Sulla piana dei Campi Raudii sorge un sole di sangue. Il campo di battaglia è ricoperto dei corpi dei Cimbri, prima travolti dalla cavalleria di Roma, poi finiti dalla formidabile fanteria delle legioni.
Per i vinti è il tempo del pianto e dell’agonia, per i vincitori, della gloria. I legionari vittoriosi portano in trionfo il loro generale, mentre le insegne delle legioni svettano orgogliosamente sul campo di battaglia.
È l’anno 101 a.C. e l’uomo che viene portato in trionfo, colui che è riuscito ad avere la meglio sui Cimbri dopo anni e anni di battaglie, è Gaio Mario, uno dei protagonisti dell’ultimo alito della Repubblica, prima dell’avvento dell’Impero.
Lui è l’homo novus a cui Roma si è appellata più volte per combattere nemici provenienti da ogni parte, ma anche per ristabilire l’ordine in città e contrastare lo strapotere degli optimates, nobili e conservatori, e portare in alto invece la fazione dei populares, che si mostravano più attenti alle esigenze del popolo.
Gaio Mario è stato eletto al consolato più volte, cosa mai successa nella Storia della Repubblica, fatto reso ancora più unico se si considera che lui apparteneva all’ordine equestre, e non senatorio.
In quel momento, per Gaio Mario la vita può sembrare all’apice: da quel trionfo sul campo di battaglia, che ha visto la sconfitta definitiva dei Cimbri, il condottiero può pensare che ormai il suo cammino futuro debba essere in discesa.
In realtà il suo avversario più grande doveva ancora affrontarlo, e anzi Silla occupava un ruolo rassicurante, essendo diventato suo cognato dopo aver sposato la sorella minore di Giulia, moglie di Mario: due sorelle come rispettive mogli poteva sembrare un legame abbastanza solido tra i due potenziali rivali.
Quando si pensa alle guerre civili nella Roma repubblicana vengono in mente Cesare e Pompeo, Marco Antonio e Ottaviano, battaglie fratricide, intrighi e sconvolgenti ribaltamenti di fronte.
Eppure, nel I secolo a.C., in quello che viene spesso considerato uno dei periodi meglio documentati dell’antichità, ci fu una violenta guerra civile che insanguinò le strade della capitale: primo episodio su quel percorso tortuoso che portò dalla Repubblica all’Impero, fu lo scontro tra Mario e Silla.
1. Mario, uomo del popolo
Gaio Mario nacque nel 157 a.C. ad Arpino, da una famiglia modesta, probabilmente di rango equestre, dato che avevano rapporti con la nobiltà cittadina.
Non era il figlio di un manovale, come ce lo presenta erroneamente Plutarco nelle “Vite parallele” a lui dedicate, ma comunque iniziò dal basso il suo cursus honorum, come “homo novus”, ovvero uomo nuovo, che non apparteneva all’aristocrazia già affermata, incontrando una serie di difficoltà che mostrarono come fosse arduo scalare i gradini del potere per chi non apparteneva alle famiglie patrizie della capitale.
Interessato alla carriera politica, il giovane Mario, che aveva partecipato valorosamente all’assedio di Numanzia del 134 a.C. facendosi notare da Publio Cornelio Scipione Emiliano (nipote dell’eroe delle Guerre Puniche), decise di candidarsi come tribuno militare.
Sconosciuto ai più, fu eletto grazie al suo encomiabile stato di servizio e alla raccomandazione di Scipione Emiliano. Da lì cominciò la sua carriera, che lo portò ad essere eletto tribuno della plebe nel 119 a.C. e iniziò una politica che cercava di limitare il potere delle classi elevate, in favore del popolo.
La sua carriera procedeva a fatica: provò a farsi eleggere edile plebeo, ma senza successo, riuscì invece a diventare pretore e poi governatore della provincia di Iberia, dove ottenne abbastanza successi militari da meritarsi un trionfo e la mano di una donna ricchissima e potente, Giulia Maggiore, appartenente alla gens Iulia (e zia di Giulio Cesare).
Una carriera partita dal basso, dovuta solo alle proprie forze. La sua abilità unita alla sua provenienza ne fece l’uomo simbolo dei populares, che in lui vedevano l’uomo che poteva contrastare lo strapotere delle antiche famiglie patrizie e dimostrare che a Roma le qualità del cittadino contavano più della famiglia di provenienza.
Col loro sostegno Mario fu eletto console per il 107 a.C. Il consolato era la carica più importante di Roma, che dava ai due uomini che lo detenevano poteri civili e militari molto ampi, tali da renderli i principali governanti in tempo di pace e i comandanti militari in tempo di guerra.
Molto diversa fu la carriera di Lucio Cornelio Silla, discendente da un ramo povero della famiglia dei Cornelii, di origine patrizia. Nobili origini ma poche risorse, dunque, e si vocifera persino di una ricca prostituta invaghita di lui che gli avrebbe lasciato in eredità tutti i suoi averi.
Uomo dedito al vizio e ai piaceri della vita ma abilissimo politico e oratore, generoso benefattore e filantropo, si fece subito strada nel difficile panorama politico della Roma del I secolo a.C.
Il suo cursus honorum fu decisamente più agile rispetto a quello di Mario, essendo lui membro dell’ordine senatorio e appartenente al “partito” degli optimates. Nel 107 fu eletto questore proprio di Mario, che in quel periodo era console.
La questura era una magistratura minore elettiva, che poteva coprire diversi ambiti della vita sia civile che militare della Repubblica. Come questore, Silla fu assegnato a Mario con il compito di seguirlo, consigliarlo e sostenerlo durante le campagne militari e gli impegni politici di quell’anno.
Qui sotto, "Mario vincitore dei Cimbri”, olio su tela conservato al Museo Civico di Foggia.
2. Silla, consigliere di Mario
Dunque, due uomini molto diversi, eppure simili per ambizione, tenacia e abilità politico-militare.
Nel frattempo, la guerra imperversava nel regno di Numidia, nell’Africa settentrionale, da sempre alleato di Roma (al punto che Massinissa, re della Numidia, aveva aiutato Roma contro Cartagine durante le Guerre Puniche).
Mario era stato designato come l’uomo che avrebbe dovuto porre fine a una situazione che andava avanti ormai da troppo tempo e che aveva avuto forti ripercussioni anche sulla politica interna della Repubblica.
Alla morte di Massinissa il regno di Numidia fu diviso tra i suoi due figli, ma questi furono uccisi dal cugino Giugurta, che si impadronì del trono con la forza. Un tale stravolgimento in un regno alleato di Roma non poteva non generare una reazione forte da parte del governo repubblicano.
Si arrivò così alle guerre giugurtine. Infatti, il Senato, controllato dagli optimates, decise di mandare contro Giugurta Cecilio Metello, nel 109 a.C.: le truppe romane ebbero la meglio ma non riuscirono a catturare il sovrano ribelle, protraendo così una situazione che doveva essere risolta in breve tempo.
L’usurpatore, infatti, non si diede per vinto e per riuscire a riottenere il regno di Numidia ricorse anche alla corruzione di senatori romani, creando a Roma un clima di sospetto e inquietudine che acuì ancora di più i contrasti tra i due “partiti”.
Poiché gli optimates non erano stati in grado di sconfiggere Giugurta e anzi si erano lasciati corrompere, i populares rivendicarono il diritto di prendere in mano la situazione e riuscirono a far eleggere al consolato proprio Gaio Mario, nel 107 a.C. (e il suo questore per quell’anno era proprio il trentunenne Silla, esponente degli optimates).
Mario partì per la Numidia e l’anno seguente, nel 106 a.C., tornò vittorioso dalla guerra contro l’usurpatore, trascinando Giugurta in catene, catturato solo grazie a una valente e sagace iniziativa di Silla, episodio che servirà al giovane come trampolino di lancio per la carriera politica da un lato, mentre dall’altro gli varrà l’antipatia crescente del cognato.
Il giovane questore si occupò delle trattative con il suocero di Giugurta, Bocco, che dopo aver subito diverse sconfitte da parte dell’esercito romano cercava una scappatoia per porre fine al conflitto.
Silla riuscì a convincerlo ad organizzare un tranello per Giugurta: Bocco convocò il genero con un pretesto, e l’usurpatore cadde nella trappola. Tutto il merito di quella trattativa venne attribuito a Silla, che poté consegnare a Mario un Giugurta in catene, mettendo fine al conflitto.
Nell'immagine sotto, la fine di Numanzia rappresentata in un dipinto di Alejo Vera Estaca. Fu proprio durante l’assedio di Numanzia che si distinse il giovane Mario, agli ordini di Scipione l’Africano.
3. Nemici da ogni parte
Ma le minacce non erano finite, popolazioni nordiche come Cimbri e Teutoni premevano ai confini settentrionali della Repubblica, come la Gallia Transalpina e la Gallia Cisalpina.
Anche in questo caso, il Senato si affidò a Gaio Mario, eleggendolo console più volte, cosa mai successa nella Storia di Roma: non solo il consolato veniva dato a un homo novus, ma addirittura per più anni consecutivi.
Mario riuscì a sconfiggere per due volte i Cimbri e Teutoni, ad Aque Sextie (in Provenza) nel 102 e ai Campi Raudii, nel 101 a.C. Ormai, la sua stella brillava sempre più forte nello scenario politico romano e la sua popolarità era altissima nelle legioni.
In quegli anni Mario aveva attuato la riforma dell’esercito, la quale prevedeva che potessero arruolarsi anche i capite censi (ovvero i nullatenenti) i quali, in cambio di 16 anni di servizio, avrebbero ottenuto le armi (che fino a quel momento il soldato doveva comprare con i propri soldi), una paga e la possibilità di fare carriera.
In questo modo si mise fine alla regola arcaica per cui un uomo era contadino in tempo di pace e guerriero in tempo di guerra, e si venne a creare un esercito di professionisti.
Ma ancor più importante da sottolineare è il legame forte, indissolubile, che questo provvedimento creò tra le migliaia di nullatenenti divenuti ora soldati e l’uomo che aveva donato loro l’opportunità di fare carriera: Gaio Mario.
Ecco che l’esercito si legò sempre di più al proprio comandante, divenendo quasi “l’esercito di Mario” più che “l’esercito di Roma”. Inutile dire quanto questa situazione preoccupasse il Senato, e soprattutto gli optimates, che vedevano un popularis salire così tanto nella scala sociale, una vera minaccia per gli equilibri politici romani.
Con gli anni, però, crebbe a dismisura anche la popolarità di Silla, che si distinse nella repressione della “Guerra sociale” (ovvero la guerra degli alleati), così chiamata perché nel 90 a.C. la maggior parte degli alleati italici dei Romani si erano ribellati per ottenere gli stessi diritti di altre popolazioni, come i latini e gli etruschi, che avevano la cittadinanza romana, con tutti i privilegi e vantaggi che ne conseguivano.
Questa ribellione diede origine a una guerra molto cruenta, che mise spesso in seria difficoltà l’esercito di Roma. Ma grazie alla sapiente guida di Silla, le legioni riuscirono a soffocare la ribellione, nell’88 a.C. Come conseguenza della guerra, i popoli che non si erano coalizzati contro Roma durante la guerra sociale, ottennero in premio l’ambita cittadinanza (gli altri la otterranno in seguito).
Eletto console nello stesso anno della sua grande vittoria, con il supporto degli optimates di cui era diventato il massimo esponente, Silla fu subito incaricato di affrontare un’altra minaccia, che questa volta giungeva da Oriente, in particolare dal Ponto, sul Mar Nero.
Il nuovo re del Ponto, Mitridate (nella foto in alto a sinistra), aveva attaccato la provincia romana dell’Acaia, ovvero la Grecia, causando devastazione e migliaia di morti, secondo le fonti addirittura 80 mila. Tuttavia, l’esercito di Silla non fece in tempo a lasciare la città, che i populares riacquistarono autorità in Senato.
Mario, ormai vecchio ma ancora molto ambizioso, che non aveva digerito di non essere lui a capo della spedizione contro Mitridate, convinse il tribuno della plebe a formulare una legge che gli permettesse di essere nominato comandante generale della spedizione, sottraendo così il comando a Silla.
Qui sotto, "La Battaglia di Vercelli", conosciuta anche come Battaglia dei Campi Raudii, in cui Mario sconfisse i Cimbri, in un dipinto di Gian Battista Tiepolo.
4. Romani contro Romani
In quel momento, Silla era accampato in Campania con le sue legioni, pronto a salpare per l’Oriente.
Non appena gli giunse la notizia di essere stato esautorato in favore di Mario, Silla non perse tempo. Scelse le legioni più fedeli a lui, quelle che sapeva l’avrebbero seguito in capo al mondo, e marciò su Roma.
Mai nessun generale aveva osato tanto: i confini dell’Urbe erano sacri, inviolabili e nessuno poteva entrarvi con le armi, ma non bastarono queste tradizioni secolari a fermare il risoluto generale, che si riteneva vittima di una palese ingiustizia.
Davanti a una tale dimostrazione di forza, Mario e i suoi non poterono fare altro che abbandonare la città, in fretta e furia, per mettersi in salvo. Le legioni di Silla occuparono la città, gli optimates ripresero incontrastati il potere in Senato e affidarono nuovamente a Silla il comando della spedizione contro Mitridate.
Dopo aver ristabilito l’ordine, dunque, il console Silla partì per l’Oriente e riuscì a sconfiggere Mitridate nell’ 85 a.C., imponendogli un duro e umiliante trattato di pace. Ma Silla non era l’unico ad avere dei soldati tanto fedeli da violare il pomerio, cioè i confini della città considerati sacri.
Infatti, nell’87 a.C., Mario, alleato con il console dei populares Lucio Cornelio Cinna (nella foto in alto a sinistra), entrò a Roma con il suo esercito, al quale si unirà anche quello personale di Cinna, approfittando dell’assenza delle legioni di Silla, impegnate in Oriente contro Mitridate.
Mario e Cinna, vincitori, furono eletti consoli per l’86 a.C., invalidarono le riforme di Silla, confiscarono tutti i suoi beni, distrussero le sue proprietà, lo dichiararono “nemico pubblico” e lo condannarono all’esilio.
Da quel momento furono i populares a detenere il potere a Roma con la forza: era l’ora della resa dei conti, i sostenitori di Silla e degli optimates furono uccisi in un conflitto che spaccò Roma in due e insanguinò le strade della città.
Ma quando ormai la guerra civile sembrava vinta, quando Roma era sotto lo stretto controllo di Mario, la vecchiaia ebbe ragione di lui e lo spense all’età di 71 anni.
Fu Cinna a raccogliere il testimone della guida dei populares, a cercare di riportare la pace fermando la feroce repressione dei suoi contro gli optimates. Promulgò delle leggi in favore del popolo, aumentando anche la razione di pane e condonando parte dei debiti dei cittadini.
Qui sotto, un’illustrazione mostra Mario in esilio sulle rive di Cartagine. Fu costretto a lasciare Roma dopo l’occupazione militare di Silla.
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5. La rivincita di Silla
Appresa la notizia della morte di Cinna, Silla tornò a Roma nell’83 a.C., pronto a riprendersi il potere.
Nonostante i populares avessero perso i loro capi carismatici, prima Mario e poi Cinna, fu in questo frangente che si combatté la Guerra civile più violenta e devastante, finché le truppe di Silla non ebbero la meglio nell’82 a.C., con la battaglia di Porta Collina.
Tra le fila di Silla combattevano due uomini destinati a diventare protagonisti di altre guerre civili e altre gesta eroiche: Gneo Pompeo e Marco Licinio Crasso (entrambi avrebbero fatto parte del triunvirato con Giulio Cesare). Dopo la vittoria definitiva, Silla fu proclamato dittatore a vita, ottenendo poteri pressoché illimitati.
Li userà per fare una riforma dello Stato in senso ancora più autoritario: aumentò il numero dei senatori, introdusse un’età minima per le magistrature, limitò di molto i poteri dei tribuni della plebe, riaffidò al Senato il potere giudiziario (che Caio Gracco aveva dato ai cavalieri) ampliò a Nord i confini dello stato romano fino a comprendere il territorio che andava dal fiume Magra al Rubicone.
Durante gli anni della dittatura di Silla la repressione per tutti i suoi avversari fu feroce, spietata. Con delle liste di proscrizione mise fuorilegge tutti quelli che avevano osato intralciare la sua strada. Inoltre i loro beni dovevano essere confiscati. Non solo, era addirittura promessa una ricompensa per la loro uccisione.
Il clima di terrore raggiunse l’apice: i seguaci di Mario, gli avversari di Silla, ma anche i loro parenti furono costretti a scappare, a nascondersi, oppure furono uccisi. Anche il giovane genero di Cinna rischiò di essere ucciso dai Sillani e solo l’intervento della figlia del dittatore e di suo marito riuscì a fargli avere salva la vita.
Lo storico Svetonio riporta la risposta di Silla a chi gli chiedeva di risparmiare quel giovanotto: «D’accordo, lo risparmierò, ma vi avverto, io vedo in lui mille volte Mario». Un giudizio profetico: quel ragazzo si chiamava Caio Giulio Cesare.
Dopo soli due anni di potere assoluto, Silla decise di ritirarsi a vita privata nella sua villa in campagna, dove restò fino alla morte, sopraggiunta nel 78 a.C. Qui sotto un ritratto di Caio Giulio Cesare.