È il nocciolo della questione su cui da sempre l’umanità s’interroga e il più enigmatico obiettivo della ricerca scientifica.
Una scoperta sconvolgente che mescola scienza, tecnologia, religione, destinata a mettere in discussione dogmi e principi dati ormai come acquisiti e a cambiare per sempre il destino dell’umanità è al centro di Origin, l’ultimo thriller dello scrittore americano Dan Brown.
Un romanzo che si propone di rispondere alle millenarie domande dell’umanità, come “da dove veniamo?” e “dove andiamo?”.
Questa volta, tra le solite avventure, l’esperto di simbologia Robert Langdon si confronta con il mistero dell’origine della vita. Ma riuscire a rileggere all’indietro il grande libro della storia della Terra è compito arduo.
In particolare i “capitoli” iniziali, quelli che risalgono al primo miliardo di anni, hanno le pagine completamente ha dato ragione, rivelando che tutti i sistemi fisici tendono ad aggregarsi in forme e configurazioni ordinate che consentano di poter meglio dissipare energia.
«All’inizio non si tratta di una forma di vita vera e propria, ma di una specie di “cassetta degli attrezzi” di cellule organiche grazie alle quali sono nati i primi esseri viventi», ha spiegato England.
«È però utilizzando questa cassetta degli attrezzi che la materia acquisisce le caratteristiche chiave associate alla vita».
La teoria del ricercatore fornisce anche una possibile spiegazione all’evoluzione darwiniana: le mutazioni vincenti nella selezione naturale sarebbero state quelle che portano un organismo a disperdere meglio il calore. Naturalmente questa teoria ha diviso il mondo scientifico.
Mentre Alexander Grosberg, professore di fisica all’Università di New York, è rimasto colpito dall’originalità dell’idea, altri, come Eugene Shakhnovich, professore di chimica e biofisica dell’Università di Harvard, la ritiene puramente speculativa.
I risultati teorici di England sono comunque validi: «Giusta o sbagliata che sia», dice Mara Prentiss, docente di fisica ad Harvard, «la sua teoria merita di venir investigata in laboratorio».
Come nacque l’universo? Che forma aveva il principio attivo che avrebbe dato origine ai suoi diversi mondi e alla vita come noi la conosciamo?
1. Il ruolo di Dio
Applicando le leggi della fisica, la vita dovrebbe dunque apparire e replicarsi grazie a poche sostanze chimiche fondamentali e al Sole.
Esistiamo, dice Dan Brown, con o senza Dio. Ma è davvero così?
Se è la natura stessa dell’universo che causa l’apparire della vita quando le condizioni locali lo permettono, che cosa ne è del Dio creatore di tante religioni, il quale, come uno scultore, perfeziona la sua opera con colpi di cesello? Per alcuni filosofi la contraddizione è solo apparente.
Si tratta di superare questa forma di antropomorfismo della divinità cambiando prospettiva: il Dio creatore è un Dio che dà esistenza all’essenza stessa dell’universo, il quale fin dall’istante del Big Bang possiede in sé la potenzialità della vita.
Tale concetto è stato ripreso da papa Francesco in un discorso rivolto alla Pontificia Accademia delle Scienze nel 2014. «Il Big Bang che oggi si pone all’origine del mondo non contraddice l’intervento creatore divino, ma lo esige», ha detto.
«Quando leggiamo nella Genesi il racconto della Creazione, rischiamo di immaginare che Dio sia stato un mago, con tanto di bacchetta magica in grado di fare tutte le cose.
Ma non è così. Egli ha creato gli esseri e li ha lasciati sviluppare secondo le leggi interne che Lui ha dato a ognuno, perché arrivassero alla propria pienezza.
E così la Creazione è andata avanti per secoli e secoli, millenni e millenni finché è diventata quella che conosciamo oggi, proprio perché Dio non è un demiurgo o un mago, ma il Creatore che dà l’essere a tutti gli enti».
Naturalmente il dibattito tra fede e scienza non si concluderà mai.
2. Religione e scienza a confronto
Nella Bibbia la creazione avviene secondo tappe ben precise e alla fine Dio ordina alla terra e all’acqua di produrre piante e animali.
Antichi scritti cinesi, babilonesi e indiani descrivono la formazione spontanea degli insetti dal sudore e dal letame.
Secondo gli Egizi, è il fertile fango del Nilo, sotto l’influenza del sole, a generare rane, serpenti e coccodrilli. Per il filosofo greco Anassagora, la vita sulla Terra sarebbe nata in seguito allo sviluppo di “semi” presenti in tutto l’Universo.
Ma un’altra linea di pensiero, diffusa in Grecia fin dal VI secolo a.C. e seguita fino a tutto il Settecento, sosteneva che Dio avesse creato direttamente gli animali superiori e l’uomo, mentre tutti gli esseri “inferiori”, come vermi e insetti, nascessero spontaneamente dal fango o da materiali in putrefazione.
Questa teoria, detta della “generazione spontanea”, fu dimostrata errata nel 1864 da Louis Pasteur, che provò l’impossibilità di riprodursi dei batteri in un ambiente sterile.
Fu però Charles Darwin, nel 1871, a ipotizzare per primo che l’iniziale scintilla della vita si fosse accesa in un “piccolo e tiepido stagno, contenente ammoniaca e sali fosforici, luce, calore ed elettricità”.
In quale momento dopo la formazione della Terra è nata la vita? Dove e come emerse il primo organismo? E quale ambiente ne favorì lo sviluppo? Purtroppo le primissime fasi del lungo cammino che ha portato allo sviluppo di organismi biologici sul nostro pianeta sono tuttora avvolte nel mistero.
«Il problema non è soltanto che si sappia troppo poco», hanno spiegato in un loro recente studio Jimmy Gollihar dell’Università del Texas ad Austin e colleghi dell’Albert Einstein College of Medicine a New York, «ma anche il fatto che non si riesce a stabilire quale meccanismo, fra i tanti proposti, sia stato in grado di sostenere l’emergere di composti organici, la loro autoreplicazione e in fine l’integrazione del materiale genetico in una cellula biologica».
3. Allo studio da 65 anni
È da oltre mezzo secolo che gli scienziati cercano di riprodurre in laboratorio le condizioni chimico-fisiche della Terra primordiale, sperando di riuscire a osservare la formazione della vita a partire da sostanze inorganiche.
I primi a cimentarsi nell’impresa sono stati Stanley Miller e Harold Urey dell’Università di Chicago nel 1953.
Per simulare le condizioni delle calde pozze d’acqua nelle quali si pensa abbia avuto inizio la vita, il cosiddetto “brodo primordiale”, condussero un celebre esperimento.
In una provetta dove avevano ricreato un’atmosfera di idrogeno, metano, ammoniaca misero a bollire dell’acqua, quindi fra i gas saturi di vapore acqueo fecero passare una scarica elettrica, l’equivalente dei fulmini in natura.
Il tutto venne lasciato raffreddare in modo che l’acqua condensasse. Dopo una settimana scoprirono che il liquido risultante conteneva ben 4 dei 20 amminoacidi che si trovano comunemente nelle proteine, le sostanze presenti in tutte le forme di vita.
Naturalmente la transizione dall’elementare chimica inorganica alla più complessa chimica organica non significa automaticamente lo sviluppo della materia vivente, ma da allora le ricerche in questo campo si sono moltiplicate costituendo una disciplina a sé, la cosiddetta chimica prebiotica.
4. Le ultime ricerche e comete “spargispore”
- Le ultime ricerche
I ricercatori che stanno facendo studi sperimentali sui primi istanti della vita hanno già cambiato diverse volte la ricetta del “brodo primordiale”.
Un gruppo di biochimici statunitensi dello Scripps Research Institute, guidati da Ramanarayanan Krishnamurthy, ha per esempio ipotizzato che l’ingrediente chiave per la nascita della vita sulla Terra sia stato un enzima primitivo chiamato diamidofosfato, o Dap.
Nelle calde pozze fangose popolate da molecole primordiali, minerali e gas, questo composto avrebbe agito come un catalizzatore.
Attraverso un processo chiamato fosforilazione, il Dap avrebbe provocato alcune reazioni chimiche fondamentali nell’assemblaggio di tre ingredienti base: gli amminoacidi che alimentano le cellule, i lipidi che formano le pareti cellulari e i nucleotidi che memorizzano le informazioni genetiche.
Il gruppo di lavoro dell’Università della Nord Carolina guidato da Charles Carter, invece, punta su due superfamiglie di enzimi antichissimi, le cui tracce sono ancora presenti in tutte le cellule, nelle loro centraline energetiche chiamate mitocondri, ma anche nei virus.
Ognuno di questi enzimi è specializzato nel riconoscere uno dei 20 amminoacidi, cioè i mattoni del Dna, che negli organismi moderni aiutano a convertire le informazioni contenute nei geni in proteine.
Gli esperimenti hanno dimostrato che due “antenati” di questi enzimi si compongono in un modo così semplice da far pensare che lo stesso meccanismo possa essere entrato in azione per dare origine alle prime forme di vita sulla Terra.
- Comete “spargispore”
E se la vita fosse arrivata dallo spazio?
L’ipotesi che siano state le comete a spargerla sulla Terra sotto forma di spore (cioè cellule riproduttrici che germinando producono un nuovo individuo) resistenti alle condizioni più estreme risale al chimico svedese Svante Arrhenius (1859-1927), ma è cara anche ad astrobiologi contemporanei come gli inglesi Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe.
Contestata da molti, ha tuttavia trovato un nuovo indiretto sostegno da parte di un gruppo di scienziati dell’Ames Research Center della Nasa.
I ricercatori americani hanno infatti compiuto un originale esperimento con quella che può essere considerata la versione arti ciale di una cometa.
“Fabbricato” un blocco di ghiaccio composto da acqua, ammoniaca, monossido di carbonio, anidride carbonica e metanolo, lo hanno mantenuto nelle medesime condizioni dello spazio: gelo (-263°C), vuoto pressoché assoluto, bombardamento di raggi ultravioletti sterilizzanti.
Come risultato, dal ghiaccio è “trasudata” una complessa struttura chimica, fatta di molecole che, secondo i ricercatori, sono quelle necessarie a costruire le membrane che proteggono il Dna e l’interno della cellula di ogni essere vivente.
Non ancora vita, ma qualcosa di più delle semplici molecole organiche interstellari finora individuate, questi composti vagherebbero nel freddo spazio pronti a fecondare un mondo che offrisse loro le condizioni adatte.
Nella foto sotto, la formazione delle pozze calde. Intorno a 4 miliardi di anni, quando la crosta terrestre inizia a solidificarsi in grandi zolle alla deriva sul magma, appare l’acqua allo stato liquido. È in questo “brodo primordiale” che potrebbe aver avuto inizio la vita.
5. Entropia, termodinamica, teoria del Big Bang e la vita su Venere
- Entropia, termodinamica e teoria del Big Bang: 3 parole da capire
- Entropia
È una grandezza fisica utilizzata in termodinamica per indicare il grado di disordine in un sistema rispetto a uno standard di riferimento.
Il termine, derivato dal greco entropé, confusione, cambiamento, è stato coniato dal fisico tedesco Rudolf Clausius nel 1865.
L’entropia è una conseguenza del secondo principio della termodinamica per il quale il calore fluisce sempre da un corpo più caldo a uno meno caldo e mai in senso contrario: essa esprime il grado di dispersione delle molecole e la tendenza ad aumentare il disordine del sistema.
In teoria si può considerare un “sistema” anche lo stesso universo, in cui l’energia tende a distribuirsi dai corpi più caldi a quelli meno caldi facendo aumentare l’entropia.
Secondo i tre scienziati americani Saul Perlmutter, Brian Schmidt e Adam Riess, premi Nobel per la fisica nel 2011, quando tutto l’universo si troverà alla stessa temperatura, l’entropia sarà massima e non sarà più possibile alcuna ulteriore trasformazione: sarà la cosiddetta morte fredda del cosmo.
- Termodinamica
È quella branca della fisica classica che studia i fenomeni nei quali avvengono scambi di calore tra un sistema e l’ambiente circostante. In particolare, la termodinamica si occupa delle trasformazioni del calore in lavoro e viceversa, e più in generale delle reciproche trasformazioni tra le varie forme di energia in sistemi interagenti tra loro.
- Teoria del Big Bang
È un modello cosmologico che descrive la rapidissima espansione dell’universo, verificatasi 13,8 miliardi di anni fa, a partire da un singolo punto di altissima densità e temperatura.
Con il Big Bang hanno avuto origine spazio e tempo, e il cosmo, dalla semplice energia pura iniziale, è venuto riempiendosi di galassie, stelle e pianeti.
- E se anche su Venere ci fosse vita?
Gli astrobiologi Dirk Schulze-Makuch e Louis Irwin dell’Università del Texas (Usa) hanno scoperto che nell’atmosfera di Venere, a 50 chilometri di altezza, compaiono strane macchie scure e sono state rilevate tracce di solfuro di idrogeno e biossido di zolfo, due gas che reagiscono l’uno con l’altro e non possono coesistere a meno che qualcosa non li produca, nonché di solfuro di carbonile, solitamente di origine biologica.
Poiché nell’alta atmosfera sono presenti anche goccioline d’acqua, i due scienziati hanno supposto che le macchie siano costituite da batteri.
Una teoria che è stata accolta con scetticismo, perché l’acqua non sembra essere in quantità sufficiente.
Ma data l’adattabilità dei batteri agli ambienti più ostili potremmo chiederci: la vita è davvero solo quella che conosciamo?