, cacao, patate viola, mirtilli, broccoli e altri “super alimenti”, non c’è alcuna dimostrazione scientifica che il loro consumo regolare possa effettivamente renderci più longevi. È come se, considerando fondamentali le ruote, ne volessimo mettere venti alla stessa auto.
Sarebbe assurdo, perché le ruote sono importanti tanto quanto gli altri pezzi dell’automobile. Piuttosto sono l’equilibrio e la varietà a fare la differenza: non dobbiamo mangiare sempre le stesse cose, ma cerchiamo di spaziare fra le diverse tipologie di frutta fresca e secca, verdura, legumi, cereali integrali, semi oleosi.
Questo si associa tra le altre cose a una maggiore diversificazione dei batteri presenti nel microbiota intestinale, che invecchiando tende a perdere questa vantaggiosa varietà.
Allo stesso modo non esistono a oggi integratori che possano compensare uno stile di vita sbagliato e farci invecchiare meglio. Ci sono effettivamente degli studi in corso che stanno valutando il ruolo biologico di sostanze come la rapamicina e altri potenziali composti geroprotettori, in grado di ritardare l’insorgenza delle co-morbilità tipiche degli anziani.
Il sogno è quello di mimare con un farmaco i benefici indotti dalla dieta e dall’attività fisica, ma al momento è tutto nelle nostre mani. Tra l’altro, “medicalizzare” l’invecchiamento può essere pericoloso, perché ci deresponsabilizza e soprattutto distoglie l’attenzione da un tema fondamentale: non sarebbe giusto investire più sulla qualità della propria vita che non sulla sua durata?
Vivere qualche anno in più, magari in cattiva salute, un’esistenza carica di dolore fisico ed emozionale, priva di generosità, compassione, creatività e spiritualità non è il massimo.
Le persone sono sempre più scontente, egoiste, arrabbiate, dipendenti da farmaci e sostanze psicotrope o shopping compulsivo. La ricerca della longevità non deve essere ossessiva, ma va inquadrata sempre e solo nell’ottica di una crescita personale, familiare, sociale e globale in armonia con madre natura.
5. Il peso della mente. Via gli stereotipi
In effetti, fra le strategie del cosiddetto active aging (invecchiamento attivo) devono rientrare anche aspetti quali coltivare le relazioni sociali, partecipare alla vita di comunità, avere hobby e interessi gratificanti, mantenere e continuare ad alimentare una propria progettualità di vita verso il futuro.
Le nostre abilità intellettive, come memoria, attenzione, pianificazione e ragionamento, assumono un peso rilevante nel corso di tutta la vita, perché determinano la nostra capacità di svilupparci, apprendere, autodeterminarci e rispondere alle richieste del mondo esterno.
È quindi fondamentale “pre-occuparci” di questi aspetti per poter stare sempre bene, indipendentemente dall’età. In tal senso, dobbiamo combattere una visione dell’invecchiamento che vede questa fase della vita come l’età del riposo e del declino.
E invece, da qualche anno a questa parte, il pensionato simbolo è diventato l’umarell, una parola derivata dal dialetto bolognese che indica l’anziano con le braccia conserte dietro la schiena, intento a guardare quelli che lavorano, perché deve trovare un modo per “ammazzare il tempo”. Il guaio è che questa mancanza di prospettiva non favorisce, ma al contrario limita l’invecchiare con qualità.
Da dove iniziare? Per prima cosa, già a partire dai 50 anni, è bene fare un check-up: Così come ci sottoponiamo a screening periodici per valutare i livelli di glicemia e colesterolo, allo stesso modo dobbiamo controllare e monitorare il funzionamento delle abilità mentali che ricoprono un ruolo chiave nella quotidianità, come memoria e attenzione.
Per farlo, è necessario rivolgersi a specialisti esperti in psicologia dell’invecchiamento, che dopo aver individuato i punti di forza e di debolezza sapranno fornire suggerimenti utili e personalizzati per prendersi cura delle proprie abilità mentali. Spesso invece l’invecchiamento è legato a stereotipi come «è normale dimenticare le cose» oppure «con il tempo diventiamo tutti meno produttivi».
Questi pregiudizi fanno vivere i cambiamenti delle abilità mentali come ineluttabili e ci si convince che sia “normale” così, mentre non lo è. Oggi sappiamo che è possibile potenziare le nostre abilità cognitive a tutte le età, rallentando o attenuando il corso dell’invecchiamento cognitivo.
Si può quindi fare molto, ma attenzione: non bisogna aspettare che le défaillance della memoria limitino la nostra autonomia o che ci creino disagio e paura di fallire. Meno utilizziamo le nostre abilità, più queste tendono a peggiorare.
Tenendo conto che già intorno ai 24 anni le abilità di memoria iniziano a cambiare, non aspettiamo un’età troppo avanzata per potenziare le nostre risorse mentali e rallentare queste variazioni. Cerchiamo di circondarci di ambienti stimolanti, di essere motivati a fare sempre cose nuove e che ci facciano stare bene.
Per fortuna, la buona notizia è che non è mai troppo tardi per impegnarsi a contrastare i cambiamenti che caratterizzano l’invecchiamento: il cervello è plastico, cioè cambia continuamente in risposta alle esperienze che viviamo, e mantiene questa capacità “re-attiva” lungo tutto l’arco della nostra vita, anche nell’invecchiamento.
Questa plasticità deve essere stimolata dalle attività che facciamo, da specifici percorsi di allenamento e potenziamento cognitivo, molto efficaci sia in ottica di prevenzione sia per evitare un peggioramento degli eventuali deficit.
Concretamente si tratta di mettersi sempre in gioco, avere obiettivi, fare progetti, evitare l’isolamento, imparare cose nuove, dedicarsi ad attività stimolanti, evitare situazioni stressanti, coltivare hobby mai sperimentati prima, fare esercizio fisico, tenere alta l’autostima, mantenersi positivi.
Insomma, come diceva Stephen Hawking, «guardate le stelle e non i vostri piedi. Provate a dare un senso a ciò che vedete, e chiedetevi perché l’universo esiste. Siate curiosi». «La curiosità è fondamentale a tutte le età, perché rappresenta la leva che ci spinge verso nuove esperienze, gratificanti e piacevoli».
Note
LE 10 REGOLE PER UN SANO INVECCHIAMENTO:
1. Curiamo ogni giorno la nostra vita sociale e i legami affettivi.
2. Manteniamo un peso corporeo adeguato, contrastando sovrappeso e obesità.
3. Pratichiamo regolarmente attività fisica, che aiuta anche a scaricare lo stress.
4. Evitiamo di fumare e di bere alcolici.
5. Sfruttiamo le opportunità di prevenzione per individuare precocemente le malattie.
6. Usiamo correttamente i farmaci, senza abusarne e rispettando le prescrizioni mediche.
7. Adottiamo buone abitudini di sonno per dormire bene e a sufficienza ogni notte.
8. Proteggiamo la pelle, che più di ogni altro organo subisce l’invecchiamento nel tempo.
9. Meditiamo o preghiamo per rafforzare il senso di pace e serenità interiore.
10. Ascoltiamo il corpo e non sottovalutiamo mai i messaggi che ci invia.