È una sfida contro gli avversari e contro il tempo. La maratona è la gara dell’atletica leggera per eccellenza, quella dove fatica e sudore si uniscono a tattica e scaltrezza.
Occorre saper calibrare le forze, avere la prontezza di decidere un attacco o essere capaci di attendere il momento propizio.
Quei 42,195 chilometri sono una vera e propria metafora della vita e non è un caso se la maratona fu una delle competizioni più volute nella I edizione dei Giochi Olimpici moderni, tenutasi ad Atene nel 1896.
Come racconta Marco Patucchi nel libro Maratoneti. Storie di corse e di corridori, lungo i chilometri di questa corsa si sono verificate le vicende più disparate, sospese tra storia e leggenda.
Dall’antica Grecia a oggi un’aura di leggenda circonda chi osa sfidare l’infernale distanza da coprire in questa specialità: come l’italiano Dorando Pietri, il giapponese Shizo Kanakuri e l’etiope Abebe Bikila.
Non tutti sanno, però, che vi si cimentarono anche l’attore Charlie Chaplin e Alan Turing, inventore del computer.
1. Il primo fu il greco Fidippide
L’origine della maratona risale all’antica Grecia e ha come protagonista Fidippide, un emerodromo (“colui che corre per un giorno intero”), cioè un messaggero che poteva percorrere lunghe distanze in un solo giorno.
Il 12 settembre 490 a.C. Fidippide viene incaricato di portare ad Atene la notizia della vittoria dell’esercito greco su quello persiano nella battaglia di Maratona.
Percorre quindi di corsa i 42,195 km che separano le due città. Al suo arrivo, stremato, riesce unicamente a dire Nike! Nike! Nenikekiam, cioè “Vittoria! Vittoria! Abbiamo vinto!”, poi muore per lo sforzo compiuto.
Studi recenti hanno messo in dubbio la veridicità dell’aneddoto, evidenziando però che Fidippide avrebbe comunque compiuto un’incredibile impresa sportiva: infatti sarebbe stato lui a correre da Atene a Sparta per chiedere aiuto contro l’esercito persiano, coprendo i 240 chilometri tra le due città in due soli giorni.
Questo episodio storico spinse Pierre de Coubertin, professore della Sorbona e padre dei moderni Giochi Olimpici, e il suo amico Michel Brel a proporre l'introduzione dell'evento nel programma dei primi Giochi Olimpici di Atene del 1896. Nella foto sotto, lo Stadio Panathinaikon ad Atene dove si sono svolti i primi Giochi Olimpici dell'era moderna.
La prima gara ufficiale si svolse poco prima dell'apertura ufficiale dei Giochi Olimpici del 1896 e fu un evento di qualificazione per i Giochi. Da quel momento in poi, l'evento si svolse ad ogni Olimpiade e prevedeva un percorso di 42 km e 195 m di altezza.
La maratona è senza dubbio l'evento storico più prestigioso nell'ambito dello sport classico: non a caso può essere un evento a sé stante.
Un esempio classico sono le ormai consolidate maratone in varie città del mondo (Boston, New York, Londra, Rotterdam, Fukuoka, Berlino, Parigi, ecc.), che rappresentano un evento di punta con la partecipazione di migliaia di corridori.
2. Fred Lorz e Charlie Chaplin
- Fred Lorz corse la maratona in automobile!
Il fine giustifica i mezzi: dovette pensare così Fred Lorz (1884-1914, foto sotto), atleta USA passato alla storia come “il maratoneta a quattro ruote”. Siamo alle Olimpiadi del 1904, a Saint Louis, Missouri.
L’appuntamento con la maratona era tra i più attesi e la folla esultò quando vide entrare questo atleta nel Francis Stadium, alla testa dei concorrenti.
Ma mentre il campione stava per essere premiato con la medaglia d’oro da Alice, la figlia del presidente Theodore Roosevelt, i giudici di gara scoprirono che aveva imbrogliato: dopo la partenza, infatti, si era ritirato ed era salito su un’automobile. A circa 8 chilometri dall’arrivo, ne era sceso e aveva raggiunto di corsa il traguardo.
«Stavo solo scherzando», si giustificò Lorz, che ovviamente venne squalificato. La vittoria fu assegnata al secondo arrivato, Thomas Hicks. Lui, la maratona, l’aveva corsa davvero
- Charlie Chaplin? Un corridore mancato
Se non avesse incontrato l’arte, forse sarebbe diventato un maratoneta. Charlie Chaplin (1889-1977, foto sotto) non ha mai nascosto la sua passione per la corsa.
Come raccontò in un’intervista, da giovane faceva parte del gruppo podistico di Kennington (Inghilterra): «Per me correre una ventina di chilometri era niente. Anzi, ho perfino preso in considerazione l’idea di iscrivermi alla maratona delle Olimpiadi di Londra (del 1908), ma mi sono ammalato».
Chissà cosa sarebbe successo se Chaplin avesse preso parte a quelle Olimpiadi: forse avrebbe conteso la vittoria (poi annullata) a Dorando Pietri o forse si sarebbe piazzato nelle retrovie.
Quella gara non la corse mai, ma vinse quella che lo portò al primo posto nella classifica delle più importanti e influenti star cinematografiche di sempre.
3. Dorando Pietri e Shizo Kanakuri
- Dorando Pietri cadde 5 volte. I giudici prima lo aiutarono, poi lo squalificarono
Spesso i maratoneti arrivano al traguardo stanchi e affaticati oltre ogni limite. Capitò all’italiano Dorando Pietri e alla svizzera Gabriela Andersen-Schiess.
Il primo era nato a Correggio (Reggio Emilia, foto sotto) nel 1885: faceva il pasticciere, ma aveva la passione per la corsa. Aveva vinto molte gare a livello nazionale ed era riuscito a qualificarsi alla maratona delle Olimpiadi di Londra del 1908.
Qui, durante la gara, senza più forze e disidratato, cadde 5 volte negli ultimi 200 metri. Altrettante i giudici lo aiutarono a rialzarsi e lui riuscì a tagliare vittorioso il traguardo, ma finì squalificato per gli aiuti ricevuti.
Alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984, Gabriela Andersen-Schiess portò a termine la gara con estrema fatica: le immagini di lei che sbandava e sembrava sul punto di crollare fecero il giro del mondo.
Gli ultimi 500 metri furono un calvario per lei, vittima della disidratazione. Tagliato il traguardo, si lasciò andare tra le braccia dei giudici. Le ci vollero un paio di ore per riacquistare energie e lucidità.
- Shizo Kanakuri ci mise 54 anni a concludere il percorso
Shizo Kanakuri (1891- 1984, foto sotto) era un grande maratoneta giapponese. Per partecipare alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912 aveva affrontato un viaggio di 18 giorni fra treni e navi.
Nonostante ciò, la prima parte della gara lo vide in testa. Poi accadde l’imprevedibile: sotto il sole cocente di luglio e i 32 gradi di Stoccolma, intorno al trentesimo chilometro, vinto dalla fatica e dall’assenza di rifornimenti (a quei tempi vietati), Shizo si fermò davanti al giardino di una villetta, dove era in corso un picnic.
Il padrone di casa lo invitò a entrare, gli offrì un succo di frutta e una sedia sui cui riposarsi. Shizo si sedette e si addormentò di colpo. Al risveglio la maratona era ormai finita. Per la vergogna decise di scomparire: si imbarcò per il Giappone e fece perdere le sue tracce, fino a cinquant’anni dopo quando un giornalista riuscì a rintracciarlo.
Nel 1967 fu invitato a Stoccolma per completare la maratona interrotta nel 1912. A quasi 80 anni, Kanakuri percorse i pochi chilometri che gli mancavano e tagliò il traguardo. Tempo finale: 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti, 20 secondi e 3 decimi.
4. Alan Turing e Sohn Kee-chung
- Alan Turing, l’inventore del computer, correva per combattere lo stress
“Faccio un lavoro stressante e riesco a togliermelo dalla mente solo correndo”: sono parole di Alan Turing (1912-1954, foto sotto), matematico britannico, progenitore del computer e precursore dell’intelligenza artificiale, che correva davvero forte per essere un semplice dilettante.
Il suo record personale sulla maratona era 2 ore 46 minuti e 3 secondi, solo 11 minuti in meno dell’argentino Delfo Cabrera, che vinse la gara nelle Olimpiadi del 1948.
Turing riuscì addirittura a battere Tom Richards, medaglia d’argento in quelle stesse Olimpiadi, in una corsa campestre.
La sua vita era divisa tra brillanti intuizioni scientifiche e la sfrenata passione per la corsa, per lui fondamentale sia per liberare la mente dalle fatiche intellettuali sia per alleggerirla dal macigno che il perbenismo dei quei tempi aveva caricato sulla sua omosessualità.
Fu per questo processato e condannato. Il 7 giugno 1954 Turing finì per suicidarsi, addentando una mela bagnata con cianuro di potassio.
- Sohn Kee-chung era coreano, ma dovette gareggiare per il Giappone
Il coreano Sohn Kee-chung (1912-2002, foto sotto) vinse la medaglia d’oro per la maratona alle Olimpiadi di Berlino nel 1936.
Ma sul podio, testa china e lacrime agli occhi, dovette veder sventolare la bandiera di un Paese che non era il suo.
Sohn Kee-chung, infatti, era nato in Corea, ma la sua terra era sotto l’occupazione giapponese: per partecipare alle Olimpiadi aveva quindi dovuto aggregarsi alla squadra nipponica ed era stato iscritto come Son Kitei, versione giapponese del suo vero nome.
Il riscatto a quell’umiliazione arrivò nel 1988 quando Sohn Kee-chung entrò nello stadio di Seul (Corea del Sud) brandendo la torcia per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi.
Nella sua Corea, in quella patria che aveva dovuto nascondere, cedette finalmente alla commozione e alle lacrime: «Ora posso morire senza rimpianti», disse. Morì nel 2002, considerato un eroe nazionale.
5. Abebe Bikila e Macharia Yuot
- Nel 1960 il maratoneta etiope Abebe Bikila vinse le Olimpiadi di Roma a piedi nudi
Se c’è un’immagine che è rimasta nella storia della maratona, è quella di Abebe Bikila (1932-1973, foto sotto), l’atleta etiope che corse a piedi scalzi la maratona alle Olimpiadi di Roma 1960.
Di lui si celebra ancora oggi la corsa fluida ed elegante e quel suo essere nello stesso tempo delicato e forte.
A Roma Bikila stupì tutti alla partenza dove si presentò scalzo: durante gli allenamenti per le strade della città aveva sofferto molto con le scarpe fornite dallo sponsor tecnico dei Giochi e non volle indossarle per la gara: «Corro scalzo per sentire meglio cosa mi sussurra la strada», ebbe a dire.
Fu il primo atleta africano a vincere una medaglia olimpica, che gli valse anche il primato mondiale. Non finì qui: quattro anni dopo, alle Olimpiadi di Tokyo, Bikila bissò la vittoria segnando un nuovo record mondiale.
Questa volta, però, calzando un paio di candide scarpe da atletica.
- Macharia Yuot: dalla fuga a piedi dal Sudan alle qualificazioni per le olimpiadi di Pechino 2008
Macharia Yuot (foto sotto) nacque nel 1984 a Pelek, in Sud Sudan.
A nove anni dovette precipitosamente abbandonare la famiglia perché la guerra civile tra musulmani del Nord e cristiani del Sud era sempre più cruenta.
Non gli restava che fuggire e diventare uno dei 25mila lost boys, bambini in fuga dal Sudan. Fu protagonista di una lunga marcia attraverso l’Etiopia fino al Kenya, durante la quale molti dei suoi compagni non sopravvissero. Lui invece resistette e andò avanti.
Da Nairobi (Kenya) la chiesa luterana lo mandò a Philadelphia (USA) e qui avvenne una grande svolta: fu notato dagli allenatori studenteschi, colpiti dal modo in cui correva, dimostrando “di saper soffrire più di ogni altro”.
Nel 2007 Macharia diventò cittadino americano e poté partecipare alle qualificazioni per le Olimpiadi come maratoneta.
Purtroppo non riuscì a centrare l’obiettivo, ma poco importa. La corsa più importante, quella per la vita, Macharia l’aveva già vinta.