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Napoleone e le sue inaspettate eredità

Amato o odiato, Napoleone non lo si può proprio ignorare. Nemmeno due secoli dopo.

Il nazionalismo, il liberalismo e la modernizzazione sono, secondo lo storico Stuart Woolf, le tre eredità più durature dell’epoca napoleonica.

L’idea nazionale fu il primo cavallo di battaglia di Napoleone. Da generale la “esportò” in Italia gettando il seme che sarebbe germogliato nel Risorgimento.

Non per niente, il tricolore bianco rosso e verde fu usato per la prima volta nel 1794 dai rivoltosi libertari emiliani, poi (1797) dai cacciatori a cavallo della Legione lombarda, volontari al seguito di Napoleone, infine dalla Repubblica Cisalpina.

L’idea di appartenere a una nazione era necessaria alla conquista della libertà. Una libertà garantita da leggi e costituzioni.

Ed è questo in estrema sintesi il pensiero “ liberale”. Fu proprio la richiesta di costituzioni e garanzie legali che portò alle rivoluzioni del 1848, capeggiate dalla nuova classe sociale borghese.

E fu sempre l ’avanzata delle truppe napoleoniche a diffondere molte idee della Rivoluzione francese. Prima fra tutte la laicità dello Stato e dell’istruzione.

Da qui le riforme scolastiche e i nuovi codici legislativi: dal Code Napoléon, di fatto, non si tornò più indietro, nonostante la Restaurazione.

Anche gli Stati “restaurati”, ovvero quelli che nel 1815, con il Congresso di Vienna, ristabilirono l’equilibrio europeo precedente alla “ tempesta” napoleonica, finirono per confermare, alla lunga, buona parte delle innovazioni introdotte dall’imperatore deposto.

Semplicemente perché, così, lo Stato funzionava. E funzionava meglio.

Dell’epopea napoleonica resta molto, anche in Italia: dalla scuola alle strade, dall’esercito al Codice civile, dalle carte da gioco agli scacchi. E persino i cimiteri! Scopriamolo insieme.

1. Un codice tutto nuovo

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Il più importante lascito dell’età napoleonica sono le riforme attuate fra il 1800 e il 1804, anni durante i quali fu redatto il Codice civile, detto anche Codice Napoleonico, approvato il 21 marzo 1804.

Durante il periodo napoleonico, il sistema amministrativo francese abbandonò il decentramento della rivoluzione e si caratterizzò per un fortissimo accentramento statale.

Nel 1800 in Francia viene introdotta la figura del prefetto, un funzionario nominato dal governo centrale che era posto a capo degli enti amministrativi periferici, i dipartimenti. Il potere discendeva dal ministro al prefetto e arrivava al sindaco.

Questo ordinamento fu imposto nel 1802 in Piemonte (annesso all’Impero), nel Regno d’Italia e nel Regno di Napoli. La caduta dell’impero non cancellò queste istituzioni amministrative.

Solo in alcune zone d’Italia, dove già in precedenza esistevano norme efficienti (come nella Lombardia riformata dagli austriaci) si fusero consuetudini locali e novità napoleoniche.

2. Arrivano i liceali e finché lo Stato non vi separi

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  • Arrivano i liceali
    La generale riorganizzazione amministrativa imposta da Napoleone necessitava di un adeguato personale, da collocare negli uffici pubblici.
    Fu così sviluppata l'istruzione superiore con l ’introduzione dei licei statali, scuole impegnative e riservate ai giovani di buona famiglia o di eccezionale talento.
    I licei napoleonici erano, come quelli di oggi, pubblici, finanziati cioè dal denaro raccolto con le tasse e con gli investimenti del governo, e i docenti erano dipendenti dello Stato.
    Analogamente a quanto accade ancora oggi, le scuole private venivano sottoposte a controlli e verifiche da parte di funzionari statali e nel 1806 venne introdotto il monopolio statale dell’istruzione universitaria una sorta di Ministero per la ricerca e l’università.
  • Finché lo Stato non vi separi
    Il Codice civile riconosceva il matrimonio come la cellula fondamentale della società e doveva quindi essere un atto pubblico celebrato in presenza di un funzionario statale.
    Il matrimonio religioso rimaneva lecito, ma giuridicamente irrilevante. Nella famiglia disegnata dal Codice Napoleone il padre è il capofamiglia, esercita una patria potestà che l’autorizza persino a chiedere l ’incarceramento di un figlio ribelle, dà il consenso alle nozze, amministra i beni di figli e moglie.
    Il Codice andò a toccare anche le regole per la successione imponendo che una parte delle eredità dovesse essere divisa in modo uguale tra i discendenti.
    Napoleone però volle che nel Codice la donna risultasse totalmente sottomessa all’uomo al quale doveva assoluta obbedienza: non poteva ad esempio sottoscrivere un contratto o avviare un’azione autonomamente.
    Le controversie tra coniugi potevano tuttavia essere risolte col divorzio (al quale non si fece gran ricorso, almeno in Italia), purché chiesto consensualmente.

3. Tutte le strade portano a Parigi

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Le vie battute dalla Grande Armée erano alberate nelle zone di pianura, per consentire ai soldati di spostarsi all’ombra.

In montagna, invece, bisognava bilanciare il vantaggio dell’esercito austriaco, che poteva contare sui numerosi valichi sull’arco alpino orientale.

La più importante strada imperiale collegava l ’Italia a Parigi attraverso il passo del Sempione, in Svizzera.

Il progetto, fino al 1803, procedette a rilento per le divergenze tra i tecnici italiani e francesi. Napoleone scelse per decreto il progetto italiano.

La strada che sale al passo è ancora oggi un capolavoro dell’ingegneria: i tornanti seguono archi di parabola, in modo da favorire una maggiore transitabilità a velocità sostenute.

Si scavarono quattro gallerie (una lunga 180 m) e si costruirono più di 50 ponti.

L’altra grande strada, nata fra il 1803 e il 1811 è quella del Moncenisio (tra Piemonte e Francia). Accolta con favore all’inizio, una volta terminata rese inutile il servizio di guida sulle mulattiere, attività principale dei valligiani.

4. Esercito ma di popolo e passatempi imperiali

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  • Esercito ma di popolo
    La chiave dei successi di Napoleone stava anche nella sua abilità di stratega. Ma soprattutto nel suo esercito.
    L’imperatore aveva costruito la sua grandezza come generale dell’esercito rivoluzionario francese che, oltre a essere nato dalla Rivoluzione, era “rivoluzionario” perché aveva cambiato completamente il modo di intendere l’arte militare.
    Lo disse lo stesso imperatore: "Un imperatore si affida a soldati nazionali e non a truppe mercenarie".
    A difendere la Francia (o l’impero), in altre parole, doveva essere gente motivata dalla causa patriottica e (in misura minore) dalla convinzione di “esportare la democrazia” in Europa.
    Una motivazione che rimase anche quando Bonaparte tradì gli ideali della rivoluzione. Un esercito di popolo, oltre ai rudimenti della tecnica militare, era infatti anche un sicuro mezzo per inculcare gli ideali nazionali.
  • Passatempi imperiali
    Si dice che un gioco di carte molto in voga in Inghilterra nell’Ottocento si chiamasse Nap
    Chissà se Bonaparte sarebbe stato contento di far divertire i suoi acerrimi nemici. Sta di fatto che almeno due giochi “ solitari” sono attribuiti all’imperatore dei francesi.
    Pare fossero tra i suoi passatempi a Sant’Elena.
    Il “Napoleone” si gioca con un mazzo francese di 52 carte e ha lo scopo di raccogliere le carte di uno stesso seme in scala. Il solitario “Piramide” (il cui nome richiama la Campagna d’Egitto) si può giocare con 52 o 40 carte.
    Negli scacchi, invece, c’è l’apertura Napoleone: il pedone davanti al re avanza e libera la regina, permettendo, se l’avversario è un principiante, lo scacco matto in tre mosse. L’invenzione della mossa è attribuita all’imperatore stesso (scacchista appassionato ma scarso, pare).
    Il quale tra l’altro impose l’uniformazione delle regole del gioco degli scacchi in Italia. Da adeguare, naturalmente, a quelle francesi messe a punto da Frangois-André Danicar Philidor.





5. Furore urbanistico e fuori i morti

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  • Furore urbanistico
    Molte città, in Francia e nel resto d’Europa, portano i segni dell’epoca napoleonica. Del restyling urbanistico si occuparono le Commissioni d’ornato.
    In Italia furono costruiti spazi pubblici e giardini, grandi viali alberati che intendevano rendere le città meglio vivibili e più salubri, anche seguendo i dettami illuministi.
    Un esempio è rappresentato da Milano. L’Arco della Pace (foto), l’Arena Civica, i Caselli Daziari e il Foro Buonaparte (antico cognome di Napoleone, francesizzato dal padre) sono eredità del progetto di trasformazione dell’area del Castello Sforzesco in un polo civile e di rappresentanza.
    A Venezia, di fronte alla Basilica di San Marco, Napoleone fece costruire quella che oggi è l’Ala Napoleonica, un palazzo che chiude uno dei lati corti del rettangolo della piazza, diventato residenza reale.
    Per costruirla si dovette radere al suolo fra 1807 e 1810 la Chiesa di San Geminiano, una delle più antiche della città lagunare.
  • Fuori i morti
    L'Editto di Saint Cloud (Décret Impérial sur les Sépultures), emanato il 12 giugno 1804 da Napoleone, raccolse in un’unica legge tutte le precedenti norme sui cimiteri.
    Fu così stabilito che le tombe venissero poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che fossero tutte uguali coerentemente con un principio di uguaglianza che si voleva estendere anche ai morti.
    Per i defunti illustri l’editto stabiliva che una commissione di magistrati decidesse se far scolpire sulla tomba un epitaffio.
    Questo editto aveva quindi due motivazioni alla base: una di natura igienico-sanitaria e l’altra ideologica e politica.
    La legge fu estesa all’Italia nel 1806, scatenando una discussione accesa e un intenso dibattito pubblico. Ugo Foscolo, bonapartista della prima ora, cambiò idea ed espresse la sua contrarietà alla nuova norma nel poema Dei Sepolcri, nel quale rivendica il valore d’esempio dei monumenti funebri.








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