Negli ultimi anni alcune nuove “paleo-scienze” (paleobiologia, genetica e antropologia evolutiva, paleoclimatologia, archeozoologia, biogeochimica) ci hanno permesso di osservare il nostro lontano passato con uno sguardo più acuto.
Tutte queste discipline hanno aiutato i ricercatori a capire chi fossero davvero gli uomini di Neandertal, spazzando via quanto si pensava di questi nostri “strani cugini”.
A partire da quest’ingannevole parentela. In noi europei sopravvive almeno il 20 per cento del genoma neandertaliano.
Lo dicono i ricercatori di genetica evolutiva che hanno spazzato via luoghi comuni secondo i quali questi nostri lontani antenati sarebbero stati più simili a bestioni che a esseri umani. In realtà erano intelligenti, parlavano e avevano una vera e propria cultura.
Anche se i Neandertal scomparvero misteriosamente dall’Europa, i dati recenti sostengono una nuova teoria che riscrive la nostra preistoria. Diversi paleoantropologi pensano che l’Homo neanderthalensis si sia fuso in noi invece di scomparire.
In altre parole, il Neandertal avrebbe subito una “estinzione per ibridazione. I Neandertal, quindi, non sono scomparsi: in un certo senso, sono dentro di noi.
1. Brutti ceffi pelosi? Erano alti meno di 1,70 metri
Sin dai primi del Novecento e per molti decenni, l’Homo neanderthalensis, ovvero l’uomo di Neandertal, è stato descritto e rappresentato come un essere metà scimmia e metà uomo, una “creatura brutale” dall’aria minacciosa ed ebete.
In seguito lo si è ritratto come un umanoide peloso con una fronte alta due dita a suggerire un’intelligenza limitata.
Ancora oggi, in alcuni articoli e in molte pubblicazioni anche scolastiche, è ritratto come un “brutto ceffo peloso” dall’aria inquietante, messo a confronto con un rassicurante Homo sapiens dagli occhi azzurri, la pelle chiara e i capelli lunghi.
Diciamolo subito: questo modo di rappresentare Sapiens e Neandertal non ha alcun fondamento scientifico. È una bufala e come tutte le bufale basate sull’ignoranza è pericolosa.
Quando si sono incontrati in Medio Oriente, tra 80mila e 50mila anni fa, e poi in Europa, a partire da 40mila anni fa, i Sapiens e i Neandertal erano abbastanza diversi tra loro, ma non come li abbiamo immaginati.
I Neandertal erano uomini dei ghiacci, muscolosi, tarchiati e fortissimi come un body builder odierno, ma decisamente più bassi di Arnold Schwarzenegger; avevano la pelle chiara, gli occhi verdi o azzurri, i capelli rossi o biondi: i colori di un irlandese di oggi, con molte lentiggini.
I Sapiens invece erano africani: alti, longilinei e scuri di pelle, con i tratti del viso simili a Balotelli o al rapper franco-congolese Maître Gims. La verità scientifica dunque è una sola: i Sapiens sono nati neri e tali sono rimasti per gran parte della loro storia evolutiva; i Sapiens europei avevano la pelle scura ancora 8mila anni fa.
Gli uomini Neandertal erano alti tra 1,64 e 1,68 m e pesavano circa 80- 90 chili; le donne non superavano 1,56 m e pesavano in media 70 chili. Tutti possedevano un’ossatura corta e molto robusta, e una muscolatura poderosa.
Erano prevalentemente destrorsi, come noi, e avevano in maggioranza il gruppo sanguigno 0, come una significativa percentuale della popolazione attuale.
Avevano sviluppato un vero e proprio linguaggio verbale; lo sappiamo perché sono state rilevate nel DNA neandertaliano le stesse mutazioni nel gene FoxP2 subite dai Sapiens anatomicamente moderni, connesse alle capacità linguistiche.
2. Più forti di noi
Cacciatori-raccoglitori, i Neandertal si nutrivano di carne, tuberi, cereali (grano e orzo selvatico in particolare), erbe, frutta secca e datteri, molluschi e pesci; arrostivano la carne e sapevano cucinare un brodo e una minestra; conoscevano le piante medicinali come antichi erboristi.
Fabbricavano raffinati strumenti in pietra e disponevano di una vera e propria tradizione culturale che tramandavano oralmente di padre in figlio. Seppellivano i morti e praticavano il cannibalismo come i Sapiens.
Si vestivano di pelli e pellicce animali, fabbricavano calzari con cortecce di betulla, si decoravano il corpo con l’ocra rossa e pigmenti gialli e neri come i popoli dell’Amazzonia; facevano collane di artigli d’aquila e conchiglie, usavano le grandi penne degli uccelli per adornarsi come i nativi americani delle Grandi Pianure.
Aiutavano gli anziani e i malati non più autosufficienti e mostravano empatia e solidarietà proprio come noi. Avevano culture simboliche complesse e forse dipingevano i muri delle caverne (sono state ritrovate delle pitture rupestri in Spagna, nella grotta di El Castillo). Insomma, erano uomini. Uomini a pieno titolo.
Scrivono Silvana Condemi e François Savatier nel loro saggio Mio caro Neandertal. Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli (Bollati Boringhieri): «La struttura del Neandertal era brevilinea, rivestita di muscoli la cui forza traspare dalle inserzioni muscolari (i punti di attacco dei muscoli alle ossa) particolarmente marcate. Basta esaminare le inserzioni dei deltoidi, i muscoli che uniscono le scapole alle braccia, che sono 3 (mentre noi ne abbiamo 2) per rendersi conto che i neandertaliani potevano servirsi delle braccia con un’ampiezza maggiore rispetto ai Sapiens e con una forza che a noi apparirebbe titanica».
Le loro mani poderose non erano solo più forti, ma anche più flessibili delle nostre. Avevano probabilmente anche una vista superiore e una capacità uditiva pari se non migliore. Il sequenziamento completo del genoma neandertaliano e il confronto con il genoma dei Sapiens ha permesso di identificare un centinaio scarso di geni esclusivi dei neandertaliani:
«Si tratta di geni implicati nello sviluppo del sistema immunitario, del metabolismo, della struttura di pelle e scheletro e nello sviluppo cognitivo. Nella maggior parte dei casi, ancora non sappiamo come queste peculiarità genetiche si traducessero nella fisiologia del Neandertal», dicono Condemi e Savatier.
Quello che s’intuisce dall’analisi di questi geni è che i Neandertal probabilmente avevano un fegato ipertrofico per digerire meglio una quantità enorme di carne e bruciare il triplo delle nostre calorie (anche 7mila al giorno) e una capacità di cicatrizzazione delle ferite decisamente migliore della nostra.
Nella foto sotto a sinistra, il cranio di un Homo sapiens, a destra quello di un Homo neanderthalensis. Quest’ultimo presenta tratti peculiari come la proiezione in avanti e il toro sopraorbitario, una protrusione dell’osso frontale al di sopra delle sopracciglia.
3. Viso a “cuneo”
Il viso dei Neandertal era molto grande, ma più stretto di quello dei Sapiens, e aveva zigomi evidenti ma sfuggenti poiché le ossa zigomatiche erano in posizione più laterale (nei Sapiens sono in posizione frontale).
La caratteristica più notevole era data dal prominente “toro sopraorbitario”, una sorta di visiera ossea sopraccigliare, posta al di sopra degli occhi, sporgente e capace di conferire uno sguardo che noi oggi troveremmo particolare.
Gli occhi erano enormi, il naso era largo e dalla linea più orizzontale rispetto alla nostra; il mento era sfuggente e lo spazio tra bocca e naso notevole per alloggiare denti voluminosi con lunghe radici.
Tutto il viso era proiettato in avanti: visto di profilo, il volto di un Neandertal aveva un tipico andamento “a cuneo”, ossia appuntito e triangolare.
Anche la forma del cranio era molto diversa dalla nostra: i Neandertal avevano «un cranio che si sviluppava in lunghezza e non in altezza come quello dei Sapiens», sostengono Condemi e Savatier.
La loro capacità cranica media era di circa 1.550 centimetri cubici, mentre la nostra attuale è di 1.400; un cranio neandertaliano ritrovato nella Grotta di Amud, in Israele, e datato 70.000-50.000 anni fa, mostra un volume endocranico di ben 1.750 centimetri cubici.
Un cranio più grande non significa necessariamente più intelligenza: questa dipende dall’architettura neurale, un dato che non abbiamo né avremo mai di questi uomini.
Probabilmente erano molto intelligenti ma il loro cervello “funzionava” in modo un po’ diverso dal nostro: con certezza non lo sapremo mai. In ogni caso, «nulla indica che i Neandertaliani fossero meno intelligenti dei Sapiens loro contemporanei» (Condemi-Savatier).
Nella foto sotto a sinistra un Neandertal e a destra un Homo Sapiens.
4. Scomparsa e sopravvivenza
I Neandertal scomparvero misteriosamente dall’Europa: le ultime tracce nella penisola Iberica risalgono a 28mila anni fa.
Scomparvero gradualmente proprio mentre, con altrettanta gradualità, i Sapiens penetravano in Europa.
«La spiegazione più plausibile chiama in causa l’arrivo dei Sapiens, ma è comunque difficile ricostruire cosa accadde perché il processo di estinzione del Neandertal ha lasciato pochissime tracce», dicono i nostri studiosi.
Di una cosa però sono oggi sicuri: l’idea secondo cui i Neandertal goffi e primitivi sarebbero stati soppiantati da Sapiens più intelligenti e tecnologicamente avanzati non sta in piedi. E non sta in piedi neppure un’altra versione: quella secondo cui il “Caino Sapiens” avrebbe sterminato l’“Abele Neandertal”.
E allora? Da un lato occorre riconoscere che i reperti fossili sono ancora troppo scarsi per permetterci di capire quale complesso di fattori multipli abbia portato alla scomparsa dei Neandertal.
Dall’altro, forse dobbiamo cambiare la domanda: non ha senso chiedersi perché sono scomparsi per la semplice ragione che non sono scomparsi. Non del tutto, perlomeno.
Il sequenziamento del genoma dei Neandertal e il confronto con il genoma degli umani attuali ha portato a risultati eclatanti: ogni abitante dell’Eurasia preserva una percentuale di DNA neandertaliano variabile dall’1 al 4 per cento.
Poiché noi Europei, in particolare, preserviamo tutti la stessa percentuale ma non la stessa porzione di DNA neandertaliano, i ricercatori di genetica evolutiva calcolano che un buon 20 per cento (o forse più) del genoma neandertaliano sopravviva in noi.
I Neandertal, in altri termini, non sono stati solo i nostri “fratelli”, ma anche i nostri antenati. Sappiamo che Neandertal e Sapiens si sono incrociati più volte e in più aree geografiche, sempre fuori dall’Africa (nessun africano ha geni Neandertal).
I genetisti, in particolare, sottolineano che la mescolanza deve essere avvenuta grazie alla formazione di coppie composte da donne neandertaliane e uomini Sapiens perché le coppie di donne Sapiens con uomini Neandertal erano probabilmente sterili (il cromosoma Y neandertaliano doveva provocare il rigetto immunitario dei feti concepiti dalle donne Sapiens).
I dati recenti sostengono una nuova teoria che riscrive la nostra preistoria: «Diversi paleoantropologi pensano che l’Homo neanderthalensis si sia fuso in noi invece di scomparire. In altre parole, il Neandertal avrebbe subito una “estinzione per ibridazione”», dicono Condemi e Savatier.
I Neandertal, quindi, non sono scomparsi: in un certo senso, sono dentro di noi.
5. Che colore di pelle avevano i primi umani? I nostri antenati europei erano bianchi o neri?
- Che colore di pelle avevano i primi umani?
Negli scimpanzé, simili a noi dal punto di vista genetico (condividiamo il 98,8 per cento del DNA), la pelle nuda di faccia, mani e piedi è scura, mentre la pelle sotto il folto pelo scuro è bianca.
Si ipotizza che le australopitecine (ominidi vissuti tra 4,2 e 2 milioni di anni fa) avessero la pelle bianca.
Dice Sarah Tishkoff, docente di genetica evolutiva all’Università della Pennsylvania (USA): «La ragione è semplice: con un folto pelo, non hai bisogno di proteggere la pelle dall’intensa radiazione ultravioletta dell’Africa e puoi permetterti una pelle chiarissima».
Qualche milione di anni fa, i nostri antenati, cacciatori bipedi nella savana, hanno perso la pelliccia per una mutazione genica vantaggiosa: meno pelo significa maggiore capacità di abbassare la temperatura corporea dissipando il calore attraverso il sudore.
Attorno a 2-1,2 milioni di anni fa, invece, la pelle nuda ha iniziato a scurirsi.
La pelle scura è un tratto evolutivo vantaggioso alle latitudini tropicali perché è meno sensibile e diminuisce la distruzione della vitamina B9 indotta dai raggi UV; la pelle chiara al contrario è un tratto evolutivo vantaggioso alle latitudini settentrionali per meglio sintetizzare la vitamina D.
Esiste una correlazione tra il colore della pelle e la latitudine geografica. L’Homo sapiens, come gli homines prima di lui, evolutisi in Africa, avevano la pelle scura.
Fino a qualche tempo fa si pensava che i Sapiens emigrati dall’Africa verso Asia e Oceania abbiano modificato di poco il colore a seconda della latitudine, mentre quelli emigrati in più ondate verso l’Europa si siano lentamente adattati al clima e abbiano progressivamente schiarito la pelle.
Il quadro non è sbagliato, ma è più complicato di così perché la pigmentazione della pelle è un tratto geneticamente complesso.
Uno studio pubblicato su Science nel 2017 e guidato da Nicholas G. Crawford ha dimostrato che tutte le varianti geniche legate sia alla pelle molto chiara sia a quella molto scura si sono originate in Africa prima dell’evoluzione dell’Homo sapiens (avvenuta circa 300mila anni fa).
Le due mutazioni del gene MFSD12 che determinano una pelle molto scura con sfumature nere, frequente oggi tra alcune popolazioni africane, gli aborigeni australiani e alcuni indiani, si sono evolute in Africa 500mila anni fa e suggeriscono che gli Homo prima di allora avessero la pelle scura ma non troppo.
La mutazione del gene MFSD12 avvenuta in alcune popolazioni africane è divenuta poi dominante presso i Sapiens dell’Oceania.
Il gene SLC24A5, correlato alla pelle chiara dominante tra gli europei a partire da 6mila anni fa, ha anch’esso un’antica origine africana ed è ancora presente in alcune popolazioni del Sud Africa che non hanno la pelle bianca solo perché l’SLC24A5 è “sopraffatto” da altri geni che controllano la pigmentazione della pelle.
Quindi dal punto di vista scientifico non esistono bianchi e neri, ma esiste un’alta varietà di fenotipi determinati dalla complessa interazione di geni di antica origine africana e influenze ambientali.
- I nostri antenati europei erano bianchi o neri?
I nostri antenati europei (geneticamente dei Sapiens con una componente Neandertal) sono stati scuri di pelle per migliaia di anni: noi europei siamo stati neri fino a poco tempo fa.
Lo confermano molte ricerche scientifiche, tra cui un importante studio pubblicato nel novembre del 2018, firmato da numerosi ricercatori statunitensi, canadesi e inglesi.
Il crescente numero di antichi genomi ricavati da resti ossei ritrovati in siti europei risalenti a Mesolitico, Neolitico ed Età del Bronzo ha fornito dati inconfutabili: la pelle chiara ha cominciato a diffondersi in Europa in tempi piuttosto recenti, anche se le variazioni geniche che l’hanno determinata hanno iniziato a comparire circa 20mila anni fa (non abbiamo ereditato la pelle bianca dai Neandertal, in altri termini).
Nel Mesolitico (10mila-8mila a.C.), la pelle scura era la caratteristica comune di individui i cui resti sono stati rinvenuti e analizzati in Spagna, Scandinavia, Lussemburgo, Ungheria. Dai ritrovamenti inglesi, si è scoperto che chi abitava le terre dell’attuale Regno Unito aveva la pelle nera ancora nel Neolitico.
Il caso più eclatante è rappresentato dal cosiddetto “uomo di Cheddar” (nella foto sotto), il soprannome dato ai resti fossili rinvenuti nella grotta di Gough nel Somerset inglese.
I resti sono stati stimati risalire a circa 9100 anni fa: si trattava di un uomo che perì di morte violenta (lo rivela la sua lesione craniale) e che aveva probabilmente occhi chiari e pelle scura.
Tutti i dati genetici raccolti sembrano suggerire un’unica conclusione: in epoca Neolitica, la pelle scura sarebbe stata di fatto la norma, e quella chiara ancora una rarità, situazione questa che si sarebbe poi ribaltata intorno a 6mila anni fa. Il condizionale è d’obbligo perché gli studi sono ancora in corso.