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Mitologia greca: 5 brevi storie di dei e mortali

Sebbene le sue origini risalgano a più di 2500 anni fa, la mitologia greca è ancora tutt’intorno a noi.

Non ha mai veramente lasciato la civiltà occidentale, e anzi, possiamo considerarla uno dei suoi pilastri, più o meno visibili.

Basta dare una occhiata in giro per vederne i segni nella nostra vita quotidiana.

Alcuni sono profondamente radicati nella nostra alta cultura, altri sono semplicemente diventati delle icone pop, e in alcuni casi, sono talmente parte della nostra vita che non siamo neanche consapevoli, o non ci facciamo più caso, delle loro antiche origini greche.

Basti pensare alla psicologia moderna, che, a partire dal suo stesso nome che deriva dal personaggio di Psiche, è ricca di riferimenti alla mitologia greca, come il complesso di Edipo, per citare solo il più famoso.

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I pianeti prendono il nome da divinità romane, ma sappiamo che sono gli stessi dei greci con nomi diversi: Giove, Venere, Mercurio, non sono altro che Zeus, Afrodite ed Hermes.

E anche la maggior parte delle stelle e delle costellazioni, come l’Orsa maggiore e l’Orsa minore, o Orione e Scorpione, prendono il nome dalle storie della mitologia greca.

E già che siamo nello spazio, molte missioni e navicelle spaziali prendono il nome dalla mitologia greca, come Apollo , Artemide (che era la sorella gemella di Apollo), o Ulysses.

Gli dei greci sono abbastanza lontani dall’idea attuale che possiamo avere delle divinità. Quando pensiamo a una divinità, la immaginiamo distaccata, superiore e indifferente alle debolezze, alle passioni, alle meschinità e alle paure che affliggono lo spirito umano.

La verità è che gli dei greci erano tanto sovrumani nei loro poteri quanto umani nelle loro passioni. E non era insolito per loro entrare in competizione con gli umani o dirigere su di loro le loro rabbie e le loro gelosie, le loro passioni e reazioni indignate, mettendosi sul loro stesso piano. quando non su uno inferiore.

 

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1. Eros e Psiche

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Psiche era la più giovane e la più bella di tre principesse.

La sua bellezza era famosa e gli uomini di tutta la Grecia si mettevano in viaggio solo per vederla, molti di loro dissero che Psiche era ancora più bella della stessa Afrodite, dea della bellezza.

Non sorprendentemente questo paragone offese Afrodite. Così la dea chiese a suo figlio, Eros, di far innamorare quella ragazza di qualcuno di veramente brutto. Eros andò da Psiche per soddisfare la richiesta della madre, ma una volta che si avvicinò a lei, rimase colpito dalla sua bellezza e se ne innamorò.

Un giorno il padre di Psiche consultò l'oracolo di Delfi per chiedere chi avrebbe sposato la sua figlia più bella. Eros convinse Apollo a far dire all'oracolo che Psiche sarebbe diventata la moglie di un terribile serpente alato. Questo era il suo destino, e per farlo Psiche, vestita di nero, doveva essere portata sulla cima di una montagna per rimanervi da sola 0fino a quando il suo mostruoso futuro marito non sarebbe salito e l'avrebbe presa in moglie.

Psiche accettò il proprio destino e salì in cima alla montagna, sola e impaurita, per aspettare la bestia. Il drago non si fece vedere e la bella principessa si addormentò. Quando si svegliò, si trovò vicino a una bella villa. Sentiva delle voci che le dicevano di entrare, cosa che fece. Una volta dentro si fece un bagno e mangiò del cibo delizioso. Quindi andò a letto, e il suo mostruoso nuovo marito si unì a lei.

Psiche era terrorizzata, ma scoprì con sorpresa che il mostro era in realtà un amante dolce e tenero. Non poteva vederlo, ma era gentile con lei, e la sua voce era piacevole. Sembrava essere tutto ciò che Psiche aveva sempre sognato in un marito, assolutamente lontano da un orribile serpente, e la principessa si innamorò di lui. Ogni notte finiva tra le sue braccia, e ne era felice, anche se non lo vedeva mai in faccia.

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Le sorelle di Psiche erano gelose della sua felicità. Le dissero che non doveva fidarsi del suo misterioso marito. Non aveva mai potuto vederlo e, secondo la profezia, avrebbe potuto essere un serpente alato travestito. Alla fine, convinsero Psiche a scoprire cosa c'era dietro quel mistero. Così quella notte, quando andò a letto, portò con sé una lampada e un coltello per scoprire chi fosse suo marito. E fosse stato un mostro, era pronta a ucciderlo.

Quella notte lui venne da lei come ogni altra notte, dicendo parole d'amore, ma questa volta, quando si addormentò, lei accese la lampada per guardarlo in faccia. Lungi dall'essere un terribile serpente alato, era l'uomo più bello che lei avesse mai visto. Psiche sussultò per la sorpresa e accidentalmente gli versò una goccia d'olio caldo della lampada sulla spalla. Lui si svegliò e corse via senza dire una parola.

Poi Psiche sentì una voce che le disse la verità su suo marito: era Eros, il dio dell'amore, figlio di Afrodite. Si mise quindi a cercarlo, e lo cercò in tutto il mondo. Sconvolta, cercò l'aiuto della madre di Eros, ignara del ruolo svolto dalla dea gelosa per tutto il tempo. Afrodite le disse che era disposta ad aiutarla, ma per farlo chiese a Psiche di portare a termine quattro compiti. Sperava che il duro lavoro avrebbe fatto svanire la sua bellezza e con essa l'amore del figlio per lei. 

Come prima prova, Psiche doveva dividere un mucchio di grano misto in tre cumuli separati di orzo, avena e grano entro il tramonto. Si disperò perché il compito sembrava impossibile da portare a termine, ma delle formiche la aiutarono ed eseguì il compito in tempo.

La seconda prova era di attraversare un fiume e tosare la lana dorata di un gregge di pecore feroci. Anche in questo caso, all'inizio si disperò, ma i canneti lungo la riva del fiume prendevano la lana delle pecore quando venivano a bere, e lasciavano che Psiche la raccogliesse.

Il terzo compito era di raccogliere l'acqua in una bottiglia di cristallo dalla sorgente del fiume Stige. Le rocce erano scivolose e pericolose, ma questa volta venne in suo aiuto un'aquila mandata da Zeus che le tolse la bottiglia dalle mani, la riempì alla sorgente e gliela restituì piena.

Infine, come quarto compito, Afrodite mandò Psiche negli inferi, chiedendole di riportarne una scatola con dentro un campione della bellezza di Persefone. La dea aveva dovuto usare gran parte della propria bellezza per guarire l'ustione che suo figlio aveva avuto dall'olio versato dalla lampada, e ora aveva bisogno di un po' di quello di Persefone.

Psiche ancora una volta si disperò, questo sembrava davvero impossibile, ma non si arrese, esausta arrivò nel regno dei morti, dove la regina degli inferi, apparentemente commossa dalla sua storia, accettò di mettere un po' della propria bellezza nella scatola.

Mentre Psiche tornava al tempio di Afrodite, proprio come il piano della dea aveva previsto, la sua bellezza cominciava a svanire. Ora che stava per riavere il suo amore, stava perdendo gran parte della sua bellezza.

Era disperata, e in un momento di debolezza, aprì la scatola, pensando di usare solo una piccola parte della bellezza di Persefone e sperando che Afrodite non se ne accorgesse. Ma si scoprì che la scatola non conteneva la bellezza di Persefone, ma il sonno dei morti, e Psiche cadde a terra.

Per fortuna, ormai Eros era guarito e, avendo capito il suo piano, era sfuggito alla madre. Trovò una Psiche all’apparenza morta, ma la svegliò dal suo sonno incantato con un bacio. Psiche consegnò la scatola ad Afrodite, che finalmente cedette. Eros chiese a Zeus di rendere immortale Psiche. Psiche ed Eros si sposarono e vissero felici e contenti.

 

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2. Apollo e Dafne

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Si dice comunemente che Daphne sia stata il primo amore di Apollo, ma la verità è che la ragazza non ricambiò mai l'amore del dio.

La maggior parte delle ninfe e delle mortali erano attratte dal bell’Apollo, ma il loro amato le respingeva. Ma vediamo come tutto è cominciato.

Un giorno Apollo stava prendendo in giro Eros per il suo arco e la sua freccia dicendogli che non credeva che potesse funzionare davvero, così il dio dell'amore scagliò una freccia d'oro nel cuore del dio.

La freccia fece innamorare Apollo di Dafne, una bellissima ninfa del fiume devota di Artemide, sorella gemella di Apollo. Apollo inseguì la ninfa attraverso la foresta, supplicandola di fermarsi e di passare un po' di tempo con lui, ma lei continuò a correre.

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Era vergine, devota ad Artemide, e aveva dedicato la sua vita al bosco. Ma alla fine, Apollon la prese. Risoluta a preservare la propria verginità, Daphne chiamò suo padre per proteggerla.

E suo padre, un dio del fiume, non riuscì a trovare una soluzione più intelligente che trasformare sua figlia in un albero di alloro, e così fece.

I piedi di Daphne si radicarono a terra, le braccia divennero rami, delle foglie cominciarono a crescerle dalle dita e la corteccia sul torso.

Apollo ebbe il cuore spezzato dalla perdita di Dafne, e per ricordarla per sempre fece dell'alloro il simbolo del riconoscimento ai poeti.

L'alloro divenne, quindi, il simbolo del dio stesso essendo Apollo il dio (tra le tante altre cose) della poesia.

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3. Sisifo

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Sisifo fu il fondatore e primo re di Efira, l’attuale Corinto.

Fu promotore del commercio e aiutò la sua città a diventare un centro economico investendo nella navigazione.

Nonostante la ricchezza che produceva per il suo popolo, non era un sovrano benvoluto a causa del suo carattere subdolo, scaltro e avido.

In molte occasioni violò la Xenia, l'idea greca di sacra ospitalità e generosità mostrata ai viaggiatori e agli ospiti, di cui abbiamo visto il massimo esempio nel mito di Filemone e Baucis.

Uccideva i suoi ospiti per dimostrare di essere un re spietato e di voler rimanere al potere regnando con il terrore.  Queste violazioni portarono il re all'attenzione di Zeus, che aveva il compito di difendere personalmente la Xenia.

Il padre degli dei volle punire Sisifo per sempre, così chiese a Thanatos, la personificazione della morte, di prendere il re di Efira e incatenarlo nell'Oltretomba.

Quando Thanatos stava per comminare a Sisifo la sua punizione, il re chiese come funzionassero realmente le catene, e con un trucco, mentre Thanatos gli mostrava il funzionamento delle catene, Sisifo riuscì a incatenare Thanatos al posto suo.

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Con la Morte stessa in catene, nessun mortale sulla terra poteva più morire e andare agli Inferi. Dopo un po' la situazione peggiorò, e il dio della guerra Ares, vedendo che le sue guerre erano diventate inutili perché nessuno poteva più morire, liberò Thanatos. Poi intrappolò Sisifo e lo restituì a Thanatos.

Dopo un po' di tempo, il re ingannò Persefone, regina degli inferi, perché lo liberasse e lo rimandasse tra i vivi, solo per il tempo necessario per punire la moglie per qualcosa che aveva fatto.

Persefone accettò, Sisifo tornò nel regno dei vivi, trovò sua moglie e la rimproverò, ma quando arrivò il momento si rifiutò di tornare nel Tartaro.

fine il messaggero degli dei Ermes lo prese e lo trascinò indietro, ma Zeus, che non sopportava più i trucchi e l'arroganza di Sisifo, decise di punirlo definitivamente.

Quindi l'astuto re fu costretto a spingere eternamente un masso in salita, e non appena avrebbe raggiunto la cima della collina, il masso sarebbe rotolato via e Sisifo avrebbe dovuto spingerlo su di nuovo, più e più volte fino alla fine dei tempi.

 

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4. Il tocco di Mida

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Mida era il re della Frigia, un regno prospero in quei tempi, ricco di natura e noto per i suoi fiori.

Un giorno i servitori del re uscirono nei suoi giardini e trovarono un vecchio grasso ubriaco, che puzzava di vino e russava tra le rose.

Naturalmente non gli fu permesso di restare nei giardini reali, ma poiché non era ovviamente una minaccia, i servitori lo legarono con delle ghirlande di fiori invece che con delle corde, e lo trascinarono davanti al re, sghignazzando per tutto il tempo.

Re Mida riconobbe quell'uomo: non era un comune mortale ubriaco, ma Sileno, il precettore di Bacco, il dio del vino e padre dei satiri. Mida fece immediatamente slegare Sileno dai suoi servi.

Quando il vecchio fu abbastanza sobrio da capire cosa succedeva intorno a lui, non venne trattato come un prigioniero, ma come un ospite d'onore. Dopo dieci giorni di feste in onore di Sileno, Mida lo rimandò a Bacco, che aveva cominciato a sentire la mancanza del vecchio precettore.

Bacco, molto contento, disse a Mida di nominare qualsiasi regalo egli desiderasse. Mida, avidamente e non molto saggiamente, chiese che qualsiasi cosa le sue mani toccassero si trasformasse in oro.

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Bacco, intuendo che la richiesta del re avrebbe potuto portare a qualcosa di spiacevole per Mida, gli chiese se era sicuro del suo desiderio. Mida era assolutamente sicuro: trasformare tutto in oro, cosa poteva andare storto?

Bacco sorrise tra sé e disse a Mida che, se ne era sicuro, il suo desiderio era già stato esaudito. Mida si allungò per toccare un ramo di un leccio sopra di lui. Come lo toccò, il ramo si trasformò in oro, era bellissimo da vedere e anche molto prezioso.

Mida tornò a casa molto emozionato e arrivò portando ramoscelli, pietre e frutti che aveva raccolto lungo il suo cammino, tutti d’oro. Mise le mani sugli stipiti della porta e gongolò vedendoli trasformarsi in oro.

Era così eccitato che non riusciva a smettere di trasformare le cose in oro toccandole. Continuò per un po' con la sua nuova attività, finché non gli venne un po' di appetito. Così andò in sala da pranzo e si sedette a mangiare...

Fu solo allora che capì il motivo dello scetticismo di Bacco. Perché, naturalmente, tutto il cibo che cercava di portarsi alla bocca si trasformava in oro al suo tocco, diventando tanto lucido e prezioso quanto non commestibile. E quando cercava di bere, il suo tocco non solo trasformava in oro la coppa, ma anche il vino al suo interno. 

Mida ripensò alla strana espressione di Bacco e gli tornarono in mente tutte le storie che aveva sentito su come gli dei detestassero l'avidità dei mortali. Si rese conto di quanto fosse stato sciocco e cominciò a supplicare disperatamente Bacco perché perdonasse il suo avido desiderio.

Bacco, il cui carattere era più giocoso che vendicativo, era  stato più divertito che offeso dalla scelta di Mida, e il suo scopo non era proprio quello di punire il re, ma solo di prenderlo in giro.

Il dio del vino mandò Mida a lavarsi nel fiume Pattolo, e mentre l'acqua lavava via la maledizione il re ne prese un po’ tra le mani e la bevve. In fin dei conti, aveva comunque ottenuto qualcosa di importante dal dono di Bacco: la consapevolezza di ciò che è veramente importante nella vita.

 

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5. La titanessa Latona e le lacrime di Niobe

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Niobe era la nipote di Zeus e figlia di Tantalo. Aveva un marito amorevole e quattordici figli.

Nella mitologia greca, però, molti mortali hanno incontrato la propria rovina venendo puniti per il loro orgoglio e la loro arroganza, per aver sfidato gli dei dell'Olimpo o per aver rifiutato di adorarli. 

Niobe, regina di Tebe, fu una di queste mortali. La sua rovina iniziò quando si pose al di sopra della dea Latona.

Niobe era ad una festa in onore di Latona, la madre di Artemide e Apollo. Il tempio era pieno di fedeli che bruciavano incenso e pregavano Latona.

Per qualche ragione, Niobe decise che competere con una Dea nel suo tempio era la cosa più intelligente da fare.

Quindi ordinò al suo popolo di smettere di comportarsi in modo così sciocco, sostenendo che lei era la loro regina, ed era a lei, non a Latona, che dovevano inginocchiarsi, offrendo doni, sacrifici e voti di lealtà.

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Per completare l’opera, Niobe si vantò anche dei suoi quattordici figli, confrontando quel numero con gli unici due della dea, e concludendo che quindi lei era più importante.

L'ira di Latona fu grande, così mandò i suoi due figli, i gemelli Apollo e Artemide, a dare una lezione a Niobe. Apollo con le sue potenti frecce uccise tutti e sette i figli di Niobe davanti agli occhi della madre.

Niobe cominciò a gridare di dolore, ma il suo orgoglio prese il sopravvento, e cominciò ad agitare il pugno al cielo, gridando alla dea che lei aveva ancora sette figlie mentre Latona ne aveva solo due. Altre sette frecce volarono e abbatterono le sette figlie di Niobe.

Questa volta le frecce provenivano dall'arco di Artemide. Niobe era talmente sopraffatta dal dolore che non riusciva nemmeno a muoversi, poteva solo piangere e piangere.

Zeus provò pietà per lei e la trasformò in una roccia, così da trasformare in pietra anche i suoi sentimenti, ma anche come roccia, Niobe continuava a piangere.

Ancora oggi, Niobe è in lutto per i suoi figli e qualcuno dice che si può vedere una sua debole immagine scolpita su una roccia calcarea sul Monte Sipilo, con le sue incessanti lacrime che fuoriescono sotto forma di acqua dalle rocce porose.

 

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