Nel lontano passato l’oro misurava il valore delle cose consentendo equi scambi, poi è stato usato per definire quello del denaro.
Oggi, accumulato in lingotti nelle casseforti delle banche, rappresenta la ricchezza di uno stato e ne garantisce l’affidabilità nelle trattative internazionali.
E da sempre attrae gli investitori, anche piccoli, che lo considerano un bene rifugio.
L’oro, il cui nome e simbolo, Au, derivano dal latino aurum, è un metallo tenero di colore giallo che allo stato puro è incorruttibile, cioè non arrugginisce, è inalterabile e omogeneo.
Con una densità 19,3 volte quella dell’acqua, è secondo per peso specifico solo ai metalli del gruppo del platino. È così malleabile che è tecnicamente possibile appiattirlo in un foglio dello spessore di 0,2 milionesimi di metro.
L’oro è un metallo raro e non è inesauribile: in tutta la storia dell’uomo, dalle miniere e dalle acque dei fiumi ne sono state ricavate solo 171mila tonnellate: ne restano altre 25mila e poi non ce ne sarà più.
Dove andremo a cercarlo? Secondo i geologi, in mare: i fondali oceanici ne sono ricchissimi. Ma l’impatto ambientale è preoccupante.
Materiale d’elezione in gioielleria, l’oro serve a far funzionare telefoni, pc, radio e tv; a potenziare la vista dei telescopi e proteggere quella degli astronauti; a veicolare farmaci, identificare tossine, rendere splendente la pelle. E a molto altro ancora. Scopriamolo insieme.
1. Simbolo di ricchezza
Lo chiamano il “termometro della finanza”, “bene rifugio”, “ultima risorsa”.
Delle sue oscillazioni di valore si sente parlare continuamente in tv, così come del suo impatto sulle economie, mentre sui giornali si legge che investire in oro protegge anche i “comuni mortali”, ossia noi privati cittadini, dall’inflazione, contrasta il declino delle valute, compensa le fluttuazioni della Borsa.
Ma non è cosa di oggi. L’oro è sempre stato centrale nell’economia, fin da quando, nell’antichità, ha cominciato a essere usato come mezzo di pagamento, misurando il valore dei beni e consentendone lo scambio.
In epoche più vicine alla nostra, e precisamente nel XIX secolo, ha rappresentato il riferimento per definire il valore delle valute: in pratica il valore di ogni valuta era stabilito in equivalenza a una certa quantità di oro.
Le cose cambiarono più volte in seguito: nel 1944, 730 delegati di 44 nazioni di tutto il mondo si incontrarono a Bretton Woods (USA) e annunciarono la nascita del Gold Exchange Standard, in base al quale diventava convertibile in oro solo il dollaro americano.
Il 17 marzo 1968 venne invece introdotto un doppio regime, che fissava il prezzo dell’oro a 35 dollari/oncia per le transazioni valutarie internazionali, lasciandolo libero di fluttuare negli scambi tra privati.
Questo doppio regime fu abbandonato nel 1971, quando gli USA abolirono la convertibilità del dollaro in oro e il suo prezzo fu lasciato libero di variare in accordo alle leggi di mercato.
È stato l’ampliarsi dei mercati e degli scambi internazionali a far sì che oro e argento diventassero insufficienti a soddisfare la domanda di moneta: perciò prima si sono realizzate monete con metalli non preziosi e poi si è passati alla carta.
La moneta ha cessato di avere un valore intrinseco, ossia correlato al valore del materiale con cui era realizzata, per assumerne uno convenzionale, basato cioè sul fatto che i suoi utilizzatori lo riconoscessero.
Oggi il valore della moneta non è più sostenuto dall’oro, ma è intimamente correlato all’affidabilità dello Stato in cui quella moneta ha corso legale, stabilita in base al livello di debito pubblico, alla capacità di adempiere ai pagamenti e al clima politico-sociale nazionale.
Oggi le Banche nazionali continuano a tenerne nei propri caveau ingenti quantità di oro. Esso ha acquisito una funzione di riserva simbolica, continuando a rappresentare simbolicamente la ricchezza nazionale, prerequisito per dialogare con banche e Stati esteri a garanzia di affidabilità.
La Banca d’Italia possiede circa 2.450 tonnellate d’oro, quantità che pone il nostro Paese nelle primissime posizioni fra i detentori d’oro a livello mondiale.
Si tratta di lingotti, detti verghe, di varie forme e pesi (in totale sono circa 95.000 pezzi, dai 4,2 ai 19,7 kg di peso, con un contenuto d’oro almeno pari al 99 per cento) e di monete d’oro (circa 870.000 pezzi, risalenti a epoche diverse e provenienti da vari Paesi del mondo – Inghilterra, Russia, USA ecc).
L’oro italiano non è però collocato interamente nella “sagrestia” di Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia a Roma: solo il 48 per cento di esso (1.195 tonnellate) si trova lì, mentre l’altro 52 per cento (1.254 tonnellate) è immagazzinato presso i depositi di Federal Reserve a New York (USA), Bank of England a Londra (UK) e Banca per i Regolamenti Internazionali a Berna (Svizzera).
Una parte delle 1.195 tonnellate custodite a Roma, inoltre, non rientra nelle disponibilità della Banca d’Italia: 141 tonnellate di oro sono infatti a disposizione della Banca Centrale Europea per la costituzione – insieme alle altre riserve degli Stati aderenti all’Unione Monetaria Europea – della riserva aurea comunitaria.
Oggi la Borsa di Londra è il referente universale per la quotazione dell’oro (due volte al giorno dirama le valutazioni).
Il prezzo dell’oro sui mercati ha subito nel tempo ampie oscillazioni, segnando un record di oltre 1.900 dollari USA/oncia (quindi oltre 60 dollari a grammo) nell’agosto 2011 e un minimo di 252,90 dollari USA/oncia (8,131 dollari il grammo) il 21 giugno 1999.
Nel 2018, il prezzo dell’oro ha scambiato sopra i 1.300 dollari fino a maggio, per poi invertire il trend arrivando a metà agosto a toccare i 1.170 dollari l’oncia; al tonfo ha fatto seguito un tentativo di recupero che non è riuscito a riportare le quotazioni sopra i 1.300.
2. Conviene investire in oro?
Negli ultimi anni investire in oro è diventata un’attività sempre più praticata.
L'oro costituisce un investimento finanziario difensivo data la stabilità nel lungo termine del suo valore commerciale e la sua sostanziale mancanza di correlazione all’andamento del mercato azionario e obbligazionario.
Ma come si fa praticamente a investire in oro? Il metodo più diffuso è ricorrere a strumenti finanziari come gli Etf (Exchange Traded Fund) e gli Etc (Exchange Traded Commodities), che sono basati sull’andamento del suo prezzo, ma non implicano la proprietà di quantità fisiche.
È bene ricordare, però, che l’oro, come quasi tutte le materie prime, è quotato in dollari. Di conseguenza i rendimenti derivanti dall’investimento risentono anche degli effetti dell’andamento del cambio euro/dollaro.
Alternativamente è possibile investire in oro acquistandolo fisicamente sotto forma di monete e lingotti: questa modalità di investimento non è correlata all’andamento e ai costi dei mercati finanziari, pur essendo caratterizzato da costi e rischi legati alla custodia della materia prima.
Non è, invece, possibile comprare azioni dell’oro; un operatore può però acquistare azioni di società minerarie, il cui andamento finanziario è strettamente correlato con quello della materia prima.
Questa tipologia di investimenti indiretti permette di scommettere sul movimento del prezzo della materia prima senza esporsi direttamente su di essa, ma sulle azioni di una società per la quale è di fondamentale uso.
I rischi di un investimento del genere sono quindi legati all’andamento finanziario della società, e quindi delle sue azioni, che non dipende in maniera esclusiva dall’andamento dell’oro.
Ma perché l’investimento in oro attrae gli operatori? Innanzitutto perché consente di “mettere al sicuro” il capitale, avendo il prezzo una bassa volatilità (subisce lievi cambiamenti nel corso del tempo).
L’oro, poi, offre rendimenti sul lungo periodo perché grazie al suo pregio tende ad aumentare di valore. Ciò avviene soprattutto nei momenti di maggiore insicurezza economica, in quanto molti lo scelgono come investimento per la sua stabilità.
Una stabilità garantita anche in caso di default: l’oro è un bene fisico e, pertanto, non è soggetto a fallimento, ma conserva in maniera duratura le sue caratteristiche fisiche e dunque il suo valore.
Dove e come furono decise le regole di misurazione e quotazione dell’oro? Le leggi di mercato sono figlie delle necessità che emersero nel XIX secolo in America, quando tra il 1830 e il 1896 migliaia di comuni cittadini si riversarono in California, Colorado, Nevada, Montana, Klondike, Yucon, Alaska alla ricerca del prezioso metallo.
Fu quindi “la corsa dell’oro” a richiedere un preciso standard di regole per stabilirne il valore. Così si decise che l’unità di misura dell’oro fosse la cosiddetta oncia troy (31 grammi circa) e la valuta esclusiva fosse in dollari americani. Parametri sempre più precisi furono introdotti quando l’oro venne immesso nel circuito delle Borse di tutto il mondo.
3. Con tutto l'oro estratto dalla terra riempiremmo solo 4 piscine
Fino a oggi sono state estratte 171mila tonnellate d’oro che, se fossero fuse tutte insieme, occuperebbero un cubo di 21 metri per lato: meno del volume d’acqua contenuto in 4 piscine olimpioniche.
Ancora più esigue sono le riserve accertate: si stima che sotto terra vi siano ancora circa 25mila tonnellate estraibili con profitto dalle attuali tecnologie.
Rapportate al cubo di cui sopra formerebbero un piedistallo di circa 3 metri di altezza. Tutti vogliono l’oro e tutti lo cercano. Ma trovarlo non è facile. Tra i minerali più rari in natura, è presente quasi esclusivamente in piccole quantità mescolato alle rocce.
La sua concentrazione media nella crosta terrestre è di 0,005 parti per milione, il che rende costose le tecnologie di estrazione. Il prezioso metallo affiora in superficie solo in specifiche regioni del pianeta.
A scoprire il perché è uno studio condotto nella regione del massiccio del Deseado, in Patagonia, dal geologo José Maria Gonzalez Jimenez dell’Università di Granada (Spagna).
Quell’area, caratterizzata da un’alta concentrazione di depositi d’oro, risale a 200 milioni di anni fa, quando Africa e Sudamerica facevano parte dello stesso continente.
«La loro separazione», ha spiegato Jimenez, «è stata causata dall’ascesa di una porzione del mantello (strato sottostante alla crosta su cui viviamo), che inizia 17 km sotto gli oceani e 70 sotto i continenti. L’oro in esso contenuto è arrivato in superficie con le eruzioni vulcaniche: lo dimostrano le particelle auree trovate negli xenoliti, frammenti di mantello terrestre inglobati dalle lave in risalita verso la superficie».
La maggior parte dell’oro della Terra si trova in filoni, o vene aurifere, assieme a materiali come quarzo, solfuro, calcite e vari minerali argillosi. Le vene aurifere possono avere uno spessore che va da pochi centimetri a 4 metri, una lunghezza di diverse centinaia di metri e profondità di chilometri.
Fra le più ricche finora scoperte ci sono quelle sudafricane di Tau Tona, a 70 km da Johannesburg, che hanno fornito il 40 per cento circa di tutto l’oro estratto sul pianeta. La miniera che le sfrutta, la più profonda del mondo, si spinge fino a 3,9 km nel ventre della Terra.
Gli 800 chilometri di gallerie che la compongono si raggiungono attraverso “gabbie” a tre piani, capaci di trasportare 120 persone alla volta a una velocità di 16 metri al secondo. Il viaggio dalla superficie ai luoghi di lavoro richiede più di un’ora.
Laggiù c’è una città sotterranea dove vivono in condizioni durissime migliaia di lavoratori. Affinché sopravvivano si ricorre a enormi ventilatori che soffiano su una poltiglia di ghiaccio e sale, pompando aria fredda nei pozzi per mantenere sui 28 gradi una temperatura che altrimenti toccherebbe i 55.
Problemi diversi riguardano le miniere a cielo aperto: fra questi, un impatto ambientale elevato e la necessità di spostare enormi quantità di materiale per giungere al giacimento.
È il caso della miniera di Grasberg, situata nella provincia indonesiana di Irian Jaya (Nuova Guinea). Situata a 4.000 m di quota, è la più grande al mondo di questo tipo. Il suo pozzo circolare, del diametro di 4 km, è a rischio di crolli e dopo vari incidenti mortali gli operai hanno bloccato l’estrazione.
La seguono nella classifica delle miniere più produttive la Goldstrike e la Cortez in Nevada (Usa), la Pueblo Viejo (Repubblica Dominicana), la russa Olimpiada, nella regione siberiana di Krasnoyarsk, la Yanacocha di Cajamarca (Perù) e le australiane Boddington e Super Pit.
4. Un tesoro portato dai fiumi
Le miniere non sono l’unica fonte dell’oro. In alcune aree sono i corsi d’acqua a trasportare a valle all’interno dei loro sedimenti una miriade di preziose pagliuzze.
Quest’oro “secondario” proviene dalla continua disgregazione delle rocce contenenti i giacimenti auriferi primari, favorito dall’azione combinata di trasporto morenico e fluvioglaciale per opera delle acque di scioglimento dei ghiacciai.
Essendo molto più pesante delle sabbie trasportate dai fiumi, l’oro si deposita dove le correnti sono deboli ed è facile trovarlo nei banchi di sabbia formatisi al riparo di rocce sporgenti e all’interno dei meandri.
In prossimità dei giacimenti primari le pagliuzze conservano la tipica struttura di cristallizzazione dell’oro, con forme angolose spesso cubiche, mentre i granuli alluvionali hanno una forma arrotondata e piatta: sono le cosiddette pepite.
Fu proprio il casuale ritrovamento nel 1896 di alcune pepite nel fiume canadese Klondike a indurre oltre 100mila uomini a trasferirsi in quelle zone gelide per setacciarne le acque nella più famosa delle “corse all’oro”. Si calcola che il loro infaticabile lavoro ne abbia prodotto almeno 400 tonnellate.
Il processo di raffinazione dell’oro avviene normalmente nei pressi delle miniere e comporta la lavorazione di enormi quantità di roccia. In media, infatti, da 1 tonnellata di materiale roccioso si ricavano meno di 10 grammi d’oro.
La roccia viene frantumata e immersa in acqua alla quale sono aggiunte piccole quantità di mercurio o di cianuro.
- Il primo si lega all’oro e consente di recuperare il metallo giallo con un processo chiamato di “amalgamazione”.
- Il secondo induce la formazione di composti solubili dai quali è possibile estrarre l’oro mediante elettrolisi. Una volta raffinato, il metallo viene fuso e posto in stampi da cui si ricavano i lingotti, poi punzonati con numeri di serie e venduti per i vari impieghi.
In futuro sarà però sempre più difficile ottenere altro oro. Per Pier Lasson, co-fondatore di Franco-Nevada, una società canadese che si occupa di investimenti nel campo dell’estrazione di metalli auriferi, i grandi giacimenti si stanno esaurendo e molte miniere stanno per completare i loro cicli di vita.
Una speranza potrebbe venire dal mare. Secondo recenti studi, nei fondali oceanici si trova una quantità di oro oltre 20 volte più concentrata di quella estraibile scavando sotto la crosta terrestre: depositi generati dalle sorgenti idrotermali sottomarine, veri e propri geyser che emettono fluidi con temperature superiori ai 600 °C.
Quando quei fluidi vengono a contatto con l’acqua di mare ghiacciata, i minerali in essi contenuti si solidificano e precipitano sul fondo dell’oceano.
La Noaa, l’Amministrazione statunitense per l’oceano e l’atmosfera, stima che i fondali potrebbero offrire quattro chilogrammi di metallo giallo per ogni abitante della Terra.
Malgrado le perplessità legate alle conseguenze per l’ecosistema, la nuova corsa al metallo giallo è cominciata con l’accordo dell’Isa, l’Autorità per i fondali marini delle Nazioni Unite, che nel 2013 ha dato il via libera alle licenze per scavi nei fondali oceanici.
Dove si trova l’oro in Italia? Si trova quasi tutto nelle Alpi occidentali, soprattutto nel gruppo del Monte Rosa: qui ci sono i giacimenti primari, ancora ricchi di oro, ma impossibili da sfruttare perché irraggiungibili.
A trasportarne a valle una piccola parte sotto forma di pagliuzze sono i fiumi (come Po, Ticino, Dora Baltea e Riparia) e i torrenti (come Orco, Sangone, Malone e Stura).
Tracce d’oro sono state trovate anche nell’Appennino ligure presso Ovada, in Toscana nel fiume Fiora, in Sicilia nelle montagne del Messinese e nei corsi d’acqua vicino all’Etna, e in numerosi punti della Sardegna.
Per raccoglierlo, ai cercatori basta munirsi di appositi setacci e pazienza. Non è vietato cercare l’oro nei fiumi, a patto di rispettare le norme locali vigenti.
5. Prezioso sì... ma soprattutto utile
Di tutti i minerali, nessuno consente un numero maggiore di utilizzi dell’oro, grazie ad alcune proprietà che lo rendono davvero unico: malleabilità, elevata conducibilità elettrica, inalterabilità, assoluta compatibilità biologica.
L’oro, cioè,
può essere “stirato” in fili lunghissimi o appiattito in foglie sottili, è inattaccabile da agenti chimici esterni, non si ossida, non si deteriora e non cambia stato se non sottoposto a forti variazioni termiche.
Oltre a essere insapore, tanto che gli assaggiatori di cibi si servono di cucchiaini d’oro per essere sicuri che non vi sia alcuna influenza “esterna” sul cibo, è anche commestibile: da anni l’Unione Europea lo ha approvato come additivo alimentare, inserendolo tra i coloranti.
- Nell’elettronica
In ogni pc, telefono cellulare, apparecchio radio o tv c’è dell’oro, scelta ideale per la placcatura di contatti, terminali, circuiti stampati e semiconduttori perché è in grado di trasmettere le informazioni digitali meglio di qualsiasi altra
sostanza.
Un comune computer, per esempio, ne utilizza quasi mezzo grammo nelle schede elettroniche e nelle zone di contatto, dove serve da antiossidante.
Nei cellulari il metallo prezioso è addirittura visibile, essendo posto nella zona dove si innesta il caricabatterie.
Ciò spiega perché l’elettronica sia il terzo consumatore d’oro dopo l’industria orafa e la produzione di lingotti e monete.
Secondo il World Gold Council, l’associazione industriale delle principali aziende minerarie aurifere, nel 2017 sono state ben 265 le tonnellate d’oro utilizzate in elettronica, il 4 per cento in più rispetto al 2016.
Nei milioni di tonnellate di apparecchi hi-tech dismessi in tutto il mondo si nasconde dunque un vero tesoro.
Uno studio dell’US Geological Survey ha calcolato che 1 tonnellata di schede elettroniche contenga da 40 a 800 volte la quantità di oro contenuto nel minerale d’oro estratto negli USA.
Metterci le mani sopra non è però facile. Per ora se ne recupera solo il 15 per cento, tramite un processo altamente inquinante nel quale i componenti plastici vengono bruciati lasciando libero il metallo.
Nella foto sotto, scheda elettronica di un personal computer. L’oro utilizzato è pari a circa mezzo grammo. Serve da antiossidante.
- Nella tecnologia aerospaziale
Poiché è inerte e di conseguenza non si ossida e non si annerisce, i progettisti aerospaziali usano largamente l’oro nei contatti elettrici dell’elettronica di bordo. Non solo.
A rendere più acuta la vista del costruendo James Webb Space Telescope della Nasa, il più complesso telescopio astronomico mai progettato, sarà il sottilissimo strato d’oro che fa risplendere i 18 pannelli esagonali del suo specchio (foto a sinistra in alto).
L’oro riflette le lunghezze d’onda infrarosse della luce che consentono di rilevare gli oggetti celesti più deboli come le galassie molto lontane.
Queste proprietà riflettenti lo rendono un rivestimento prezioso per proteggere dagli effetti corrosivi della luce ultravioletta e dei raggi X le parti più delicate dei satelliti ma anche le visiere degli astronauti impegnati nelle passeggiate extraveicolari: il policarbonato che compone queste ultime è infatti rivestito da un sottile strato d’oro che ha il compito di difendere gli occhi dalla luce solare filtrandola.
Una placcatura d’oro riveste anche i messaggi per gli extraterrestri incisi sui dischi installati a bordo delle due sonde Voyager.
Spediti nello spazio una quarantina di anni fa, resisteranno nel vuoto cosmico molto più a lungo delle sonde che li contengono.
Nella foto sotto, il policarbonato di cui sono fatte le visiere dei caschi degli astronauti è rivestito da un sottile strato d’oro che difende gli occhi dalla luce solare filtrandola.
- In medicina
L’impiego dell’oro per curare vari tipi di infermità risale a migliaia di anni fa.
Gli antichi cinesi ritenevano che curasse il vaiolo, le ulcere della pelle e il morbillo.
Gli Egizi lo consideravano un potente ringiovanente, capace di conferire vigore e forza.
Molte culture, ritenendo che nulla di così meraviglioso e incorruttibile come l’oro potesse essere un male per il corpo, lo assumevano sotto forma di minute particelle mescolate a cibi o bevande.
Grazie alla sua compatibilità con i tessuti organici, l’impiego di maggior successo dell’oro riguardò le protesi dentarie: già gli Etruschi nel IV sec. a.C. erano abilissimi nel creare ponti e corone del giallo metallo.
Per trovare la prima menzione nella medicina moderna dell’uso di composti aurei si deve però attendere il 1929, quando lo scienziato francese Jacques Forestier trattò pazienti con artrite reumatoide con iniezioni di oro-sodio aurothiomalato.
Da allora la tecnologia medica ha fatto passi da gigante e non solo l’oro è presente ovunque, dai connettori di pacemaker ai più raffinati impianti acustici, ma se ne stanno sperimentando applicazioni sempre più avanzate. In oncologia si sta studiando l’impiego di nanoparticelle colloidali d’oro, aggregati di atomi aurei non più grandi di una decina di miliardesimi di metro: tali dimensioni consentono il trasporto mirato di farmaci antitumorali nelle cellule, aumentandone gli effetti.
Esperimenti condotti sui topi ne hanno dimostrato l’efficacia nell’accrescere la capacità di alcuni anticorpi monoclonali di colpire le cellule tumorali in alcune forme di leucemia e di cancro alla prostata.
Uno studio dell’Università di Torino e dell’École Polytechnique Fédérale di Losanna (Svizzera) sta poi aprendo la via a una nuova generazione di antivirali per combattere malattie come Aids, dengue e polmonite dei neonati.
Si tratta dell’impiego di nanoparticelle d’oro che, imitando i recettori delle cellule utilizzati da molti virus per infettare i tessuti del nostro corpo, sono in grado di esercitare una pressione locale sulla particella virale, causandone l’irreversibile distruzione.
Anche la diagnostica sta cominciando a servirsi con profitto dell’oro. Soluzioni d’oro colloidale, infatti, sono impiegate per la messa a punto di test per l’identificazione di alcune micotossine o per la ricerca di sangue occulto nelle feci.
Nella foto sotto, maschera con la foglia d'oro. È un trattamento di bellezza amato dalle star: regala al viso immediata luminosità.