La Storia seppellisce i suoi protagonisti, anche i più determinanti nella Storia stessa, e la tomba è spesso l’oblio.
L’ex imperatore dei francesi, una volta confinato nell’isola di Sant’Elena, se non per tutti i francesi almeno per gran parte degli altri popoli era già morto: un dominatore del palcoscenico rimandato in platea, mentre altri avevano preso il suo posto.
Ma c’era un personaggio per il quale Napoleone continuava a essere una presenza tanto incombente quanto ossessionante, ed era l’uomo che l’aveva sconfitto a Waterloo mettendo fine alla sua epopea.
Il duca di Wellington proprio non riusciva a dimenticare il suo grande antagonista.
Il resto della vita lo passò a ricordarlo, a celebrarlo – in fondo era a lui che doveva la celebrità conquistata e, di più, la sua stessa importanza storica – e a farlo rivivere raccogliendo con passione maniacale testimonianze, ricordi, cimeli capaci di ricordargli la grandezza dell’uomo che aveva sconfitto.
Non solo oggetti, si badi bene, ma anche quel che rimaneva delle sue conquiste femminili, quasi in una spasmodica ricerca di identificazione sentimentale con il rivale. Tra le tante amanti attribuite a Napoleone, se ne contano almeno due che, uscito di scena l’imperatore, finirono nel letto del duca di Wellington.
La più celebre era una cantante lirica italiana di nome Giuseppina Grassini. Napoleone l’aveva incontrata a Milano nel 1800 dopo la Battaglia di Marengo e se l’era portata in Francia.
Passarono 15 anni e quando, dopo Waterloo, Wellington fu nominato ambasciatore d’Inghilterra a Parigi, non si lasciò scappare l’occasione di fare sua la non più giovane ma ancora affascinante mezzosoprano che aveva allietato le notti del suo antagonista.
Gli oggetti più disparati lasciati da Napoleone, quindi, raccontano la sua storia e ne spiegano la personalità poliedrica (stratega sui campi di battaglia, politico astuto, legislatore illuminato).
Anche noi, come Wellington, seguiamo le tracce di una vita grandiosa attraverso 10 piccoli, altrimenti insignificanti, oggetti.
1. Studente dedito alle mappe e ai libi. Il cappello a bicorno della rivoluzione
- Studente dedito alle mappe e ai libi
La bussola che Napoleone usava alla scuola militare (foto sotto) costituisce una testimonianza significativa dei suoi anni giovanili.
Fu lo strumento che lo introdusse alla conoscenza della tattica militare in cui è importante tener conto dell’orientamento.
Napoleone, che era nato il 15 agosto 1769, frequentò l’École Militaire di Brienne, vicino a Troyes, dal 1779 al 1784.
La scuola era aperta solo ai figli dell’aristocrazia, ma lui potè entrarvi come membro della nuova nobiltà francese, rango a cui la sua famiglia fu elevata dopo che la Corsica, nel 1768, era stata ceduta dalla Repubblica di Genova alla Francia.
Suo padre Carlo Maria Bonaparte si era infatti schierato decisamente dalla parte dei nuovi occupanti, venendone ricompensato con un titolo nobiliare.
Napoleone restò sempre profondamente legato alle sue origini corse, così come alla famiglia e in particolar modo alla madre, alla quale scriveva da Brienne: «Mi preme testimoniarti l’amore che mi ispira la tenerezza che tu hai donato a tutti noi».
Durante gli anni della scuola, Napoleone era un ragazzo solitario. Lui stesso ricorda, parlando di quel periodo: «Ho vissuto come un orso in una piccola stanza, coi miei libri come unici amici».
Studiava materie riservate a un futuro gentiluomo, come latino, matematica, scherma e danza. Nel tempo libero, iniziò a lavorare a saggi di Storia e di filosofia.
Cominciò addirittura a scrivere un romanzo gotico in cui si potevano leggere espressioni del genere: «Oh, che orrore! Le dita della contessa affondarono nella sua ampia ferita e ne uscirono coperte di sangue».
Ma ben presto mise da parte le ambizioni letterarie per buttarsi anima e corpo sul tragitto che la famiglia aveva tracciato per lui: la carriera militare in un Paese in subbuglio, alla vigilia della Rivoluzione.
- Il cappello a bicorno della rivoluzione
"Il pipistrello": questo era il nomignolo di Napoleone sul campo di battaglia, ispirato al suo copricapo a bicorno che richiamavano le ali dei pipistrelli.
Nel suo bagaglio c’erano sempre 12 di questi cappelli, confezionati appositamente per essere diversi, e cioè con i corni paralleli alle spalle invece che perpendicolari, come imponeva l’abbigliamento degli ufficiali.
Oltre che una scelta di moda, il bicorno era un omaggio di Napoleone ai suoi giovanili ideali rivoluzionari, richiamati anche dalla coccarda rossa, bianca e blu che lo ornava e che era il simbolo della Rivoluzione francese.
Quando la rivoluzione personale cominciò, appena 5 anni dopo la sua uscita dalla scuola militare, Napoleone diventò presidente del club di Giacobini, il raggruppamento politico collocato all’estrema sinistra dell’Assemblea popolare.
Grazie ai rivolgimenti prodotti dalla rivoluzione, fece anche una rapida carriera nei ranghi militari e suscitò l’attenzione del fratello di Robespierre, che affermò di aver notato in lui «un acceso sentimento rivoluzionario».
Anche quando mutò l’orientamento politico in Francia, Napoleone conservò i suoi ideali rivoluzionari. E quando istituì il suo impero, fu sempre ben attento a coltivare l’immagine dell’“uomo del popolo”.
Si capisce così come la coccarda che ornava il suo copricapo sul campo di battaglia fosse una consapevole scelta di stile in omaggio alle truppe, a significare che Napoleone manteneva la promessa di essere al loro servizio nell’interesse della giustizia sociale e dell’onore della Francia.
2. Conquistato dal fascino dell'antico Egitto. Una corona d'oro troppo pesante
- Conquistato dal fascino dell'antico Egitto
Napoleone vedeva l’Egitto come la "chiave geografica del mondo”.
Tra il 1798 e il 1799 condusse una dura campagna militare in Egitto e in Siria per proteggere gli interessi commerciali nazionali, danneggiare quelli inglesi e rinforzare la presenza coloniale della Francia nel Medio Oriente.
Ma in quella spedizione si nascondeva anche un sogno giovanile di Napoleone: imitare le gesta di uno dei suoi eroi prediletti: quell’Alessandro Magno che partendo dal Medio Oriente aveva costruito un impero immenso con le sue conquiste militari.
Al suo esercito aveva voluto che si aggregasse una nutrita schiera di accademici: ben 167 tra scienziati, geografi, ingegneri, artisti, musicisti, tutti membri della Commissione di Scienze e Arti.
L’obiettivo era quello di realizzare uno studio esauriente sull’Egitto, dando alla campagna militare una netta impronta culturale e scientifica. Il risultato delle loro ricerche fu la “Description de l’Égypte” - pubblicata fra il 1809 e il 1829 - illustrata con immagini dei siti archeologici, reperti, mappe, osservazioni naturalistiche.
L’insieme di questi studi suscitò grande interesse in tutta Europa e diede il via a quella disciplina che poi fu chiamata egittologia. Molti furono gli antichi reperti affiorati durante gli scavi e trasferiti in Francia.
Il più importante, come è noto, fu la celebre Stele di Rosetta, decifrata dall’egittologo Jean Francois Champollion (nel 1822), che permise di capire la misteriosa lingua dei Faraoni.
La stele, come molti altri reperti, fu sequestrata dagli inglesi dopo la sconfitta di Napoleone e portata in Inghilterra come il più ricco trofeo sottratto all’imperatore (oltre che all’Egitto, legittimo proprietario).
- Una corona d'oro troppo pesante
Napoleone si autoproclamò imperatore di Francia il 2 dicembre 1804, nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi.
Gli spettatori osservarono con sorpresa e curiosità la scena di lui che, dopo essere stato consacrato dal papa Pio VII, prese la corona fatta tutta di foglie d’alloro in oro e se la pose sul capo: l’uomo che si era fatto da solo si incoronava da solo.
Quella corona però creò qualche problema. Composta di 44 foglie di alloro, altre 12 foglie più piccole e 42 semi, risultò così pesante che non poteva essere indossata per l’intera cerimonia. Così 6 foglie furono rimosse per renderla più leggera.
L’orafo che l’aveva realizzata, Martin Guillaume Biennais, secondo quanto si racconta, donò alle sue 6 figlie le foglie eliminate, una delle quali è stata venduta all’asta nel 2017 per 625 mila euro. È la sola foglia di cui si conosca l’attuale possessore. Delle altre 5 si sono perdute le tracce, mentre la corona stessa è stata fusa.
Va ricordato che la corona d’alloro era simbolo del potere militare e del trionfo imperiale nel mondo antico. Indossandone una simile, Napoleone voleva emulare gli imperatori romani che tanto ammirava.
Durante la cerimonia di incoronazione a Notre-Dame a Parigi era presente anche la cosiddetta “Corona di Carlo Magno”, da lui stesso fatta realizzare sul modello di quella attribuita - erroneamente, in quanto era stata realizzata nel X secolo - all’ideatore del Sacro Romano Impero, e che era stata utilizzata da tutti i sovrani fino a Luigi XVI, ma distrutta dai giacobini durante la Rivoluzione francese.
Entrambe le corone furono per il Bonaparte emblemi tangibili del suo potere: egli si considerava infatti l’erede tanto dell’antico potere romano quanto del glorioso periodo carolingio, avendo avviato una nuova era imperiale dominata dalla Francia, sostenuta dal valore delle sue armate.
Inoltre, una terza ancor più celebre corona legata a Napoleone fu la Corona Ferrea, da lui indossata durante l’incoronazione a re d’Italia, il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano.
Sotto, l'unica e sola foglia di alloro che si conserva della corona usata per l'incoronazione di Napoleone: nel 2017 è stata venduta all'asta per 625mila euro.
3. Alla disperata ricerca di un erede. Un cavallo all'altezza del suo padrone
- Alla disperata ricerca di un erede
Una delle principali preoccupazioni di Napoleone, una volta realizzato l’impero, era quella di renderlo sicuro e duraturo. Aveva perciò bisogno di un erede legittimo.
Nonostante l’appassionata storia d’amore protrattasi per 14 anni con Giuseppina Beauharnais, nel 1809 l’imperatore chiese l’annullamento del matrimonio con lei e l’anno successivo sposò l’arciduchessa austriaca Maria Luisa, figlia dell’imperatore d’Austria Francesco II.
Con questo matrimonio si legò agli Asburgo, cioè alla casa regnante di più antica nobiltà, così da assicurare al figlio che sarebbe nato un’ascendenza degna di un futuro imperatore.
Il bambino nacque il 20 marzo del 1811, fu chiamato Napoleone Francesco Giuseppe Carlo Bonaparte e fu subito proclamato re di Roma, secondo la tradizione del Sacro romano impero.
La sfarzosa culla destinata al neonato fu donata dalla Città di Parigi e adornata con simboli ricchi di significato: il bambino era vegliato da un aquilotto e dalla dea alata immagine della vittoria. Napoleone adorava suo figlio, soprannominato “l’aquilotto”.
Il suo segretario privato, Baron de Meneval, scrisse: «Qualche volta, lasciando i tanti pensieri che occupavano la sua mente, l’imperatore si sdraiava sul pavimento accanto alla culla del suo amato figlio, giocando con lui come fosse un bambino».
Quando Napoleone fu esiliato sull’Isola d’Elba, la moglie Maria Luisa e il figlio fuggirono in Austria. L’imperatore non li avrebbe più rivisti. A Vienna il giovane Napoleone fu chiamato col nome di Franz e gli fu attribuito il titolo di duca di Reichstadt. Morì di tisi nel 1832, senza essersi mai sposato e senza aver avuto figli.
Sotto, la culla finemente intagliata che fu donata al figlio di Napoleone dal comune di Parigi.
- Un cavallo all'altezza del suo padrone
Nel 1815, le armate di Napoleone si scontrarono con gli inglesi di Wellington e i prussiani di Blucher nella Battaglia di Waterloo, che si risolse nella definitiva sconfitta dell’imperatore.
Fu uno scontro feroce che vide decine di migliaia di soldati, innumerevoli pezzi di artiglieria e molti reggimenti di cavalleria fronteggiarsi in uno spazio di poche decine di miglia.
Napoleone cavalcava il suo fidato destriero Marengo, chiamato così dopo la vittoria francese riportata per l’appunto a Marengo nel corso della seconda campagna d’Italia.
Di statura imponente, Marengo era uno stallone arabo acquistato in Egitto. Fu addestrato a mantenersi calmo ed equilibrato sul campo di battaglia.
Esperti di equitazione lo avevano abituato ad affrontare i pericoli e il caos degli scontri e delle esplosioni intorno vicino a lui, bandiere sventolate davanti ai suoi occhi e perfino branchi di cani sguinzagliati per creare confusione.
Nel corso della sua vita Marengo fu ferito 8 volte, ma fu sempre considerato affidabile e pronto al combattimento. Dopo la sconfìtta di Napoleone a Waterloo, fu catturato dagli inglesi ed esibito a Londra come un superbo trofeo.
Quando morì, dopo essere sopravvissuto ai suoi addestratori per un decennio, lo scheletro fu esposto al pubblico. Anche la regina Vittoria si recò a vederlo.
Oggi è conservato al National Army Museum di Londra, macabro testimone di un glorioso passato. I suoi zoccoli furono trasformati in calamai e posacenere.
Uno di questi posacenere ha fatto bella mostra di sé sulla credenza della mensa ufficiali nella residenza reale di St. James Palace per almeno 190 anni.
4. Come Lucifero dal paradiso all'inferno. Il dio della guerra trofeo del vincitore
- Come Lucifero dal paradiso all'inferno
Dell’isola di Sant’Elena, ultima dimora di Napoleone, sperduta nell’oceano Atlantico, si diceva che fosse «il posto più lontano di qualunque altro al mondo».
Lì l’imperatore sconfitto visse gli ultimi anni di vita con i suoi generali più fedeli in un’umida casa in prossimità di un terreno di lava vulcanica.
Era strettamente sorvegliato e totalmente privo di informazioni sui fatti dell’Europa, visto che gli si vietava perfino la lettura dei giornali.
L’incisione di George Cruikshank del 1815 “Il diavolo che si rivolge al sole” raffigura Napoleone come il Lucifero del “Paradiso perduto” di Milton: la caduta dell’imperatore è dunque paragonata a quella dell’angelo precipitato all’inferno.
Satana si trova su un isolotto con i piedi artigliati e le ali spezzate, fissando raggi di luce, ognuno dei quali porta il nome dei suoi avversari.
Questa lugubre immagine rappresenta in modo significativo la lotta quotidiana che Napoleone dovette sostenere negli ultimi anni di vita. Chi gli stava vicino lo descriveva come un uomo precipitato nella più cupa depressione.
Il suo chirurgo, Barry O’Meara, fu testimone dei suoi repentini cambiamenti di umore, tra esaltazione egocentrica e acuta disperazione.
Espressioni come «mi sono fatto da solo e sono diventato il regnante più potente del mondo» erano seguite da un doloroso ripiegarsi sul divano, con la testa posata su una mano, in preda a chissà quali amari bilanci.
Fu proprio la depressione a imprimere al suo fisico un rapido declino, innescando violenti dolori addominali e febbri che lo debilitavano. Fino a che l'ormai debole fibra cedette e l’isola che era stata la sua prigione diventò la sua tomba.
Sotto, l'incisione "Il diavolo che si rivolge al sole", del 1815, che mostra l'imperatore spodestato come Lucifero.
- Il dio della guerra trofeo del vincitore
Nell’aprile del 1811 una nuova opera del famoso scultore neoclassico Antonio Canova, che ritraeva Napoleone, fu esposta a Parigi.
La monumentale statua alta più di 3 m rappresenta Napoleone come il dio romano della guerra, Marte.
Il corpo è nudo, nell’atteggiamento solenne degli imperatori romani, che Napoleone ammirava tanto. A lui però quella statua non piaceva, diceva che aveva un aspetto troppo atletico, e così la nascose al pubblico facendola sistemare all’interno del museo a lui riservato, nel Louvre.
Dopo la sconfitta di Waterloo, la statua fu venduta al governo inglese, che la regalò al duca di Wellington, il vincitore di Waterloo. Il duca installò la scultura alla base della scala d’ingresso di Apsley House, la sua casa di Londra.
Wellington continuò a collezionare trofei, non solo artistici, del nemico sconfitto: due amanti di Napoleone diventarono sue amanti; comprò l’abitazione parigina della sorella di lui Paolina; lì raccolse un’intera collezione di oggetti appartenuti a Bonaparte, armi, libri, busti, dipinti e persino il servizio egiziano di piatti per la cena che Giuseppina Beauharnais aveva rifiutato come regalo di divorzio.
Wellington era un personaggio schivo e riservato. Ma ad Apsley House volle esibire la statua di “Marte, il portatore di pace” come simbolo del suo personale trionfo sull'imperatore, un dio che si era fatto da sé e che ora appariva nudo e in posa poco dignitosa.
Sotto, la celebre scultura di Antonio Canova che ritrae Napoleone nelle vesti del dio Marte. Il duca di Wellington la espose in casa propria a ricordo del suo trionfo a Waterloo.
5. Il ricordo affidato a una ciocca di capelli. Una meteora dalla scia abbagliante
- Il ricordo affidato a una ciocca di capelli
Napoleone morì il 5 maggio 1821, all’età di 51 anni, molto probabilmente per un tumore allo stomaco.
La ciocca dei suoi capelli racchiusa in questo anello fu donata al celebre architetto inglese John Soane da Elizabeth “Betsy” Balcombe.
Napoleone era stato ospitato nella casa di Miss Balcombe, figlia di un ufficiale della Compagnia delle Indie orientali, e della sua famiglia a Sant’Elena, prima che fosse completata la sua residenza costruita nelle vicinanze.
Il sovrano in esilio strinse una singolare amicizia con l’adolescente Balcombe, che lui chiamava “scimmietta”. Giocava con lei e le raccontava storie della sua famiglia e della sua vita. Lei poi, nel 1844, avrebbe pubblicato un libro di memorie su quella amichevole frequentazione con l’ex imperatore.
Miss Balcombe conservò la ciocca di capelli in un anello, su cui fece incidere la seguente scritta: «Questa ciocca di capelli di Napoleone Bonaparte fu regalata a John Soane Esquire da Elizabeth Balcombe. Pregate per me».
All’inizio del 1820, fece quel regalo così carico di significato a Soane, «sapendo quanto apprezzasse le reliquie del grande uomo». Le memorie di Balcombe e l’anello funebre di Soane testimoniano l’ammirazione e il legame quasi sentimentale che molti inglesi provarono per Napoleone dopo la sua morte, pur essendo stati suoi irriducibili nemici.
Sotto, l'anello funebre contenente una ciocca di capelli di Napoleone, custodito da Elizabeth Balcombe, una vicina di casa dell'imperatore a Sant'Elena, e successivamente da lei donato all'architetto John Soane.
- Una meteora dalla scia abbagliante
Nel 1844 George Reynolds descriveva Napoleone come «una meteora che aveva brillato luminosa, terrorizzando per tanti anni le altre nazioni con la sua luce abbagliante».
Era passato più di un ventennio dalla morte dell’imperatore, ma come si vede il suo ricordo era ancora vivo.
In Inghilterra, la fama del grande nemico fu oggetto di accesi dibattiti fra chi lo giudicava comunque un uomo eccezionale e chi lo considerava invece solo colpevole di infiniti «massacri, disperazione e miseria umana», come sosteneva lo scrittore Walter Scott nella prima biografia completa dell’imperatore.
In Francia, invece, la popolarità di Napoleone aumentò, anche tra i suoi nemici, con il passare del tempo.
Alla fine degli anni Trenta il re Luigi Filippo d’Orleans e il suo ministro Adolphe Thiers pensarono di rinsaldare la calante popolarità della monarchia trasportando da Sant’Elena a Parigi i resti di Napoleone.
Nel 1840 una squadra di marinai fu spedita sull’isola a riesumare il corpo, che era ormai fortemente decomposto.
Ci fu chi ne approfittò per impossessarsi di qualche ricordo, come questo frammento della vecchia bara, che dopo essere passato di mano in mano, diventò proprietà della romanziera inglese Charlotte Bronte, a cui fu regalato dal suo tutore belga Constantin Heger.
Comunque nel dicembre di quell’anno i resti di Napoleone giunsero a Parigi e furono deposti nel Tempio dell’Hòtel des Invalides, dove negli anni successivi fu costruita l’imponente arca di marmo che ora li contiene.
Una enorme folla di parigini accompagnò la traslazione, nel giorno che Victor Hugo definì «tanto bello quanto la gloria, tanto freddo quanto la tomba».
Sotto, un frammento della bara di Napoleone a Sant'Elena, che finì nelle mani della scrittrice Charlotte Bronte.