Mangiare il pesce crudo è pericoloso?
No, ma solo se il pesce è stato sottoposto all’abbattimento stabilito dalla legge, che consiste nel mantenerlo a una temperatura inferiore a –20° per almeno 24 ore di seguito.
Rispettata questa norma, si può consumarlo (con moderazione) e trarre giovamento dai suoi preziosi nutrienti, soprattutto proteine e sali minerali.
1. Il rischio dell’Anisakis e le marinature
Se c’è un prodotto tra i più caratteristici della dieta mediterranea e di quella italiana in particolare è sicuramente il pesce: non c’è da stupirsi, dal momento che la nostra è una nazione peninsulare.
Prezioso alimento da un punto di vista nutrizionale, il pesce ha assistito nel corso degli anni a diverse trasformazioni sulle nostre tavole.
Secondo dati Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), dopo la crescita registrata nel 2017 quanto ad acquisti, nel 2018 nel nostro Paese si è registrato un calo di quasi il 2 per cento.
Tuttavia, questo non vale per varietà come il salmone, oramai protagonista della nostra alimentazione, e per alcune modalità del consumo: se ad esempio è avvenuto un decremento del consumo di pesce conservato come alici e sardine sott’olio, negli ultimi anni si è verificato un incremento dell’acquisto nei supermercati di quello surgelato e, nei ristoranti, del pesce consumato crudo.
Ma anche nel consumo di prodotti ittici non cotti i cambiamenti sono notevoli: se fino a qualche decennio fa pesce crudo era sinonimo di preparazioni come le alici marinate con agrumi oppure i carpacci di tonno, spada, ricciola, dentice o orata, con l’avvento della moda di sushi e sashimi il consumo di queste varietà a crudo è ormai del tutto sdoganato.
Tutto ciò ha sollevato però dubbi in fatto di sicurezza: nel 2017, ad esempio, un team di gastroenterologi portoghesi aveva fatto parlare di sé per un articolo pubblicato dal British Medical Journal in cui era riportato il caso di un trentaduenne che, dopo giorni di dolori addominali e febbre apparentemente non spiegabili, aveva scoperto grazie a una colonscopia la presenza nell’intestino della larva di Anisakis, il noto parassita che può diffondersi nel pesce crudo o poco cotto.
Ma le marinature bastano? Le parassitosi sono infatti tra i pericoli maggiori, nell’assunzione di prodotti ittici non cotti: per questo, ormai da quasi trent’anni, il Ministero della sanità prevede che il pesce possa essere consumato crudo soltanto se è stato abbattuto termicamente, ovvero precedentemente congelato a –20 gradi per 24 ore.
Attenzione, però: il pesce va considerato crudo quando non è stato cotto a temperature di almeno 60 gradi. Pertanto, anche quando è servito scottato deve sottostare a queste norme di sicurezza.
I nutrizionisti avvertono anche a riguardo delle marinature. Un esempio viene da un piatto onnipresente in ristoranti e pescherie come le alici marinate; qualora consumate senza preventivo abbattimento, sono il prodotto a più alto rischio Anisakis in Italia.
L’acidità del limone non serve infatti a ripararci da rischi. È troppo poco il tempo in cui il pesce resta a contatto del succo ed è troppo bassa la concentrazione acida per eliminare eventuali larve.
2. Può essere salutare
Se quindi è trattato termicamente nel modo corretto, il pesce può non presentare pericoli.
Anzi, sembra che il sushi in particolare possa persino rappresentare un alimento sano, equilibrato e utile al mantenimento del peso forma grazie al suo mix di proteine e riso.
Inoltre nel sushi sono presenti gli acidi grassi Omega3, tipici del pesce, fibre e i minerali contenuti nell’alga nori. I condimenti di accompagnamento, come wasabi e zenzero, aggiungono numerosi elementi nutritivi al pesce.
Diversi anni fa, inoltre, uno studio condotto da studiosi dell’Istituto di ricerca sul cancro di Aichi (Giappone) e pubblicato sul British Journal of Cancer aveva avanzato l’ipotesi di un possibile beneficio del pesce crudo nella prevenzione del tumore al polmone, patologia che ha sempre mostrato un’incidenza inferiore nel Paese del Sol Levante rispetto ad altre nazioni avanzate.
Secondo gli studiosi, sarebbero proprio i prodotti ittici consumati a crudo a fornire questa protezione più di quanto non avvenga con il pesce cotto.
Va detto che i risultati dello studio non sono mai stati confermati da altre ricerche, anche se l’ipotesi di fondo era plausibile: se non viene cotto, il pesce trattiene una maggiore quantità di acidi grassi Omega3, noti per il loro effetto protettivo sull’invecchiamento cellulare.
Essendo grassi termolabili, gli Omega3 sono più facilmente assorbibili a crudo che a cotto. Ma la cottura lo “inquina”?
Va però detto che dal punto di vista nutritivo il minor quantitativo di questi acidi grassi nel pesce cotto non è una perdita in qualche modo apprezzabile, almeno non da spingere a preferire il potenziale rischio di parassitosi collegato al consumo a crudo.
Ma anche altri nutrienti sono presenti in concentrazioni maggiori nel pesce crudo. Vitamine termolabili come la B1, B2 e B5 oltre alla vitamina E, il retinolo e i suoi equivalenti come il betacarotene sembrano più assorbibili a crudo.
Questo vale soprattutto per i pesci grassi come salmone e sgombro. È inoltre apprezzabile il fatto che il pesce crudo non contenga sostanze contaminanti che si formano quando viene cotto con alcune modalità: fritto, grigliato oppure preparato in padelle o contenitori non perfettamente puliti.
3. Meglio non eccedere
Resta il fatto che, come spiegano tutti i nutrizionisti, il pesce crudo dovrebbe comunque essere consumato con attenzione e non troppo frequentemente.
Nonostante i processi di abbattimento previsti dalla legge, un rischio di contaminazione può comunque esistere.
Potrebbe sempre capitare che qualche fornitore non abbia seguito le norme. E questo vale in particolare per i molluschi. Non fidiamoci del pescatore che li apre sotto i nostri occhi e li condisce con il limone. Queste accortezze valgono in particolare per alcune categorie di persone.
Estrema attenzione deve essere posta dalle donne in gravidanza e da quelle persone che in qualche modo hanno una compromissione del sistema immunitario: ad esempio i bambini, nei quali è immaturo, gli anziani, nei quali è affievolito, e le persone affette da patologie che lo indeboliscono.
Un’alterazione di questo fondamentale sistema che ci difende dagli attacchi esterni potrebbe permettere a eventuali patogeni di sviluppare più facilmente infezioni, non solamente di tipo parassitario come quella prodotta dall’Anisakis: esiste infatti anche il rischio di contaminazioni da micro organismi patogeni come i virus e di intossicazioni prodotte dall’assunzione di pesce contenente tossine batteriche.
L’acquirente o il cliente di un ristorante, infatti non può disporre sempre di una chiara tracciabilità dei procedimenti a cui è stato sottoposto il pesce che sta mangiando.
4. Quanto pesce possiamo mangiare e si può abbattere il pesce anche in casa?
- Quanto pesce possiamo mangiare?
Se parliamo di pesce crudo, non bisogna consumarne in eccesso e anzi dovremmo eliminarlo se facciamo parte di specifiche categorie di soggetti che presentano un sistema immunitario debole.
Quanto al pesce cotto, il consumo deve essere equilibrato e adeguato alle specifiche necessità energetiche.
Non ci sono specie da preferire perché la chiave è la varietà. La frequenza di consumo di pesce cotto raccomandata è di 3 porzioni alla settimana da circa 150 grammi.
Con i pesci più grassi dobbiamo scendere a 1-2 porzioni da 100-150 grammi. Quanto ai crostacei, più ricchi di colesterolo, il consumo deve essere una tantum.
- Si può abbattere il pesce anche in casa?
Così rispondono gli esperti: «Per essere consumato, il pesce crudo deve essere sottoposto all’abbattimento, un congelamento secondo standard di legge. Fermo restando che la cosa migliore è cuocere bene il pesce, unico sistema sicuro per risanare i prodotti animali, è possibile praticare un abbattimento domestico congelando il prodotto nel congelatore di casa per almeno 96 ore, cioè quattro giorni, a –18 gradi, ovvero la temperatura che raggiungono i congelatori contrassegnati da tre o più stelle».
5. Crudo o cotto, tutti i benefici del pesce
Il pesce rappresenta un alimento fondamentale per una corretta alimentazione. È infatti un’eccellente fonte di proteine di elevata qualità oltre che di ferro e zinco, in grado di sostituire la carne.
Non a caso è considerato un valido alleato nella prevenzione cardiovascolare e nel mantenimento del peso forma. Ecco i suoi principali nutrienti.
- PROTEINE
Il pesce fornisce proteine a elevato valore biologico: mediamente circa il 15-20 per cento del peso di una porzione di pesce è costituita da proteine. Rispetto a quelle della carne, sono più digeribili.
- SALI MINERALI, VITAMINE E FERRO
I principali sali minerali presenti nel pesce sono calcio, fosforo e iodio. Questi possono variare in funzione dell’habitat in cui ogni varietà ittica vive. Fosforo e calcio sono contenuti nello scheletro e quindi più facilmente assimilabili nei pesci piccoli, che possono essere mangiati interi.
Lo iodio invece è presente soprattutto nel pesce di mare, molto meno in quello d’allevamento. Elevate anche le quantità di vitamine: A, D e quelle del gruppo B in particolare.
Quelle liposolubili come A e D sono più abbondanti nei pesci grassi. I molluschi contengono un elevato quantitativo di ferro, superiore a quello della carne di manzo, e sono pertanto adatti agli anemici.
Nei molluschi sono presenti anche elevate quantità di zinco, un potente antiossidante.
- GRASSI E OMEGA3
La percentuale di grassi varia, tra le diverse specie, dallo 0,5 al 27 per cento del peso. La variabilità dipende dalla specie: il pesce più grasso, come salmone, sgombro, alici, sarde e pesce azzurro, è anche più ricco di acidi grassi Omega3, Epa e Dha, noti per le loro proprietà antiossidanti.
Inoltre questi quantitativi diminuiscono nei pesci di allevamento e sono inferiori nel pesce bianco. In quest’ultima varietà però i grassi sono costituiti da fosfolipidi, molto importanti per la salute in particolare del cervello. Certamente gli Omega3 sono i nutrienti più tipicamente associati, dal grande pubblico, ai prodotti della pesca.
Ricordiamo però che questi non si trovano altrove: le fonti vegetali non hanno lo stesso effetto benefico di quelle del pesce.